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Gli anni Novanta della televisione italiana in mostra a Milano
Fotografia
di Gaia Tonani
È con la firma del fotografo Stefano De Luigi, vincitore quattro volte del World Press Photo, che è stato inaugurato il nuovo progetto “Televisiva” il 5 febbraio, alla Other Size Gallery by Workness di Milano.
Un ciclo espositivo facente parte di un programma interamente dedicato alla fotografia d’autore, con quattro appuntamenti l’anno, che in questo caso propone una trentina di scatti in bianco e nero che ripercorrono i momenti principali della scena televisiva italiana durante gli anni Novanta.
La mostra, curata da Giusy Affronti, (fino al 10 aprile 2020) ci permette di fare un tuffo nel passato, quando i reality ed i programmi d’intrattenimento rappresentavano il Paese, facendoci riflettere su quanto il sistema televisivo influisse, ed ancora oggi continua a farlo, con la società stessa.
All’interno dello spazio polifunzionale, in via Maffei 1 a Milano, una cartina ci accompagna durante il percorso espositivo. Si parte con immagini del 1994, anno in cui era salito alla presidenza del Consiglio Silvio Berlusconi, e ci addentriamo in programmi come “Domenica In”, “Non è la Rai” e “Macao” e personaggi di spicco del costume televisivo italiano, come Paolo Bonolis e Platinette. Infine, per concludere, il viaggio itinerante nella sala “Bistruccio” la rappresentazione del “Grande Fratello” nell’anno 2000.
Un’immagine del Paese che ritroviamo ancora oggi, che dovrebbe indurci in una riflessione sincera sull’epoca in cui viviamo e l’immagine che l’Italia trasmette a sé stessa e non solo, attraverso la televisione.
Una carrellata di volti conosciuti tra il mondo dello spettacolo, ballerine e figure d’intrattenimento costruite dal sistema, che Stefano De Luigi immortala, fotografando i dietro le quinte e gli studi delle trasmissioni più popolari dell’epoca.
Sono scatti che rappresentano i modelli comunicativi imposti dal sistema, in cui è più importante la tipologia delle notizie urlate e diffuse che la verità stessa di queste news.
Ambiguo il richiamo quasi accusatorio che la mostra decide di trasmettere con lo spazio in cui viene accolta, ambiente nato con il desiderio di mettere al centro la persona e le sue necessità.