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Colore ambiguo e lunatico, il verde è da un lato simbolo di speranza e buona sorte, natura e libertà. Dall’altro è stato associato al veleno, al denaro e perfino al maligno. Giudizi altamente contrastanti, che si sono avvicendati nel corso dei secoli e che sono lo specchio dei cambiamenti socio-culturali. Sicuramente questa premessa è d’obbligo per ricordare come il colore non sia solo una lunghezza d’onda, o una sensazione, ma anche un’idea, un sistema complesso di percezioni e convinzioni condivise da una civiltà. Secondo una recente ricerca, per esempio, un cittadino euroeo su sei avrebbe identificato proprio il verde quale sua nuance preferita. È evidentemente il caso anche di Barbara Baroncini (Bologna, 1989) che, con “È tutto verde”, personale a cura Michele Gentili, ha in qualche modo deciso di omaggiare questa tinta. La mostra è nata a seguito di un periodo di residenza piuttosto lungo che Baroncini ha trascorso, durante quest’estate, negli spazi di Nelumbo Open Project, l’artist-run space di Bologna, in via Arienti, che ha anche co-curato il progetto.
Il tributi di Baroncini a David Foster Wallace
Tributo all’omonimo racconto di David Foster Wallace, dal quale l’operazione ha preso il titolo, il percorso espositivo da Nelumbo comincia con alcuni disegni a grafite in cui Baroncini rappresenta frammenti di giardini ideali nei quali il colore è assente, ma la cui presenza si percepisce chiara, in attesa di essere identificata, come nel caso del protagonista del racconto che, interloquendo con MayFly, sembra in primis quasi rinnegarlo. Poi, una maniglia di terracotta che incarna due piccole gambe indica la portcina in verde acquamarina.
Un breve passaggio basso e stretto che conduce lo spettatore nella seconda sala della galleria nella quale la Baroncini ci mostra il suo personalissimo giardino “segreto” che si concretizza in due pannelli di grandi dimensioni sospesi a soffitto. Nel dittico, realizzato con pittura a secco su intonaco, è evidente la volontà di ripercorerre oggi le tecniche di affresco tipiche dei maestri del passato tenendo fede al proprio segno pittorico. Una comunicazione tra interno ed esterno quella tra il lavoro ed il piccolo giardino, questa volta “reale”, situtato al termine dello spazio espositivo nel cuore della città.