15 novembre 2019

La “tecnosfera” secondo il MAST, per la quarta edizione di Foto Industria

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Quattro macro-tematiche legate alla “tecnosfera”, in undici mostre fotografiche allestite in una serie di palazzi bolognesi. Ecco la quarta edizione della Biennale Foto Industria, in scena fino al 24 novembre

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Foto Industria 2019, Luigi Ghirri, Ferrari

Promossa dal MAST, Foto Industria, l’unica biennale al mondo sulla fotografia dell’industria e del lavoro è giunta alla sua IV edizione. “Tecnosfera” è il tema affrontato, ovvero tutte le strutture che gli uomini hanno costruito sulla terra per garantire la propria sopravvivenza. Il termine, coniato dal geologo Peter Haff, definisce lo strato artificiale presente al di sopra della crosta terrestre stimato di decine di miliardi di miliardi di tonnellate, composto dai più differenti materiali, ma inefficiente perché non in grado di autosostenersi.

Accanto ad “Anthropocene” al Mast, curata da Urs Stahel e, in corso fino a gennaio 2020, sono state allestite altre dieci mostre, in dieci luoghi storici della città di Bologna, visitabili fino al 24 novembre. La direzione artistica del progetto è stata affidata a Francesco Zanot per sviluppare il progetto della Biennale iniziato nel 2013 da François Hébel, al fine di, come sostenuto da Isabella Seràgnoli, sostenere e diffondere la cultura delle immagini per raccontare i profondi cambiamenti che con il suo lavoro e le sue attività l’uomo ha determinato.

L’attenzione a ciò che l’uomo crea, sulle ripercussioni sul pianeta, temi affrontati in modo estremamente realistico e di estremo impatto sull’osservatore dagli autori Burtynsky, Baichwal, De Pencier nella mostra “Anthropocene”, viene narrato attraverso i percorsi espositivi allestiti, i quali seppur differenziandosi per autore e argomento, affrontano il tema del lavoro e gli effetti dell’uomo sul vivere/abitare la terra, cercando di stimolare una riflessione sul preservare e proteggere ciò che ancora rimane di quanto costruito.

Ogni mostra rappresenta un approfondimento sul costruire, con un’attenzione non solo sull’atto in sé, ma sulle motivazioni stesse che spingono l’uomo ad agire, dando vita alle sue creazioni, invenzioni e innovazioni tecnologiche.

Tra gli autori protagonisti celebri storici fotografi, giovani e artisti affermati, il cui lavoro è caratterizzato dall’uso della fotografia tradizionale, ma anche delle tecniche più innovative.

Le opere, tra storia, contemporaneità e innovazione si fondono con il contesto urbano dell’accogliente e internazionale città di Bologna, dove sono state scelte prestigiose location per le esposizioni, tra palazzi nobiliari e sedi universitarie.

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Armin Linke

Quattro indagini sul “costruire”, in dieci mostre differenti

Come definito da Francesco Zanot i lavori presentati si dividono in quattro macro-aree: processi di costruzione e relativo carattere trasformativo, società e politica, febbre di costruire, natura circolare e inarrestabile del costruire.

Albert Renger-Patzch, André Kertéz e Luigi Ghirri sono i protagonisti della prima macro-area inerente i processi di costruzioni e il relativo impatto trasformativo sull’ambiente.

Albert Renger-Patzch, tra gli esponenti della Nuova Oggettività, è in mostra presso la Pinacoteca, con i “Paesaggi della Ruhr”, unico lavoro non realizzato su commissione. Documenta la regione tedesca della Ruhr tra il 1927 e il 1935, mirando, come sostenuto da Simone Förster, all’essenza, alla fisionomia di un paesaggio, al documentario, divenendo così indagatore di paesaggi industriali, interprete di quella che lui stesso ha definito “l’invasione della natura da parte dell’uomo”.

L’ungherese Andrè Kertész, cittadino americano dal 1943, è protagonista della mostra “Tires/Viscose”, presso Casa Saraceni. Noto per essere uno tra i grandi autori della street-photography, nel lavoro in mostra presenta gli scatti effettuati per la rivista “Fortune” durante la guerra presso la fabbrica di pneumatici Firestone, fornitrice delle truppe al fronte e gli stabilimenti della American Viscose Corporation, mettendo a fuoco la ricerca per la realizzazione di una fibra artificiale ed esaltando il rapporto tra uomo e macchina. I lavori in mostra risultano essere dei ritratti, di forte impatto narrativo, trattando, come descritto da Matthieu Rivallin, “i dettagli di un filo o una mano su una macchina come se fossero piccoli still life”.

