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Miltos Manetas: mostra aperta solo se Assange sarà liberato
Arte contemporanea
di Silvia Conta
Al Palazzo delle Esposizioni di Roma, nella Sala Fontana, l’unidici maggio sarà inaugurata la personale di Miltos Manetas (1964, Grecia) “Condizione Assange – Quaranta ritratti di Miltos Manetas . Una mostra che apre per restare chiusa”, che rimarrà non accessibile al pubblico anche nel caso in cui, dopo il 18 maggio, l’istituzione dovesse riaprire.
«“Condizione Assange” vuole essere soprattutto un’operazione che coglie, nella coincidenza fra la lunga storia di reclusione e isolamento – prima da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, poi, dopo il “sequestro”, nelle prigioni inglesi – di sovraesposizione mediatica e, allo stesso tempo, di riduzione al silenzio di Julian Assange, molte analogie con la condizione vissuta da miliardi di abitanti del pianeta, in queste settimane», ha dichiarato Palazzo delle Esposizoni nel comunicato stampa.
Le opere in mostra
La mostra comprenderà «una serie di circa quaranta ritratti di Julian Assange eseguiti da Miltos Manetas tra febbraio e aprile di quest’anno e vuole rappresentare, fra le molte cose dette e fatte in questi ultimi due mesi in tutto il mondo, un particolare, forse paradossale, contributo di riflessione sulla condizione della reclusione, dell’isolamento, dell’impossibilità dell’incontro», ha spiegato l’istituzione.
La mostra diventerà accessibile solo nell’eventualità in cui Julian Assange verrà liberato, ha spiegato l’artista in una lunga intervista di Cesare Pietroiusti, Presidente di Azienda Speciale Palaexpo: «Per me, le opere non possono essere viste dal vero non perché il Museo è chiuso ma perché Assange vive, ormai da anni, da sequestrato: non lo puoi vedere di persona – anche se puoi vedere innumerevoli foto e video suoi. Abbiamo infatti deciso che, se per caso la sua condizione si risolve mentre la mostra è in corso [non è stata comunicata la data di conclusione della mostra, n.d.r.], apriremo anche noi “Condizione Assange” al pubblico al più presto possibile, che sia per un mese, un giorno, un’ora, non ha importanza! Questo potrebbe succedere: lo vogliono morto e l’hanno lasciato in una prigione piena di COVID. D’altra parte, è possibile che la legge internazionale venga alla fine rispettata e che Assange venga rilasciato: speriamo!».
E, come dall’inizio del progetto #AssangePower, sul suo profilo Instagram Miltos Manetas regala i suoi ritratti di Assange a chi, sotto al post con l’immagine del dipinto, scrive “voglio questa pittura”.
Ma la mostra si può “vedere”…
«L’unica modalità per conoscere ed esplorare “Condizione Assange” rimarranno la sua comunicazione e la sua documentazione attraverso i canali social, Instagram, Facebook e Youtube, e digitali di Palazzo delle Esposizioni e il profilo Instagram condizioneassange creato dall’artista per essere riempito di contenuti a partire dal momento dell’inaugurazione, l’11 maggio alle ore 18» ha proseguito Palazzo delle Esposizioni.
Attraverso questi mezzi Palazzo delle Esposizioni metterà a disposizione del pubblico vari strumenti di approfondimento, come la citata intervista di Cesare Pietroiusti a Miltos Manetas che tra qualche giorno potrete trovare sul sito, di cui di seguito riportiamo alcuni passaggi.
Vi offriamo anche un testo di Valentino Catricalà, che contestualizza la mostra rispetto alla pandemia, di cui potete trovare qui sotto versione integrale e inedita.
L’intervista di Cesare Pietroiusti a Miltos Manetas
Vi proponiamo alcuni estratti dell’intervista:
«A un certo punto hai deciso di realizzare dei ritratti di Julian Assange. Uno al giorno, o quasi. Quando hai cominciato? Perché Assange? Perché quadri a olio?
