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Dopo l’era dell’accelerazionismo e della sua filosofia, oggi più che mai sembriamo sempre più vicini a una nuova “era della decelerazione”. Ed è utile riflettere sulla velocità che, negli ultimi trent’anni, ha portato all’implosione che stiamo vivendo.
Nel 2018, Nero Edizioni ha pubblicato la prima traduzione italiana di Capitalism realism, il saggio più celebre di Mark Fisher, stimolando la curiosità del pubblico nostrano nei confronti della sua opera. Critico musicale, esponente della cultural theory e ideatore del celebre blog k-punk, Fisher ha scavato un solco profondo all’interno del dibattito intellettuale contemporaneo, riaccendendo l’interesse dei lettori – testimoniato da una vera e propria cascata di meme sul tema – verso l’accelerazionismo, corrente di pensiero estremamente eterogenea, più simile a un magma multidisciplinare di idee provenienti da campi del sapere diversi (letteratura, politica, musica, fantascienza, teoria critica) che a una filosofia in senso stretto. Nonostante l’origine di questo filone sia legata ad ambienti di ricerca, non esistono veri e propri studi accademici a riguardo; si tratta di una corrente “sotterranea”, sviluppatasi su internet e in sedi non istituzionali, come i blog e i forum di discussione dedicati.
Il bel saggio d’esordio di Tiziano Cancelli, How to accelerate. Introduzione all’accelerazionismo (Tlon edizioni, 2020, euro 13), pone un rimedio a questo vuoto conoscitivo. In poco più di un centinaio di pagine, Cancelli dà corpo a un volumetto di estrema efficacia, riuscendo nel difficile compito di fornire al lettore un quadro solido dello stato dell’arte dell’accelerazionismo, dalle sue manifestazioni embrionali alle sue più recenti configurazioni. Pur trattandosi di una filosofia con tre decenni di storia spalle, ricavare una definizione univoca dell’accelerazionismo, in grado di stabilirne in maniera definitiva gli elementi costitutivi, è una missione impossibile: si tratta di un fenomeno mutevole, soggetto a continui rimaneggiamenti e configurazioni. Negli anni, le scissioni accademiche interne al movimento hanno dato vita a una pluralità di indirizzi in parziale antitesi tra loro: c’è chi sostiene un acclerazionismo “di destra” (Right Accelerationism), chi un accelerazionismo “di sinistra” (Left Accelerationism) e chi, ancora, un accelerazionismo “incondizionato” (Unconditional Accelerationism).
Verso la disgregazione
Tuttavia, come sottolineato dall’autore, tutte queste dottrine trovano un elemento di comunanza, ossia “l’idea secondo cui l’unico modo per andare oltre il sistema capitalistico sarebbe quello di accelerarne la tendenza alla disgregazione”. In quest’ottica, la tecnologia assurge al rango di vera e propria forza rivoluzionaria, l’unica capace di accompagnare l’essere umano sulla via del pieno dispiegamento delle proprie potenzialità.
Anche se è possibile scorgere i primordi di un accelerazionismo ante litteram nell’ambito della filosofia post-strutturalista francese degli anni Settanta, in particolare ne L’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari, che individuavano nel desiderio la radice di ogni processo produttivo, e nel concetto di jouissance coniato da Lyotard in Economia libidanale, il passo in avanti decisivo per la compiuta affermazione di questa peculiare forma di eresia politica avvenne nell’Inghilterra della metà degli anni Novanta.
Nel 1992, il politologo statunitense Francis Fukuyama diede alle stampe un pamphlet – The End of History and the Last Man – destinato a fare accademia. La tesi centrale del saggio era che, con il crollo del muro di Berlino, la fine dalla divisione del mondo in due blocchi, la dissoluzione dell’URSS e il definitivo trionfo delle democrazie liberali e del sistema capitalistico, la storia avrebbe sostanzialmente esaurito il suo corso, rendendo ininfluente ogni successivo sviluppo. Tre anni dopo, presso il dipartimento di filosofia dell’Università di Warwick, la teorica cyberfemminista Sadie Plant fondò la CCRU (Cybernetic Culture Research Unit), un team di ricerca composto da personalità appartenenti ad ambiti trasversali, come la docente italiana Luciana Parisi, il musicista Steve Goodman, conosciuto con lo pseudonimo di Kode9, fondatore dell’etichetta Hyperdub, il filosofo e blogger Nick Land, lo scrittore e film-maker afro-futurista Kodwo Eshun e il summenzionato Mark Fisher.