“Prospettive industriali” a Palazzo Bentivoglio è la mostra del grande fotografo Luigi Ghirri. Il percorso espositivo evidenza il rapporto dell’artista con il mondo e le commissioni industriali. Oltre le opere, per lo più inedite, realizzate durante gli anni ottanta per Ferrari, Costa Crociere, Bulgari e Marazzi, scattate a partire dagli anni settanta e concluse nel decennio successivo, sono presenti dagli album dei provini originali alle cartelle finali. Ritratte attività di vita industriale, progettazione, geometrie, studiando, come commentato da Francesco Zanon, la prospettiva, la differenza tra primo piano e sfondo, l’illusione della fotografia, a metà tra spazio reale e mentale.

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Foto Industria 2019, David Claerbout

Carmi, Linke e Jasse per “Politica e società”

La seconda macro-area inerente società e politica è trattata attraverso le opere di Lisetta Carmi, Armin Linke e Délio Jasse.

Allestita nella splendida cornice dell’Oratorio di Santa Maria della Vita, “Porto di Genova” è la mostra di Lisetta Carmi. Comprende due lavori entrambi eseguiti a Genova nel 1964, uno sul porto di cui ritrae il duro lavoro degli operai e la grandiosità delle costruzioni portuali, l’altro sull’Italsider di cui documenta l’attività dei lavoratori da diversi punti di vista, umani, logistici e nell’interazione con l’ambiente stesso. L’uomo è al centro dello sguardo, come sottolinea Giovanni Battista Martini. Di sottofondo la musica di Luigi Noro, che durante la visita, con l’artista, dell’Italsider nel 1964 ne registrò i suoni e i rumori, ponendoli come sottofondo della sua composizione “La fabbrica illuminata”. Esplicativa la recensione del quotidiano “Il Lavoro Nuovo” dell’11 novembre 1964: “Le stesse fotografie di Lisetta Carmi tendono a cogliere il gesto e la condizione dell’uomo nel quadro del proprio tempo e della propria società. Per cui la fotografia supera subito il limite di illustrazione per diventare strumento di conoscenza e testimonianza di vita”.

“Prospecting Ocean” è il titolo del percorso espositivo di Armin Linke, allestito nella Biblioteca Universitaria. L’artista, da sempre interessato ai cambiamenti del territorio e alle dinamiche politiche ed economiche ad esso legati, ha realizzato, con la collaborazione di differenti profili tra cui scienziati e legali, uno studio documentario sulla gestione dei fondali marini e sul loro sfruttamento. Ne emerge una significativa scoperta, l’esistenza di un mondo sottomarino ricco di connessioni, tubazioni e macchinari finalizzati all’estrazione e alla distribuzione di preziose risorse. A fine 2019 sarà disponibile il libro del progetto edito da The MIT Press. Come riportato da Stefanie Hessler:“l’opera svela luoghi e situazioni solitamente invisibili, gettando uno sguardo su centri decisionali di norma inaccessibili al pubblico. In un momento critico per l’equilibrio ecologico degli oceani , “Prospecting Ocean” ricostruisce la fitta rete di collegamenti tecnocratici fra grande industria, scienza, politica ed economia che rende possibile la nuova frontiera degli scavi oceanici”.

La Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna ospita “Arquivo Urbano” del giovane fotografo Délio Jasse. Protagonista dei lavori è Luanda, Capitale dell’Angola, Paese da lui rappresentato durante la 56ma Biennale di Venezia, che ha subito un forte sviluppo economico verso la fine del secolo scorso fino al collasso avvenuto nel 2014 causato dal forte abbassamento del costo del petrolio, fonte primaria di sostegno per la nazione. Jasse, però, non racconta il suo paese semplicemente con la fotografia, ma sulla fotografia. Per tutte e tre le serie presenti in mostra, Sem Valor (2019), Arquivo Urbano (2019) e Darkroom (2013) la base delle opere sono immagini già esistenti nel suo archivio, che modifica, sovrappone o reinterpreta in vario modo immaginando diversi e future prospettive. Si definisce, dunque, un’utopia urbana che si concretizza con la coesistenza di strutture coloniali con elementi moderni caratterizzanti le nuove costruzioni.

