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Mediaset è un problema enorme e le Sardine fanno finta di non capirlo
Politica e opinioni
La notizia è di ieri. Come riportato dalle maggiori testate nazionali e dalla stessa pagina ufficiale del movimento, le Sardine apriranno la prima puntata della nuova stagione di Amici, lo show targato Mediaset, ormai arrivato alla 19ma edizione. Da quanto si apprende, sul palco della storica trasmissione saliranno Mattia Santori, leader del movimento, Jasmine Cristallo, portavoce delle Sardine del Sud e Lorenzo Donnoli, uno dei portavoce nazionale.
L’intervento sul canale Mediaset dovrebbe essere incentrato sull’odio e nel pubblico dovrebbero partecipare più di 40 Sardine da tutta Italia. Consci delle eventuali polemiche, hanno giocato d’anticipo dichiarando: «Abbiamo accettato la proposta di partecipare per lanciare un messaggio ai tanti ragazzi che seguono il programma, il confronto con un pubblico il più ampio possibile è sempre stato nel nostro DNA.
La dimensione politica delle Sardine non può e non deve essere snob, evitando il rischio, questo sì reale, di chiudersi in una comfort zone in cui parlare tra pochi o di strumentalizzare ogni argomento per trasformarlo in quel populismo che invece siamo nati per combattere». E ancora: «Siamo da sempre favorevoli alle contaminazioni, specie quelle culturali, artistiche e creative. Andiamo da Maria De Filippi con lo stesso principio e siamo pronti a raccogliere i vostri consigli e i vostri appelli alla cautela. Ma non etichettiamo tutti perché contro le etichette e gli stereotipi siamo nati».
Non è la prima volta che il programma accoglie esponenti della vita pubblica: c’è stata quella volta che fu ospite della De Filippi lo scrittore Roberto Saviano. Come dimenticare poi l’entrata a effetto con giacca alla Fonzie del deandreottiano Matteo Renzi. In questo bel quadretto, le Sardine faranno da apripista a una molteplicità di ospiti, veri VIP o (perlopiù) finti tali, tra i quali ci saranno i sempiterni Albano e Romina e l’ex leader dei Thegiornalisti. In quel continuo freak show che è ormai la televisione italiana, Amici dovrebbe essere la versione nazionalcommerciale di Sanremo, un mese dopo.
Ma tornando al merito della questione Sardine, qui il problema non è essere snob o etichettare qualcosa o qualcuno ma, semmai, rendersi conto che il modello culturale Mediaset e, nella fattispecie, dei programmi di Maria De Filippi (consultare alla voce: Uomini e Donne o C’è posta per te), è uno dei più grandi problemi di questo Paese. Modello culturale che è la base essenziale di quei fenomeni che le Sardine dicono di voler contrastare. Non capirlo significa non rappresentare quel cambiamento che si vorrebbe far credere di essere.
Molti di coloro che leggeranno queste parole penseranno: «È così ovvio, cos’altro ti aspettavi?». Eppure, all’inizio, quando il movimento muoveva i primi passi e riempiva le piazze emiliano-romagnole, l’impressione e l’accoglienza generali non sono stati di repulsione, anzi. Molti hanno osservato con curiosità il fenomeno. L’effetto è stato alquanto liberatorio, come quando l’aria nella stanza è talmente viziata che qualcuno deve finalmente aprire una finestra. In tutta onestà, anche chi scrive ha detto, come molti, “whatever works” contro la deriva presa dal Paese. Ma l’illusione è durata poco, il cattivo odore è rimasto insieme a noi nella stanza e la finestra è tornata a chiudersi. In epoca di pandemie digitali parlare in questi termini può suonare sgarbato…ma tant’è.
In breve, quasi immediatamente dopo la vittoria di Stefano Bonaccini alle elezioni regionali, gli esponenti alla guida del movimento non hanno fatto altro che inanellare una serie di errori madornali: inizialmente la sciagurata foto con Luciano Benetton che è costata l’ipocrita epurazione di Oliviero Toscani. Più recentemente poi, come non menzionare il flop napoletano (passato in sordina), dove il leader Santori è letteralmente scappato di fronte alle rivendicazioni dei movimenti che operano sul territorio da anni, che hanno provato a ricordargli che l’Italia non è tutta come l’Emilia Romagna e a chiedergli delucidazioni rispetto alle linee politiche da adottare. Error 404, risposte non pervenute. Nel percorso che ha portato a questa fuga in perfetto Bugo-style, come non menzionare poi l’abbandono della bislacca frazione romana, alcune epurazioni in stile Cinque Stelle e una serie di interventi televisivi talmente approssimativi che hanno travalicato la supercazzola, con tutto il rispetto per quest’ultima. Roba che Monicelli non vorrebbe più il merito per aver diretto Amici miei.
Ed eccoci arrivati in prime time sulla rete ammiraglia. Fininvest/Mediaset rappresenta molto di più in questo Paese che una semplice azienda che opera nel settore dei media. È ed è stata uno dei principali agenti culturali. Se consideriamo semplicemente quattro parametri chiave, cioè politica, mercato, tecnologia e società, dalla sua fondazione a oggi, è stata uno dei principali strumenti di formazione dell’opinione pubblica. Per non parlare dell’impatto che ha avuto sui consumi e sul costume.