La CCRU segnò l’inizio dell’esperienza di ricerca più allucinogena della storia recente: le riunioni del collettivo erano “più simili a un sabba che a un think tank universitario”. I loro incontri erano scanditi da una ritualità del tutto inusuale per l’ambito accademico, caratterizzata dalla lettura di autori come Lovecraft, Aleister Crowley, Ballard e Philip K. Dick, dall’analisi di capisaldi della cinematografia fantascientifica come Terminator, Blade Runner e Il Neuromante e dall’incessante sottofondo di musica techno, in una continua tensione tra fiction, esoterismo, cultura pop ed elaborazione filosofica. In quegli anni, i membri del CCRU ripresero il discorso portato avanti da Deleuze e Guattari vent’anni prima, attualizzandolo alla luce degli sviluppi che seguirono alla fine della guerra fredda; in quest’ottica, il progresso tecnologico veniva percepito come il solo mezzo attraverso il quale immaginare la vita dopo la fine della storia teorizzata da Fukuyama: “la nascita di internet e l’utilizzo sempre più diffuso su scala mondiale dei personal computer – scrive Cancelli – permette la creazione di network globali interconnessi, capaci di aumentare esponenzialmente la velocità di ogni processo del reale nel suo insieme, contribuendo a forgiare in maniera decisa il senso di quell’epoca”.
L’apparato di sicurezza
Un anno prima della costituzione della CCRU, Sadie Plant e Nick Land scrissero il saggio Cyberpositive, che tracciò le linee guida dell’accelerazionismo della prima ondata: “Secondo i due autori, con l’avvento del capitalismo e la conseguente rivoluzione tecnologica legata principalmente all’utilizzo dei personal computer, l’umanità si sarebbe finalmente ritrovata faccia a faccia con la reale natura delle sue costituzioni sociali: nient’altro che un immenso apparato securitario, un dispositivo di controllo costruito diligentemente al fine di “proteggere” l’essere umano dalla forza abissale del caos”. Da questo punto di vista, secondo Plant e Land, tutte le relazioni umane sarebbero parte di un dispositivo di controllo denominato Human Security Sistem. A detta dei due autori, rompere ogni tipo di legame con la tradizione, accelerando in tal modo il processo autodistruttivo del capitalismo di sorveglianza, rappresenta “l’unico modo per guadagnarsi una via di fuga e garantirsi la possibilità di esplorare finalmente l’universo del “postumano” disvelatosi grazie alla potenza della mediazione tecnologica: il desiderio è divenuto macchina”.
Nel 1997, Sadie Plant abbandonò la CCRU e Nick Land prese le redini del collettivo, ma le sue posizioni dispotiche e reazionarie indirizzarono gli studi del gruppo verso l’occultismo, lo sciamanesimo e l’esoterismo, allontanandolo dagli intenti teoretici degli inizi e spingendolo sempre di più tra le braccia dell’alt-right. Fu Mark Fisher, nel 2008, a gettare le basi teoriche per una riconsiderazione critica del concetto di “accelerazione”, attraverso il suo Realismo Capitalista, testo fondamentale, considerato come il manifesto del Left Acelerationism per via della sua forte vocazione anticapitalistica.
Quali saranno le alternative?
In questo breve saggio, Fisher torna a mettere in discussione il celebre There is no alternative tatcheriano, centrando la propria analisi sull’opera di “colonizzazione dell’immaginario” portata avanti dal capitalismo contemporaneo, una forza totalizzante, capace di creare l’illusione di un eterno presente soggetto continuamente alle logiche del capitale stesso, negando in tal modo la possibilità di qualsiasi alternativa a quello che viene presentato come l’unico sistema realmente percorribile, tagliando fuori ogni modello che ritenga possibile situarsi al di fuori delle logiche del consumo e del profitto. Di conseguenza, se Land “immaginava il capitalismo come un essere superiore, un’intelligenza aliena in grado di manipolare gli uomini a suo piacimento e di governarne le azioni”, per Fisher vale l’opposto: il capitalismo viene configurato come “un organismo morente, parassitario, che sopravvive unicamente grazie alle energie che sottrae al suo ospite”.
Orientarsi nel mare magnum di approcci metodologici proprio dell’universo accelerazionista è un compito arduo. Parafrasando Claudio Kulesko, che ha curato l’introduzione del volume, “Per la filosofia contemporanea, l’accelerazionismo ha rappresentato qualcosa di molto simile a quel che il punk è stato per la musica anni Settanta/Ottanta: un elettroshock, una scarica di adrenalina, l’apparizione catastrofica di una metodologia selvaggia e indisciplinata, di uno stile imprevedibile e provocatorio”. Tuttavia, in un’epoca sempre più segnata dagli sviluppi dellaQuarta rivoluzione industriale, in cui tengono banco temi come la sostituzione tecnologica (uno dei leitmotiv del World Economic Forum di Davos dello scorso anno) e il transumanesimo, approfondire lo studio dell’accelerazionismo può rappresentare un buon punto di partenza per una migliore comprensione del presente e del futuro. Per cui, se desiderate introdurvi nei meandri di questa dottrina composita, schizofrenica e dai contorni non definiti, in grado di inglobare al proprio interno elementi all’apparenza inconciliabili, dall’occultismo alla musica jungle, dall’immaginario cyberpunk alla rave culture, How to accelerate è il saggio che fa per voi.