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Vittorio Corsini (1956) è il protagonista del dodicesimo appuntamento dedicato alle “Idee per il futuro“, in cui Exibart chiede agli artisti una serie di proposte per affrontare le fasi successive alla pandemia del coronavirus.
La biografia di Vittorio Corsini
Tutto il lavoro di Vittorio Corsini si concentra sul tema dell’abitare come archetipo mentale o come luogo in cui l’individuo si definisce e si realizza. Vittorio Corsini è docente all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Nel 2018 è stato protagonista della prima edizione di VOCI, progetto di arte pubblica promosso dal Comune di Peccioli in collaborazione con la Fondazione Peccioliper: sei nuove installazioni permanenti di Corsini in dialogo con altrettante narrazioni che, a partire dalla cittadina di Peccioli, si snodano tra i borghi circostanti creando percorsi inattesi. Tra le principali mostre personali: “Passi terribili”, ex chiesa di Santa Verdiana, Firenze, 2019; “Come un maglione”, Vannucci Arte Contemporanea, Pistoia, 2017; “Your place or mine”, Palazzo Ducale, Mantova; “Cura (Sorge)”, Kulturzentrum, Graz, 2017; “Il peso del carrello e altre storie”, Galleria Cardi, Pietrasanta, 2015; “Tra voci, carte, rovi e notturni”, Galleria Civica di Modena, Palazzina dei Giardini, Modena, 2012; “Macrowall – Eighties are back”, Museo MACRO, 2010; “GOD SAVE The PEOPLE”, Galleria Claudio Poleschi arte contemporanea, Lucca, 2005; “ALLELUJA”, Palazzo delle Papesse Centro Arte Contemporanea, Siena, 2002; “Spazio aperto”,
Galleria d’Arte Moderna, Bologna, 1998; “Animali domestici”, Galleria Cardi, Milano, 1992; “Ritorno al mare”, Museo Fondazione Pino Pascali, 1990.
Tre cose che chiederesti per far fronte al futuro, come professionista dell’arte (Denaro? Possibilità di esporre? Studio gratuito? Minori imposte sulla Partita Iva? Abbassamento dell’IVA per chi decide di investire in arte? Creazione di un sindacato?…)
Io credo che qualsiasi iniezione di liquidità faccia piacere, sotto qualsiasi forma, ma che in realtà non risolva alcun problema se non momentaneamente. Penso che date le circostanze disastrose in cui ci troviamo, praticamente una specie di tabula rasa del contemporaneo, dove le gallerie stentano a sopravvivere se non facendo secondo mercato o artisti internazionali, e i musei sono senza fondi, potremmo iniziare a pensare al futuro non in termini di carità ma costruttivi. Una cosa che secondo me potrebbe aiutare molto e iniziare a costruire un sistema è la possibilità da parte dei collezionisti di detrarre parte della spesa dai redditi. Questa possibilità di detrarre una somma dall’imponibile delle tasse viene fatta per le pensioni integrative, non capisco perchè non si possa fare anche per le opere del contemporaneo. Questo consentirebbe a molti artisti, sopratutto giovani, di avere delle entrate. Contemporaneamente si formerebbero collezioni e si allargherebbe l’interesse per il contemporaneo. E tutto questo in un modo che definirei sano. Penso poi al tema, a me caro alle commesse pubbliche, a quell’arte che dovrebbe definire il nostro ambiente, che dovrebbe avere il ruolo di riferimento etico per la costruzione della collettività, ma che sostanzialmente è azzerata. Ecco: quando facciamo una scuola, una piazza, un quartiere non risolviamo solo una funzione (istruzione, smistamento del traffico o dei pedoni, luogo dove dormire) ma diamo indicazioni di comportamento, di modo di vivere, e se non abbiamo riferimenti rischiamo il disastro sociale.
Ci puoi dire un motivo per cui, secondo te, ancora oggi in Italia si fatica a riconoscere i diritti degli artisti come categoria professionale?
In Italia non è mai esistito un sistema dell’arte, tutti gli operatori che ne fanno parte sono spesso individualisti e divisi. Non ci riconosciamo tra di noi e spesso non rispettiamo gli accordi, ma sopratutto i rapporti con chi cammina accanto a noi. Per cui artisti, curatori, critici, galleristi e istituzioni sono spesso in lotta tra loro, come fossero nemici e non parte di un sistema, un unico sistema che in molti paesi si è sviluppato e costruisce le possibilità. Siamo rimasti un pò bambini a litigare per il possesso di un giocattolo invece di giocarci insieme. Siamo una forza disseminata che non sà raccogliere le proprie forze, puntiamo alla singolarità come qualche secolo fa quando il rapporto personale con il mecenate era fondamentale. In questo clima non sono cresciuti organi che si prendessero cura dell’arte italiana, e nessun politico ha pensato che l’arte potesse essere una risorsa e non una mera passività come spesso ci viene detto: penso per esempio all’Inghilterra dove il British Council è attivo dal 1934 e fa capo al Foreign and Commonwealth Office, analogo del nostro Ministero degli Esteri (quindi con un intento propositivo). Quindi una doppia mancanza: da una parte l’interesse dei politici e degli amministratori a considerare gli artisti come una risorsa per il paese, dall’altra gli operatori dell’arte, ma soprattutto per quanto riguarda noi artisti, di saperci riconoscere come un insieme.
Parliamo dei danni, oltre a quelli morali. A che progetti stavi lavorando prima di questo isolamento, ma soprattutto prevedi che si concretizzeranno o dovranno essere abbandonati?
A gennaio stavo lavorando ad alcuni progetti pubblici che sono stati sospesi e che spero possano essere ripresi, anche se è sempre molto difficile riprendere le cose dove le abbiamo lasciate; generalmente mutano, per esigenze dei tempi. Così l’ottavo intervento di VOCI per il comune di Peccioli che doveva essere realizzato entro settembre è sospeso. Saltato? Altro progetto a cui lavoravo è un libro con la presentazione Giuliano Scarpa che doveva essere presentato a BookCity, anche questo sospeso, spero non comopletamente saltato. Poi una personale in uno spazio pubblico a Venezia: saltata? Per non dire di alcune fiere per le quali stavo facendo nuove opere e che forse non si faranno più. Insomma difficile prevedere cosa succederà concretamente, come usciremo da questo periodo, come e quando ma soprattutto se potremo riprendere quello che abbiamo lasciato. Questo lockdown ci ha tolto sicuramente molte cose, ma forse possiamo anche pensare che ci abbia ragalato qualcosa di inaspettato, oltre al tempo di riflessione e di introspezione che ci sarà utile nei prossimi tempi, qualcosa che avevamo dimenticato come il cielo azzurro e l’aria stupendamente pulita: la necessità degli abbracci.
Let’s not forget it.