FotoIndustria 2019, Andre Kertesz, Firestone 2
Foto Industria 2019, Andre Kertesz, Firestone 2

La febbre del costruire e ciò che resta

David Claerbout e Yosuke Bandai definiscono e narrano con i propri lavori la terza macro-area, relativa alla febbre del costruire e a ciò che resta.

David Claerbout presso Spazio Carbonesi a Palazzo Zambeccari, presenta “Olympia” ricostruzione digitale dello Stadio Olimpico di Berlino, che ospitò le Olimpiadi nel 1936. Secondo quanto atteso dai gerarchi del Terzo Reich, lo stadio sarebbe dovuto durare mille anni. L’artista, dunque, chiedendosi come apparirà lo stadio tra mille anni tramite un sofisticato software basato su un motore grafico, lo ha collocato in una dimensione spazio temporale senza presenza umana, ma in balia dei cicli della natura, che esercitano un’azione e un forte impatto sull’edificio. Il software, tenendo conto delle stagioni, delle precipitazioni e delle condizioni metereologiche dà vita alla vegetazione che anno dopo anno avanzeranno verso lo stadio soffocandolo del tutto.

L’Istituzione Bologna Musei, Museo Internazionale e biblioteca della Musica, ospita “A Certain Collector B” di Yosuke Bandai, che mette al centro della sua riflessione i rifiuti, oggetto di dibattito e confronto nella Tecnosfera. Egli raccoglie una serie di oggetti abbandonati per strada al fine di allontanali dall’oblio, dalla dimenticanza, ma va oltre in quanto li riproduce con lo scanner presentandole sotto forma di stampe fotografiche, sottraendoli per sempre allo scorrere del tempo e rendendoli immortali. Come definito da Zanot: «Gli oggetti di “A Certain Collector B” sono indicatori minimi del bisogno dell’uomo di costruire…sono l’esito di un processo di assemblaggio che trasforma gli elementi di partenza in qualcosa di completamente diverso. Totem».

La natura circolare, secondo Syjuco e Gafsou

La natura circolare e inarrestabile del costruire, quarta macro-area, è rappresentata dai lavori di Stephanie Syjuco e Matthieu Gafsou.

Presso la Project Room del Mambo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, è presente “Spectral City”, video realizzato da Stephanie Syjuco. L’artista americana di origine filippina ripercorre il medesimo percorso del cable car del film A trip Down Market del 1906 dei Miles Brother (a pochi giorni dal quale San Francisco venne colpita da un fortissimo terremoto che cancellò molti degli edifici ripresi) e lo ricostruisce con il software di Google Earth, eliminando ogni presenza umana. La città, dunque, appare totalmente deserta come dopo un’ enorme calamità naturale, abbandonata, ma non a causa di eventi naturali, ma di azioni del tutto umane. Spectral City induce una riflessione sul continuo ciclo di costruzione e ricostruzione della città.

“H+” di Matthieu Gafsou, allestita presso il Salone d’Onore di Palazzo Pepoli Campogrande è un documentario sul Transumanesimo, abbreviato con la sigla H+, fenomeno secondo cui le innovazioni tecnologiche dovrebbero essere sfruttate il più possibile al fine di potenziare le funzioni fisiche e cognitive, fino al raggiungimento dell’Immortalità. La ricerca, svoltasi presso i laboratori, istituzioni scientifiche e comunità attesta la presenza dei più svariati dispositivi, da quelli medici, quali ad esempio protesi, agli innesti per microchip, ai cibi sintetici, ecc. Come sostenuto da David Le Breton: “Le fotografie documentano i profondi mutamenti che hanno interessato il corpo e il suo status alla fine degli anni ottanta, in seguito alla graduale diffusione dell’automazione. Il corpo non è più la sede irriducibile della persona, ma solo uno dei suoi componenti, una proposta da valutare, non più la radice su cui si basa l’identità dell’individuo. Si è trasformato in materia prima, non ha più valore ontologico, bensì circostanziale”. In tale trionfo di innovazione e ingegneria, l’uomo, dopo aver ideato e costruito ciò che lo circonda, costruisce sé stesso.

Molteplici gli spunti di riflessione offerti da Tecnosfera, che, grazie ai diversi allestimenti e ai protagonisti provenienti da tutto il mondo, apre nuovi orizzonti e prospettive in merito alla situazione attuale e globale del pianeta, inducendo in particolar modo una riflessione sulla responsabilità di ciascuno a contribuire per prendersi cura di ciò che lo circonda e che è stato costruito.

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