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La “frattura” di un luogo si ripara con l’arte
Arte contemporanea
di Jack Fisher
Tra i vari significati del termine missione c’è il seguente: “servizio svolto con totale dedizione, specialmente a favore del prossimo”. È il caso del racconto di questa nuova tappa della mia rubrica.
Frattura, una frazione del comune di Scanno, in Abruzzo, è un borgo di venti anime che nei mesi più caldi arrivano ad una quarantina. Qui l’archeo-antropologa Anna Rizzo, palermitana d’origine, arriva con un gruppo di colleghi nel 2010 e vi si stabilisce.
Oggi Frattura è un progetto dove il centro è la comunità e l’inizio del viaggio sono le persone, la loro storia e la determinazione che li spinge a ritornare o a non abbandonare mai quella che è una terra difficile. A mio avviso si tratta di un modo di agire esportabile in qualsiasi luogo delle aree interne e montane italiane. Frattura è anche una residenza per artisti “AIR*M – Artist In Residency Mountain”, un festival di Comunità “Estate a Frattura”, ed è custode del fagiolo bianco insieme all’Arca del Gusto di Slow Food. Questo processo virtuoso ha permesso anche di far riprendere a pulsare alcuni dei luoghi focali del paese, come l’ex scuola che muta forma e diventa oggi museo, il forno e il lavatoio…
Anna, tu siciliana d’origine lontana dall’eco della montagna, perché hai deciso di costruire un progetto così totalizzante e nel contempo romantico a Frattura. Questo luogo ti ha letteralmente rapita. Come e perché?
«Sono arrivata a Frattura nel 2010, con la missione “Fluturnum, Archeologia e Antropologia nell’Alta Valle del Sagittario” dell’Università di Bologna, la cooperativa archeologia Matrix 96, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo, e il comune di Scanno. I primi due anni della missione mi sono occupata della ricettazione dei reperti archeologici nella zona. Un lavoro di investigazione e riposizionamento cartografico che serviva per individuare eventuali siti noti alla comunità. Dal 2013 ho cominciato a lavorare esclusivamente con i fratturesi».
Il sottotitolo di ciascun progetto che sia di arte, cibo, riqualificazione, agricoltura è sempre il termine comunità. Come ti hanno accolto le trenta anime? Raccontami una storia di vita, quella che ti ha lasciato un segno nella pelle…
«Solo dopo 5 anni i fratturesi hanno cominciato a “vedermi”, ad accorgersi di me e a riconoscermi. Il primo periodo lavoravamo esclusivamente alle ricognizioni, partivamo alle 6:30 del mattino e tornavamo alle 22:30. Abbiamo cominciato a prendere un reale contatto quando abbiamo scoperto che esisteva un lavatoio. Nel momento in cui lo abbiamo cominciato ad “abitare” e ad usare le vasche riempiendole con i nostri vestiti la comunità si è incuriosita. La storia: ho conosciuto Assunta due anni fa, dopo la scomparsa di Rosetta, una signora che abitava di fronte al lavatoio. Rosetta per tanti anni si è presa cura di me, aveva più di 90 anni. Facevamo colazione insieme, era il mio punto di riferimento per tutto. Quando se ne è andata ho conosciuto il figlio Loreto e la moglie Assunta. Ho continuato a frequentare casa loro e con il tempo sono diventati i miei genitori di Frattura. Questo incontro mi ha permesso di conoscere la signora Lidia, una delle spose abbandonate dai mariti andati in Venezuela e mai più tornati. Vedova da settanta anni e ufficialmente sposa».
A Frattura sono arrivate in residenza anche le artiste Valentina Colella e Chiara Segreto. Raccontaci come si sono rapportate alle genti e che cosa ne è nato….
«Due artiste molto diverse. Chiara Segreto, ha partecipato alla prima residenza d’artista lavorando anche sullo scavo archeologico, un sito romano. Ha studiato gli spietramenti e il paesaggio storico. Ma soprattutto ha lavorato con le signore locali per il recupero del forno pubblico. Valentina Colella è stata nostra ospite nel 2018 e ha lavorato alla realizzazione della sua prima mostra personale. Invece quest’anno Valentina è stata l’ideatrice di una residenza “AIR*M – Artist In Residency Mountain”, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma ospitando tre giovani artisti. Una residenza intensa e inspirata al contesto montano che ha trovato una sintesi nel dialogo dei ragazzi con esperienze di trekking e di confronto con la comunità».
Perché a tuo avviso sarebbe importante esportare questo modus operandi in altre aree interne? Che cosa potrebbe generare?
«La nostra modalità di lavoro è stata ideata su Frattura e su che cosa questa comunità ha scelto di conservare e di condividere. È un lavoro di confronto e di proposte che nasce prima sull’esigenza di formare cittadini attraverso l’uso democratico degli spazi pubblici, e poi di far emergere competenze. Rispetto a tanti progetti avviati nelle aree interne, per di Frattura vi come obiettivo la creazione di una comunità, di persone che fanno delle scelte e mettono in comune le proprie professionalità e competenze, e da questo si può pensare a delle ipotesi di ritorno e di creazione di un’economia locale. Il lavoro finora svolto è stato molto lento e profondo, e in questo ho trovato sostegno in archeologi, geologi, cartografi, genetisti agrari. Abbiamo creato una rete di piccoli progetti intorno al nostro, fortemente radicati al territorio, legati al recupero locale agrario e comunitario. Man mano che produco documentazione insegno loro a farlo e gli lascio i miei strumenti tecnici. Come creare un database, come portare avanti una pratica di concessione di uso pubblico degli spazi, come comunicare proposte e calendarizzare eventi comunali e a chi rivolgersi per la manutenzione. Non è semplice esportare questo formato: mettere a disposizione spazi pubblici non ha un costo, ma anzi genera benessere e condivisione. Ma in questa modalità si sottrae l’ambiente a un sistema clientelare e di favori su cui si reggono spesso molte relazioni. In molte aree avere una cittadinanza “in torpore” conviene».