21 gennaio 2020

Hammamet, dalla noia all’irritazione: Gianni Amelio, perché l’hai fatto?

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Gianni Amelio toppa alla grande con Hammamet: un film scritto semplicemente male, che non si salva nemmeno grazie ai trucchi di Pierfrancesco Favino

Hammamet, di Gianni Amelio

Il cinema di Gianni Amelio, a me, è sempre piaciuto molto. Il ladro di bambini, Così ridevano, La stella che non c’è, Il primo uomo e soprattutto Lamerica: film splendidi, laddove non capolavori, con cui il regista ha indagato i diversi tempi e spazi dell’identità italiana e gettato uno sguardo originale sia sulla dimensione soggettiva che sui percorsi collettivi. Anche questa volta, col nuovo Hammamet, Amelio è riuscito in una sorta di miracolo: è riuscito a farmi sentire nostalgia per uno dei film più detestabili della scorsa stagione, Loro di Paolo Sorrentino. Eh sì, perché questo nuovo film sull’esilio (o meglio latitanza) di Bettino Craxi è talmente brutto da far rimpiangere perfino un’opera stracca come la ferale doppietta sorrentiniana su Silvio Berlusconi. Almeno lì, nel vortice dell’autocompiacimento e del manierismo derivativo del regista napoletano, una verve e un’idea di cinema si potevano ancora rintracciare. Il film su Craxi invece manca completamente di un’intuizione di fondo forte abbastanza da renderlo almeno parzialmente digeribile.

Gianni Amelio e Pierfrancesco Favino

Amelio, che ci hai portato a fare ad Hammamet?

Per essere chiari, l’idea di riabilitare il presidente socialista mi suona politicamente aberrante. Ma questo lo sapevo già entrando in sala e speravo di essere preso in contropiede da una di quelle riflessioni stratificate che Amelio sapeva un tempo costruire. E invece Hammamet è, in estrema sintesi, un film scritto male, privo di qualsivoglia conflitto narrativo realmente coinvolgente. La trama dovrebbe ruotare intorno alla figura del figlio di un ex collega di Craxi, che lo raggiunge in Tunisia mettendo a repentaglio la sua stessa vita pur di consegnargli una lettera scritta dal padre prima di suicidarsi. Cosa vorrà davvero questo Fausto? Strappare a Bettino le verità taciute ai giudici? Ucciderlo? Farsi adottare? Si può presumere che questo espediente strutturale sia stato concepito per dare un peso e una cornice originale (allegorica?) al racconto, ma la caratterizzazione dei personaggi è gestita in modo così sciatto che quando il misterioso ragazzo scompare nel bel mezzo di una scena senza lasciare traccia, il film prosegue sereno per la sua strada blanda e bislacca.

Gianni Amelio, Hammamet

Luca Filippi è un bel giovane e non dispiace guardarlo, ma ci sarebbe stato bisogno di un attore di tutt’altra caratura per cavare qualcosa da un ruolo tanto ingrato. Anche le altre parti sono d’altronde tratteggiate in modo spesso sommario, soprattutto quello della figlia (ribattezzata Anita e non Stefania in omaggio ai deliri di identificazione garibaldina di Craxi, non si sa quanto condivisi da Amelio): un personaggio petulante e monocorde, che alla perplessità dello spettatore fa subentrare l’irritazione.

Tra le cose più interessanti del film ci sono due belle sequenze oniriche (una raccontata in monologo, l’altra ricostruita per immagini): anch’esse però, posizionate maldestramente una dopo l’altra, verso la fine, perdono seriamente d’impatto. E le citazioni di alcuni grandi classici del cinema statunitense – da Secondo amore di Douglas Sirk a Le catene della colpa di Jacques Tourneur – risultano tutto sommato superficiali, per quanto gustose.

Douglas Sirk, Secondo amore

Il problema di fondo, d’altronde, è che il film non riesce nemmeno a rendere affascinante la personalità di Craxi, limitandosi a concedergli una serie di tirate difensive piuttosto piatte. Certo, c’è Pierfrancesco Favino, e l’incredibile maestria dei truccatori. Onestamente però i lavori attoriali che davvero ci interessano, ci commuovono e ci mobilitano sono altri: quelli in cui l’interprete può sondare liberamente il vissuto complesso del personaggio, e non quelli in cui deve limitarsi a scimmiottare, pur con grande perizia, i sentimenti stantii del leviatano lestofante di turno.

 

1 commento

  1. Salve, ho visto il film ieri. Ci sono andato perché la mia età (64) e la mia “cultura politica” erano incuriosite dalle motivazioni che hanno spinto il regista Amelio a fare un film sulla figura di Craxi. A me il film non è per niente piaciuto e c’è piena corrispondenza con l’articolo del sig. Marmo. A questo punto tutto avrebbe più senso se ci fosse una ” preregia” per riabilitare la figura di Craxi magari con la volontà di aprire un dibattito al fine di una traslazione del corpo in Italia! Mancante questa volontà il film ha solo l’effetto di abbassare la mia buona considerazione per l’opera di Amelio. Per quanto riguarda l’osannazione sulla parte svolta da Favino ( grandissimo attore), trovo che con il trucco alla “Tale e quale” qualsiasi buon attore avrebbe prodotto lo stesso risultato. Questo del trucco esasperatamente somigliante è un’altra cosa che non capisco e non condivido nel lavoro di Amelio. Forse aveva il timore che non si capisse di chi stava parlando dal momento che il nome di Craxi non è mai stato fatto. Decisamente un film inutile.
    P.S. non sono uso a postare le mie impressioni ma, imbattendomi, casualmente, sull’articolo del sig. Marmo mi sono sentito in dovere di comunicare la mia piena adesione su quanto da Lui scritto in proposito al nuovo lavoro di Amelio.
    Mauro Fracasso Dolo (Ve)

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