«23 febbraio 2020. Yanis Varoufakis e diversi compagni del Diem25 sono a Londra. Insieme con Brian Eno, Roger Waters, Vivienne Westwood, Zižek e altri stanno cercando di attirare l’attenzione dei media sul caso Assange: non è facile, a pochi interessa in quel momento, la condizione di un uomo “chiuso dentro” da ormai otto anni. Però, di lì a pochi giorni, la condizione di Assange diventerà una condizione simile a quella di tutti noi, una cosa che non si poteva immaginare… […]
Forse mi sono buttato in questo progetto “per aiutare Assange”, ma ora, con l’epidemia in corso, i termini della questione sono cambiati. Fatto sta che ho deciso di dipingere un ritratto per ogni giorno che lui passa in prigione. E, naturalmente, regalare tutto ad altre persone».
«I ritratti vengono pubblicati sul tuo account Instagram e la prima persona che esprime un “like” diventa proprietaria del ritratto di quel giorno. Cosa c’è dietro questo meccanismo? Un sostegno a favore di una persona perseguitata? Un esperimento sull’uso dei social? Una valorizzazione del dono come critica del mercato dell’arte?»
«Il ritratto non va alla prima persona che esprime un “like” ma al primo che dichiara esplicitamente: “voglio questa pittura”. Se c’è un dono, sono anche io a riceverlo perché, se non ci fosse qualcuno che desidera il quadro, il progetto non esisterebbe, e probabilmente avrei smesso di dipingere Assange. Ripensando alle ragioni che mi hanno portato a fare tutto ciò, credo che all’inizio stavo cercando di stabilire una qualche forma di “relazione” con Assange. In un certo senso questa relazione si è manifestata quando ho visto che così tante persone erano entusiaste di ricevere i suoi ritratti: in qualche modo ho sentito che lui stesse diventando partecipe alla mia “lotta” come artista, e io alla sua – anche se si tratta di lotte molto differenti.
A proposito dei social media direi che, da quando esistono, sono il mio studio, tutto quello che faccio passa di là. Non c’era la volontà di esprimere una critica al mercato, direi piuttosto che è emerso il bisogno, pratico ma anche psicologico, che qualcuno acquisisse quei ritratti di Assange immediatamente, appena fatti. Non era importante ricevere denaro e neanche era rilevante il profilo dell’acquirente. Dovevo avere la sensazione di darli a qualcuno. E così è nata l’idea dell’offerta gratuita».
Miltos Manetas e il riposizionamento dell’arte al tempo del coronavirus
di Valentino Catricalà
«Inizia con un messaggio whatsapp la conversazione, dopo quella vocale, con Miltos Manetas. Uno di quei messaggi lunghi, che per vederlo devi cliccare il tasto “continua a leggere”. E così scorri il dito usando un’applicazione (whatsapp) non fatta per la messaggistica lunga, ma breve, anzi, spesso, brevissima. Stavo per scrivere se poteva inviarmi una email, più adatta a quel tipo di messaggi, ma poi ho capito che era proprio così che Manetas voleva esprimere la sua idea: non con un messaggio di “posta” ponderato, ma uno istintivo, di getto, preso dalla stessa ispirazione che spinge il pittore a fare quella specifica pennellata lì, senza perché e senza troppe spiegazioni.
Manetas conosce bene il potere della tecnologia, è stato uno dei primi a capirne la forza propulsiva per il mondo dell’arte e, allo stesso tempo, l’importanza dell’arte come potenza di indagine di una realtà sempre più tecnologica. E il messaggio di whatsapp con scritto “comincerò a scriverti non stop…anche perché corre voce che presto whatsapp smetterà di funzionare fatalmente sottomessa sotto il peso di tuta questa comunicazione!”, suona proprio come una riflessione apocalittica, e il messaggio lungo, come un atto politico.
Una riflessione in tempo di crisi, in un tempo nel quale la maggior parte della popolazione mondiale è reclusa in casa, nel quale il capitalismo mondiale si è fermato, bloccato, stoppato. Quel capitalismo basato sul continuo movimento, sul costante contatto, sullo scambio, sull’eccesso di produzione, tutti termini banditi ora da una emergenza sanitaria globale. Tutti guardiamo con terrore o interesse alla situazione, e forse è proprio questo il momento di guardare agli artisti.
