19 giugno 2020

150 scatti di Inge Morath al Museo Diocesano di Milano

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Da oggi al Museo Diocesano Carlo Maria Martini la grande retrospettiva sul lavoro di Inge Morath, tra viaggi e vita privata, con circa 150 scatti e documenti originali. Marco Minuz, del team curatoriale, ci ha raccontato la mostra

Inge Morath, Audrey Hepburn sul set di "Unforgiven" (part.), Messico, 1959, © Fotohof archiv/Inge Morath/ Magnum Photos

Arriva oggi a Milano, nelle sale del Museo Diocesano Carlo Maria Martini, “Inge Morath. la vita. La fotografia”, la prima retrospettiva italiana, itinerante, dedicata a Inge Morath (1923 Graz, Austria – 2020, New York), la prima donna a essere accolta nell’agenzia Magnum Photos.

La mostra, aperta da oggi, 19 giugno, al primo novembre, è inserita nei palinsesti culturali Aria di Cultura e I talenti delle donne, promossi e coordinati dal Comune di Milano.

Il percorso espositivo

«Attraverso 150 immagini e documenti originali, l’esposizione, curata da Brigitte Blüml – Kaindl, Kurt Kaindl e Marco Minuz, prodotta da Suazes, Fotohof e Magnum Photos, col supporto del Forum austriaco della cultura, col sostegno di Rinascente, media partner IGP Decaux, ripercorre il cammino umano e professionale della fotografa austriaca, dagli esordi al fianco di Ernst Haas e Henri Cartier-Bresson fino alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, LIFE, Paris Match, Saturday Evening Post e Vogue, attraverso i suoi principali reportage di viaggio, che preparava con cura maniacale, studiando la lingua, le tradizioni e la cultura di ogni paese dove si recava, fossero essi l’Italia, la Spagna, l’Iran, la Russia, la Cina, al punto che il marito, il celebre drammaturgo Arthur Miller, ebbe a ricordare che «Non appena vede una valigia, Inge comincia a prepararla», si legge nel comunicato stampa.

«Il percorso espositivo dà conto di questa inclinazione della fotografa, presentando alcuni dei suoi reportage più famosi, come quello realizzato a Venezia nel 1953, con immagini colte in luoghi meno frequentati e nei quartieri popolari della città lagunare, che sposano la tradizione fotografica dell’agenzia Magnum di ritrarre persone nella loro quotidianità. Alcune ambientazioni surreali e alcune composizioni fortemente grafiche sono un esplicito riferimento al lavoro del suo primo mentore Henri Cartier-Bresson», ha spiegato l’organizzazione.

I ritratti

«La mostra dà ampio spazio al ritratto, un tema che ha accompagnato la fotografa per tutta la sua carriera. Da un lato era attratta da personaggi celebri, quali Igor Stravinsky, Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Jean Arp, Alexander Calder, Audrey Hepburn, dall’altro dalle persone semplici incontrate durante i suoi reportage. Tra gli scatti più iconici, spicca la fotografia di Marilyn Monroe che esegue dei passi di danza all’ombra di un albero, realizzata sul set del film Gli spostati del 1960, lo stesso dove Inge conobbe Arthur Miller che all’epoca era sposato proprio con l’attrice americana», riporta il comunicato stampa.

Inge Morath, Autoscatto, Gerusalemme, 1958, © Fotohof archiv/Inge Morath/ Magnum Photos

Con Marco Minuz, membro del team curatoriale, abbiamo approfondito alcuni aspetti della mostra

Quali sono gli elementi che rendono attuale ancora oggi l’approccio di Inge Morath alla fotografia?

«Il lavoro di Inge Morath è ancora attuale in quanto è un esercizio di “osservazione”. Rispetto ai tempi moderni caratterizzati da una grande accessibilità alla tecnologia, da un generale calo della professionalità, da una scarsa attenzione e da un passivo “vedere”, lei ci insegna, come tutti i grandi maestri, che fotografare è un esercizio intellettuale di osservazione verso la realtà circostante. Un esercizio di domande piuttosto che risposte».

Da dove provengono le immagini in mostra e con quale criterio avete selezionato le fotografie esposte?

«Le fotografie provengono da un archivio austriaco con cui Inge Morath lavorò per circa dieci anni, sviluppando progetti espositivi ed editoriali. La nostra intenzione era quella di partire da questa esperienza ma rileggendola e contestualizzandola con la conoscenza che si ha del suo lavoro in Italia. Nel selezionare le opere abbiamo cercato di portare avanti due direzioni parallele: quella biografica e quella professionale, proprio perché volevamo rendere una storia in cui queste sue dimensioni si alimentavano a vicenda. La mostra è stata così strutturata in due parti: la prima raccoglie ritratti di Inge Morath realizzato da vari fotografi in differenti momenti della sua vita e la seconda è dedicata ai suoi principali reportage da Venezia agli Stati Uniti».

Quali aspetti del suo lavoro fanno fa sì che sia la prima donna a entrare nell’agenzia Magnum?

«Inge Morath entra nell’Agenzia Magnum nei primi anni Cinquanta, in un momento in cui la figura del fotoreporter era ancora molto richiesta dal mondo della carta stampata. Sono questi i primi anni di Magnum, in cui iniziano a confluire nuovi fotografi che si aggiungono al nucleo storico dei fondatori Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e Robert Capa.
Inge Morath entra nell’agenzia e ne diventa membro in periodo in cui la presenza maschile era ancora preponderante. I fondatori avevano inoltre una comune esperienza professionale, che era quella della guerra civile spagnola e della seconda guerra mondiale. Il suo ingresso, che determina nell’agenzia l’inserimento di una ovvia sensibilità femminile, è da collegarsi sicuramente, oltre che per la sua indubbia capacità, anche per la conoscenza diretta del fotografi Magnum; un contatto che aveva preso avvio nel 1949 quando accompagnò il fotografo Ernst Haas da Vienna a Parigi per incontrare Robert Capa. Pertanto Inge Morath era molto conosciuta dai fotografi di Magnum e prima di diventare un membro effettivo di Magnum, fu assistente di Cartier-Bresson».

Inge Morath, Un lama a Times Square, New York, 1957, © Fotohof archiv/Inge Morath/ Magnum Photos

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