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Loredana Longo porta l’arte della libertà al Carcere Ucciardone di Palermo
Arte contemporanea
La creatività non solo come sfumatura di libertà ma anche come possibilità di relazione, è al centro di L’arte della libertà, progetto a cura di Elisa Fulco e Antonio Leone, sviluppato da Loredana Longo, all’interno della Casa di Reclusione Calogero di Bona – Ucciardone di Palermo e sostenuto da Fondazione con il SUD e Fondazione Sicilia. Da febbraio 2019, 30 le persone coinvolte nell’ambito dei workshop, con la supervisione scientifica dello psichiatra Sergio Paderi, tra detenuti, operatori socio sanitari e museali e, per la prima volta in Italia, anche polizia penitenziaria. Ognuno portatore di un carico di conoscenze, confluito poi in una narrazione collettiva e condivisa, orchestrata da Longo per raccontare, con parole, immagini e gesti, l’ambiguità di certi concetti fondativi, come quello della libertà. Ma anche per proporre una visione alternativa dell’esperienza del tempo trascorso nella casa di reclusione.
Oltre al workshop, L’arte della libertà prevede la creazione di un nuovo spazio laboratoriale, la realizzazione di un’opera site specific di Loredana Longo all’interno del carcere, l’organizzazione di visite guidate nei principali luoghi culturali cittadini e la costruzione di un palinsesto di attività per garantire una formazione continua ai detenuti, introducendo in carcere lezioni di arte contemporanea e invitando esponenti del mondo culturale e sociale, come Letizia Battaglia, Stefania Galegati, Marco Mirabile, Ignazio Mortellaro, Giulia Ingarao e Marco Stabile, a far sperimentare la loro pratica.
Il progetto si concluderà a febbraio 2020, con una mostra presso la Galleria d’Arte Moderna e Palazzo Branciforte, mentre giovedì, 24 ottobre, dalle 14.30 alle 18.30, presso Palazzo Branciforte, si terrà la giornata di studio “Tra le righe. Esercizi di libertà in carcere”, un confronto sull’articolo 27 della Costituzione, a partire dai risultati emersi dalla ricerca “Creare valore con la cultura in carcere”, condotta dall’Università Bocconi ICRIOS, in collaborazione con il Provveditorato Amministrazione Penitenziaria della Lombardia. Abbiamo raggiunto Loredana Longo, la cui ricerca spesso si è confrontata con i temi della relazione e del rapporto con l’altro, per farci raccontare i vari passi dell’Arte della libertà.
L’arte della libertà è un progetto sviluppato per la Casa di Reclusione Calogero di Bona-Ucciardone di Palermo, iniziato a febbraio 2019 e in conclusione a febbraio 2020. Com’è nata l’idea del progetto e quali sono stati i passi fatti fino a ora?
«Nel 2018 sono stata invitata a un workshop, a Palermo, per un progetto europeo “Art and Social Change”, che metteva insieme operatori sociosanitari e artisti, con lo scopo di stimolare la parte creativa del personale sanitario. Vedendo le immagini del mio lavoro, Sergio Paderi, uno psichiatra che partecipava al workshop, mi chiese se potevo essere interessata per un progetto in carcere. Così nacque “L’arte della libertà” curato da Elisa Fulco e Antonio Leone. Il progetto è focalizzato sulla realizzazione di una mostra d’arte contemporanea che avrà luogo negli spazi di Palazzo Branciforte a Palermo, che avrà luogo nel febbraio 2020. Abbiamo già realizzato una grande installazione, una rete in strisce di stoffa in cui sono stampate delle parole provenienti da una selezione sul tema della libertà. Al momento stiamo lavorando a una serie di performances, che partono dalla costruzione di spazi “virtuali” in cui si ripetono delle azioni. Tutto il processo creativo, molto complesso, che porta alla costituzione delle opere finali è importantissimo e documentato in ogni dettaglio e sarà parte dell’allestimento».
Quali sono state le reazioni dei partecipanti al progetto, tra detenuti e operatori? Puoi parlarci di un case history che ritieni particolarmente significativo?
«Non esistono scuole o maestri per un lavoro simile, e non tutti gli esseri umani sono uguali, ho imparato che anche l’umore giornaliero di ognuno di noi può essere responsabile della riuscita di una giornata lavorativa in determinate situazioni. La cosa più difficile è tenere alta la tensione alla progettualità e non è semplice quando si lavora insieme a 25/ 30 persone contemporaneamente. Prima di ogni incontro, ogni dettaglio e oggetto deve essere autorizzato all’ingresso in carcere, e non tutti gli oggetti possono entrare, questo comporta una sorta di ulteriore sforzo creativo nella fattibilità di alcune cose. Ad ogni incontro cerchiamo di dividere il numero di partecipanti in gruppi misti, detenuti/ operatori / polizia penitenziaria, ed è questa secondo me la cosa più interessante, il coinvolgimento in un progetto comune.
Credo che uno dei momenti più poetici sia stato quando, dalle parole scelte sul tema della libertà, sia nata la frase, divenuta il nostro manifesto: VOLARE PER UNA FARFALLA NON E’ UNA SCELTA. L’abbiamo adottata anche per una serie di tshirt, realizzate con l’artista Stefania Galegati durante un laboratorio in carcere, sempre all’interno di questo progetto. Probabilmente realizzeremo anche una grande scritta in lettere luminose da donare al carcere».
In occasione dell’incontro di giovedì, 24 ottobre, si parlerà, tra gli altri argomenti, dell’interpretazione attiva dell’articolo 27 della Costituzione, «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Cosa potremo ascoltare?
«Chissà. Io posso parlare solo del mio punto di vista. Ho capito che se non insegni a un bambino a leggere, rimarrà un analfabeta, un disadattato. Se a un adulto lo rinchiudi in un carcere e non gli dai i mezzi per poter imparare qualcosa di diverso, non potrà evolvere e facilmente ripeterà gli stessi errori. La punizione è già nella limitazione alla libertà, perché non provare a stimolare la parte creativa, emotiva di una persona? L’errore non può diventare orrore».
Cosa ti rimarrà di questa esperienza? Quanto e in che modo inciderà sulla tua futura ricerca artistica?
Non si tratta solo di un workshop ma di una possibilità che io dò a delle persone e che generosamente loro danno a me. Io ho scritto uno spartito e dirigo un’orchestra, e il suono deve essere armonico, ma solo perché lo sviluppiamo tutti insieme. Ed io l’ho visto questo suono, come in una visione, ho subito avuto chiari i due progetti che volevo sviluppare, poi ho dovuto riorganizzarli a causa delle difficoltà operative in carcere, ed ho scoperto che solo con la collaborazione si possono fare certe cose. La mia ricerca è sempre stata indirizzata su certe tematiche, ed è il motivo per cui sono dentro al progetto, ma non ho mai realizzato una mostra con tante presenze, a dire il vero non ho mai realizzato delle opere insieme a tante persone.
Cosa ho imparato? Non si può avere sempre il controllo di tutto e su tutti, devi lasciare che gli altri interpretino il tuo pensiero con il loro pensiero, che le loro mani facciano diversamente da come lo avresti fatto, ad accettare il bello e il brutto dell’imprevisto. Io sono certa che avrei potuto fare le stesse opere da sola, ma non nascevano perché le facessi io, le ho pensate perché includessero altre persone nel processo creativo. E il processo coincide con l’opera».