E non è un caso che, guardando al profilo di Manetas su Instagram, abbiamo visto apparire dei ritratti di Julian Assange, di un recluso, da molti anni in stato di quasi quarantena. Una quarantena politica, ovviamente, non sanitaria. E così dal primo ritratto che l’artista fece, veloce e di getto, si è passati ai tanti ritratti quotidiani, alle molte interpretazioni del volto particolare di questo particolare personaggio. Una narrazione quotidiana attraverso la reinterpretazione continua dell’attivista francese, quasi a esorcizzare una condizione universale che ci rende tutti Assange. Sì, perché la reclusione sanitaria è inscindibile da una riflessione economica-politica. Siamo tutti Assange ci sta dicendo Manetas. Come Assange, il mondo dell’arte sta perdendo i suoi privilegi, facendo emergere fondamentali domande che in parte avevamo dimenticato.
“Estella” sta per essere acquistato! Con qualche dollaro in più la pittura potrebbe essere tua! In Asta per ancora 5 ore”, scrive Manetas. E, così, vediamo uscire dal suo profilo altri dipinti, stavolta in vendita all’asta. Una riflessione che arriva all’osso della questione economica dell’arte contemporanea, una questione che ci sembrava scontata. Come pago lo studio? E la casa? Come vivo? Ora che la mia economia dipendeva da quella dell’economia globale, dagli avanzi lasciati dal capitalismo, dai suoi resti. “Questo tutto cambia!”, afferma Manetas. Tutto! Addirittura i soggetti delle opere d’arte.
Cavi, joystick, volti illuminati da schermi in stanze semibuie, erano questi i soggetti di Manetas. Espressione di una nuova umanità nascente, in cui l’uomo diventa oggetto fra gli oggetti, cosa, come il cavo o lo schermo. Nessun volto è riconoscibile, nessuna personalità. E questa umanità adesso sta cambiando. Quella era una umanità che non doveva pensare più ai bisogni primari. Una umanità che aveva compensato uno stato di benessere relativamente stabile. Non c’è “bisogno di” nei dipinti di Manetas, o “ricerca di qualcosa”; c’è accettazione acritica dell’esistente, essere presenti a sé stessi. E basta.
Ma oggi, ripetiamo, per l’artista, qualcosa cambia. Questa nostra condizione ci sta facendo ripensare ai nostri bisogni primari, ci sta facendo esseri in ricerca di qualcosa. Il soggetto dell’arte, cambia. A questo punto dal postinternet si passa alla postrealtà: una nuova condizione di ricerca dei privilegi all’interno della perdita dei privilegi.
E così Manetas sente il bisogno di dipingere cani, perché cani? Non importa, forse dopo può diventare “alberi”, o “lampioni” o qualsiasi altra cosa. Il punto è un ritorno del reale all’interno dell’irreale: un postreale. E questo è foriero di una nuova economia.
Instagram, o Facebook, diventano così una luogo di accoglimento, il luogo dove noi facciamo esperienza dell’arte, come a entrare nello studio dell’artista, nella sua intimità. Il mondo dell’economia dell’arte, la vendita, ritorna all’artista, a mediare non è più la gelleria, ma il social network. Un’economia che si sgonfia, che ritorna a una accessibilità non più esclusiva, ma inclusiva.
Come definire il loro prezzo, si chiede l’artista. Sempre in quel lunghissimo messaggio di whatsapp, ci spiega: “Ho fatto un calcolo, quante pitture Emergency devo fare all’anno per continuare a vivere privilegiato, sono 333. Se guadagno almeno 150 $ da ogni una, faccio 50.000 US l’anno, I soldi che mi servono per pagare Sabina e Postinternet, la scuola di Alpha, la Domestica, cibo e vestiti. Date che sono ambizioso e voglio anche – possibilmente – un “privilegioPlus”, ho deciso di mettere le opere Emergency in Asta, Io stesso nei Social e guadagnare eventualmente un po’ (o anche molto) di più. Ho già venduto 5 di queste opere -in questa settimana- per 600, 400, 450, 350, 500 US , non male!”
Già, non male. Non male perché non è solo una questione di soldi, ma di un riposizionamento. Dai quadri di Assange ai quelli sulla vita (post)“reale”, ciò che ci sta indicando Manetas è un riposizionamento dell’arte e dell’artista in un nuovo contesto. Un contesto che non indica un ritorno a un passato ideale, ma invece in un futuro che mischia l’archetipo di quel passato con il tentativo di trovare un nuovo presente, se non sfarzoso, per lo meno dignitoso».