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In questo nuovo appuntamento con le interviste ai galleristi abbiamo raggiunto Pepi Marchetti Franchi, direttrice della sede romana di Gagosian, per farci raccontare come stanno affrontando la crisi e quali scenari futuri immaginano per il mercato.
Larry Gagosian fondò la sua prima galleria a Los Angeles nel 1980. In quarant’anni Gagosian si è trasformata in un network globale con 18 spazi espositivi a New York, Los Angeles, San Francisco, Londra, Parigi, Ginevra, Basilea, Roma, Atene e Hong Kong.
Sin dal 2007, anno della sua apertura a Roma, Gagosian sotto la guida di Pepi Marchetti Franchi, ha presentato oltre 50 mostre, dedicate ad alcuni dei più grandi artisti internazionali: da Georg Baselitz a Lawrence Weiner, a Cindy Sherman proseguendo poi con Anselm Kiefer, Alexander Calder, Yayoi Kusama, Takashi Murakami, Ed Ruscha, Walter De Maria, Damien Hirst, Giuseppe Penone, Helen Frankenthaler, e molti altri.
In queste settimane stiamo assistendo al proliferare di iniziative di beneficenza, i primi a essere chiamati all’azione sono stati gli artisti. Crede che questo modello basato sulla gratuità del lavoro artistico possa creare un precedente rischioso per gli artisti stessi?
«Credo semplicemente si tratti del potenziamento di un fenomeno ben noto anche prima della pandemia e i cui limiti erano già evidenti. Ciononostante, ora più che mai, gli artisti vogliono esercitare un ruolo attivo nella società e far sentire la propria voce».
David Zwirner ha aperto la sua piattaforma online ad altre 12 gallerie. Credete sia utile trovare un modo per fare rete e contribuire alla creazione di un sistema reale con una voce più forte e unitaria?
«Senz’altro è fondamentale consolidare una rete e ho delle idee al riguardo di cui spero di poter parlare a breve. Il nostro è un ecosistema fatto anche di realtà evidentemente più fragili sotto diversi punti di vista, ma che sono essenziali».
Quanto crede inciderà questo momento di stop sull’economia del sistema?
«Il mercato non si è completamente fermato, ma di certo i danni potrebbero essere irreversibili se a breve non si manifesterà un’inversione di tendenza».
Crede che le fiere riusciranno a rendere recuperabile questo margine?
«Le fiere sono l’anello debole della catena in questo momento, visto il distanziamento sociale richiesto ai cittadini di tutto il mondo e l’ipotesi che queste misure ci accompagneranno a lungo».
Qual è il più grande ostacolo che sarete costretti a superare nei mesi a venire?
«Continuare a dare visibilità agli artisti e valorizzare pienamente il loro lavoro, qualora ci trovassimo nella situazione di non poter riprendere la normale attività degli spazi espositivi».
Come pensa cambierà la fruizione delle mostre nel breve e nel lungo termine?
«Le mostre come dispositivo manterranno la loro importanza. É probabile che assisteremo a una selezione naturale delle proposte, con la scomparsa di quei progetti espositivi che non avevano una forte motivazione di esistere. La qualità non potrà che guadagnarci».