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Addio al MART. Il saluto del direttore Gianfranco Maraniello
Attualità
Ieri, nel suo ultimo giorno di lavoro, con una preoccupazione per la scarsa empatia dovuta alle circostanze di una conferenza stampa online, Gianfranco Maraniello ha salutato il MART di Rovereto.
Un saluto leale, corretto e soprattutto umano. Ha iniziato dalla fine ringraziando tutti; per la fiducia, per la collaborazione, la professionalità e il rispetto con il quale si è lavorato, sottolineando la gentilezza dei colleghi e del territorio che in questi anni lo ha accolto e chiarendo, senza polemiche, la natura personale della decisione di non proseguire definendo la sua stessa figura come “non più funzionale al museo”. Un addio tranquillo e consapevole accompagnato da un pensiero non più in linea con le nuove prospettive ma comunque rispettoso degli indirizzi presi dall’istituzione.
Il nuovo MART. Una questione politica
Il MART oggi si trova a dover rispondere a variazioni organizzative specifiche e, più che fare scommesse sulla nuova direzione, sarebbe importante mettere in discussione quella legge che prevede il direttore nei panni di un mero amministratore, un’investitura che rischia di sottovalutare l’espressione essenziale e visionaria di una competenza specifica – che include la responsabilità di proporre sguardi inediti e di aprire domande, pensando magari al concetto di contemporaneo in maniera interrogativa, così da dialogare con la collettività, trovando nuovi canali e nuove sensibilità. È fondamentale pensarci: il rischio che le normative regolino le scelte relative al futuro della produzione culturale è una responsabilità anche nostra, soprattutto in questo momento, in cui la cultura si è dimostrata vulnerabile. Vulnerabilità che però segna anche la fine di una certa retorica, andando a scardinare alcuni punti fino ad ora apparsi irremovibili, aprendosi in positivo alla necessità e all’urgenza di un cambiamento: «si apre una nuova fase di descostruzione di tutti i paradigmi» ci dice sicuro Maraniello.
La direzione del MART di domani
In che direzione va allora il museo oggi? «C’è l’urgenza di ripensare i criteri e le tassonomie dei musei; c’è un bisogno di legare il museo ad una sua specifica appartenenza, di evitare di scimmiottare i modelli delle grandi metropoli: il museo deve trovare la chiave di interpretazione del suo ruolo in relazione al suo territorio identificando temi che uniscano».
Idea che non nasce dal nulla. Eccoci allora pronti ad andare a ritroso nei cinque anni di lavoro, di progetti, di cambiamenti e soprattutto di mostre: esposizioni create per riscoprire il Novecento, per recuperare alcuni valori della tradizione, per produrre uno slancio verso l’avvenire ed esplorare nuovi canoni o recuperarne degli altri.
Un viaggio che ha portato anche mostre all’estero – come Richard Artschwager, l’ultima curata da Germano Celant, da giugno di nuovo visitabile al Guggenheim di Bilbao- dimostrando nuovamente di essere il luogo dove avviene la produzione di visioni e non quello che ne ospita solo di già confezionate. «Una delle prime parole che abbiamo inserito nei comunicati stampa è stata “costellazione”» ha detto apertamente Maraniello, proprio per segnare in modo specifico quella traiettoria che all’interno del museo si è interessata di lavorare sull’unione di più elementi: dalla valorizzazione della sua struttura -recuperando quindi la storia attraverso l’architettura-, alla valorizzazione del suo patrimonio (le collezioni permanenti di tutto il Novecento), fino ad arrivare all’integrazione del MART con il paesaggio mettendolo al centro della promozione territoriale, cercando di direzionare il tutto verso un progetto di identità più ampia.
«Le mostre hanno l’obiettivo di valorizzare l’identità del museo» afferma ancora Maraniello, illustrando quanto il museo abbia cercato in questi anni di perseguire la costruzione di un immaginario intento a dialogare prima di tutto con i suoi spazi interni, aspirando contemporaneamente ad instaurare una comunicazione attenta e profonda con il territorio che lo ospita e pieno di occasioni da cogliere, rintracciando una linea progettuale intenta ad intersecarsi prima di tutto con la sua identità territoriale.
«Un modello di museo innovativo capace di essere integrato e integrante» conclude, «questo è il museo che ho sognato».
Difficile immaginare il futuro di un’istituzione destinata all’arte contemporanea il cui presidente sostiene, sempre e da sempre, che tutta l’arte che viene prodotta al giorno d’oggi è contemporanea…