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Gravi danni alla Fondazione Cini di Venezia: report dall’isola di San Giorgio
Attualità
L’isola di San Giorgio, sede della Fondazione Cini, emerge dalle acque, isolata eppur costantemente partecipe alla vita di Venezia. Pur trovandosi distante dalle rotte della quotidiana viabilità, la sua posizione cruciale, di fronte a Palazzo Ducale dall’altra parte del bacino di San Marco, l‘ha sempre resa parte fondante dell’identità urbana, anche grazie alla diretta visibilità che ne abbiamo: ci guarda da una ravvicinata distanza, con i suoi ritmi e le sue regole.
La lunga storia dell’isola di San Giorgio
Fin dalla fondazione del monastero benedettino nel X secolo, con l’abate Giovanni Morosini, l’isola fu punto di riferimento spirituale e culturale per tutta Europa, divenendo frequentato centro di studi teologici e artistici. Con l’erezione della Basilica di San Giorgio da parte di Andrea Palladio a partire dal 1560, del refettorio e dei chiostri, la fisionomia del monastero assunse caratteri di moderna ed elegante magnificenza, al punto da accogliere il grandioso telero Le nozze di Cana di Paolo Veronese. La ricchezza e importanza del centro promosse continui rinnovamenti, chiamando Baldassarre Longhena per donare una fisionomia barocca allo scalone d’onore, alla foresteria, al noviziato.
In seguito alla soppressione napoleonica e agli anni di abbandono nel corso dell’Ottocento, si dovrà aspettare il 1951 per vedere l’ampia opera di riqualificazione da parte del conte Vittorio Cini. Egli, con grande sensibilità e intuizione, creò un luogo predisposto a diffondere arte e bellezza, a promuovere e incentivare la ricerca scientifica. Vennero ristrutturati gli ampi giardini nel retro, con la costruzione dell’anfiteatro all’aperto per ospitare concerti e balletti, inoltre, fu fondato il centro di studi umanistici con i suoi Istituti.
Alla base della Fondazione Cini di Venezia, vi è l’enorme raccolta libraria e archivistica che, annoverando più di 300mila volumi, permette, negli spazi dell’antica e moderna Biblioteca, di connotare la Fondazione, per la sua completezza e particolarità, come unico e privilegiato luogo di studio nel mondo.
Il dramma dell’acqua alta alla Fondazione Cini
È di questo fragile e secolare scrigno di bellezza e cultura che vogliamo parlare, perché, isolato al centro della laguna, quindi totalmente esposto alle minacce della marea, è stato devastato dalla forza dell’acqua alta nei giorni dal fatidico martedì, 12 novembre, a oggi, 17 novembre, subendo danni che tristemente rimarranno nella storia dell’isola.
Nella notte del 12, l’acqua è entrata con grande forza nella maggior parte degli ambienti al piano terra, infiltrandosi nei marmi dei chiostri palladiani, creando crepe e chiazze d’umidità nei pavimenti di marmorino veneziano – e il sale dell’acqua, come sappiamo, è estremamente dannoso –, sradicando ben otto secolari alberi del giardino, facendo cedere parti di riva verso la Giudecca, le cui lastre del terreno sono ora alzate e instabili. Come in moltissime realtà di Venezia, le fortissime raffiche di vento hanno spinto l’acqua all’interno con tale impeto da generare ondate torrenziali, che hanno danneggiato anche gli impianti elettrici, i serramenti e gli arredi, in modo da modificare completamente la fisionomia del luogo.
È stato commovente l’aiuto da parte del personale, dei borsisti del Centro Vittore Branca presenti in isola e di numerosi volontari lavorando affinché il patrimonio documentale e librario subisse danni minimi: per fortuna, per la maggior parte custodito nei piani alti, è stato messo al riparo dell’umidità, la cui risalita continuerà comunque a creare problemi.
Tutte le visite guidate alle mostre e l’accesso alle biblioteche sono stati sospesi, mentre il piano terra della Residenza Branca sono rimasti chiusi in questi cinque giorni, ma i responsabili assicurano che da domani, 18 novembre, verrà ripresa l’attività quotidiana, e questo grazie alla generosa e immediata risposta dei volontari.
Il mondo intero guarda a Venezia, ma spesso dimentica di piccole e fondamentali realtà, la cui assenza rappresenterebbe un grave buco nero nel panorama culturale. I ricercatori, gli studenti, gli storici dell’arte e gli impiegati auspicano di poter tornare presto al lavoro, per far splendere ancora la luce di un’istituzione dedita alla cultura, al dibattito, all’incontro tra le discipline, che deve continuare a vivere in salute e bellezza, forte della sua missione ed erede di una tradizione secolare, per un lungo futuro.