La sua capacità di adattamento ai tratti peculiari dell’italianità e le strategie estremamente sperimentali adottate in ciascuna di queste quattro aree ha contribuito al suo successo nell’epoca del trionfo neoliberista. Per esempio, i legami strettissimi con la politica, la capacità di prevedere e adottare strategie di marketing pionieristiche, la difesa dello status quo normativo e tecnologico e, infine, l’identificazione totale e bidirezionale con l’opinione pubblica e la società italiana. Tali fattori – e alcuni altri –, hanno reso questa impresa qualcosa di più di una semplice azienda alla ricerca del mero profitto. È ormai a tutti gli effetti un asset del “sistema Italia”.
Soltanto l’avvento di internet e dei social media è riuscito a interrompere quell’egemonia culturale che sembrava imperitura. Questo non ha tuttavia impedito che quei modelli di formazione, completamente assorbiti e operativi nel quotidiano, abbiano visto un travaso e una sovrastrutturazione negli spazi digitali di internet. Sono diversi anni che assistiamo inermi al lento declino del berlusconismo. Evento di importanza epocale nella storia italiana, paragonabile al ventennio fascista o ai quarant’anni di dominio politico della DC, in termini di costruzione del consenso e incisività nella sfera pubblica. Se per gli ultimi due casi la catarsi è stata rappresentata, nell’ordine, dalla Resistenza e poi da Tangentopoli, il lungo finale del trentennio berlusconiano non è stato poi così traumatico. Ma proprio la mancanza di un vero momento di chiarificazione storica ha fatto sì che i suoi lasciti siano rintracciabili in tutta la sfera sociale e politica, perfino nelle Sardine che per chiudere il cerchio vanno appunto in una trasmissione Mediaset.
Le eredità di quest’era geologica televisiva sono sicuramente rintracciabili nel modello politico salviniano, trascendente ogni regola del buonsenso e, se vogliamo, del buongusto. La violenza verbale, il mito della donna-oggetto, la paura venduta un tanto al chilo, i rosari sgranati in nome della Madonna, la mitopoiesi delle forze dell’ordine buone e giuste, la predominanza di un Nord produttivo e di un Sud terrone che si ubriaca a Milano Marittima. Tutti questi sono punti nodali nella costruzione del modello culturale berlusconiano. Ma quelle eredità le troviamo anche nei tanto vituperati Cinque Stelle, che a ben guardare hanno il loro germoglio nella TV berlusconiana fatta per indignare gli indignados.
Programmi come Striscia la notizia o Le Iene hanno preparato per anni il sostrato culturale per l’avvento di una forza politica che avesse quale unico scopo il repulisti. Per non parlare del dogma dell’uno vale uno e della capacità decisionale diretta, assimilata in tantissimi anni di reality show. Ma guardando attentamente, le troviamo nello stesso Partito Democratico, che nel suo mito fondativo vede la consacrazione della vittoria del neoliberismo o, come suggerirebbe il nome di una divertente pagina su Facebook, L’ennesima vittoria del capitalismo.
L’idea di dover diluire la componente “sinistroide” assimilandola all’area centrista è stata per anni un hidden project di gran parte del capitalismo italiano, che ha trovato l’epitome perfetta in Berlusconi. La sua retorica anticomunista, l’idea di utilizzare ataviche paure e quella di delegittimare l’avversario buttandolo nello stesso calderone nichilista dei corrotti, hanno per anni condizionato il dibattito pubblico spingendo la parte avversa a credere che fosse giusto e necessario effettuare determinate scelte di sostanza politica e abbassare di parecchio la soglia del compromesso. Tutti capolavori del potere linguistico verbale e visuale del berlusconismo che è stato usato come una clava. Tutti elementi che ritroviamo in pieno nell’ecosistema politico sociale attuale.
I programmi della De Filippi sono un miscuglio di giovanilismo anni ‘90 e retorica del self made/self help con quella nota un po’ terrona dell’ “aiutati che Dio ti aiuta”. Un concentrato di TV del dolore e dell’ormone, in alcuni casi anche senile. Una TV che ha speculato per anni sulle miserie umane degli italiani e che ha avuto sui trentenni di oggi un effetto devastante. Anche se oggi cerca di posizionarsi in un’area radical-pop libertaria è stata, insieme a tutto il baraccone, uno dei principali strumenti nella formazione dell’attuale flora e fauna italiana.
Tornando alle Sardine: mentre la sinistra a livello globale vede la rinascita del filone socialista/verde – come scrivevamo nei nostri interventi su Bernie Sanders e sul Sinn Féin – e contesta in maniera radicale i mass-media mainstream, in Italia lo spettro si allarga a dismisura, con il suo consueto effetto distorsivo. Si può passare in leggerezza, sempre citando una pagina Facebook, dal “Tizio di destra che ti spiega come essere di sinistra” del gruppo Renzi, Calenda&co, al prammatismo ultragovernativo del PD, fino ad arrivare alla più totale vacuità delle Sardine.
Unknown source Se qualcun* conosce la fonte di questo capolavoro mettiamo volentieri i credits.
Publiée par Il tizio di destra che ti spiega come essere di sinistra sur Vendredi 21 février 2020
Tutti attori sordi e indifferenti, però, alle richieste del loro pubblico che pure ci sarebbe. Come ebbe a dire Berlusconi in una famosa intervista alla Stampa: «Il nostro modello culturale è la modernità». Parafrasando quindi, si potrebbe dire con Berlusca che la modernità è un’epoca evidentemente al tramonto e che, oggi, è rappresentata meglio dal passato che dal futuro. Forse le Sardine hanno fatto lo stesso ragionamento e non ce ne siamo accorti?