17 luglio 2020

Anish Kapoor si scaglia contro il tokenism tossico dei musei, in una lettera infuocata

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Anish Kapoor ha stilato una lettera destinata agli artisti, invitandoli ad aprire gli occhi sulle cattive pratiche di tokenism fin troppo diffuse tra i musei occidentali

Anish Kapoor con la sua opera "Sky Mirror", a Houghton Hall, King’s Lynn, Norfolk. Fotografato da Joe Giddens/PA

Non è la prima volta che Anish Kapoor prende una posizione ma quella assunta pochi giorni fa è decisamente radicale: il famosissimo artista ha stilato una lettera o, per meglio dire, una vera e propria chiamata alle armi destinata agli artisti, invitandoli ad aprire gli occhi e rifiutare di essere tokenizzati dai musei occidentali.

Con il termine tokenism vengono indicate tutte quelle pratiche di inclusione illusorie. Uno sforzo superficiale e simbolico per includere una minoranza o una comunità subordinata per dare l’apparenza di uguaglianza razziale o di genere. Accade sui posti di lavoro, ma anche nei luoghi della cultura. Il tokenism è una pratica anti-etica piuttosto diffusa tra i musei occidentali, i quali fingono di impegnarsi includendo opere o artisti senza però dar loro l’effettiva capacità di esprimersi o aver voce sulla propria produzione creativa. I musei espongono in maniera violenta le opere di artisti non occidentali o appartenenti a minoranze razziali, mistificandole, mercificandole, attribuendogli narrazioni primitivistiche o esotizzanti.

Kapoor racconta che, sin dall’inizio della sua carriera, è stato descritto come “artista indiano”, come se “artista” non fosse sufficiente. Quel che indigna maggiormente Kapoor è il ridurre la forza creativa di un artista non occidentale alla propria cultura etnica o al proprio diverso background. Scrive Kapoor: «Quando, nel 1998, ho fatto la mia prima mostra alla Hayward Gallery, il signor Waldemar Januszczak, un critico d’arte per un importante quotidiano britannico, ha descritto il mio lavoro come “il trucco della corda indiana». 

L’essere ridotti alla propria origine è una questione che gli artisti occidentali non devono sopportare. Per l’artista, alla luce del movimento per i diritti civili Black Lives Matter, è dunque necessario sradicare questi pregiudizi neocoloniali e dalla mentalità ristretta. 

Abbiamo bisogno di un cambiamento radicale

Anish Kapoor guarda con orrore alla riapertura del MoMA di New York. «Gli artisti vengono rappresentati come piccoli gioielli trovati nei mercatini, esposti come trofei sovrapposti uno sopra l’altro», tra l’appropriazione e il senso di esotico o primitivo, a differenza della “culla” in cui il «Grande artista bianco e maschio Richard Serra ha una sala tutta sua in cui mostrare la sua magnifica maestria. Fottiti MoMA».

Quella di Kapoor è una denuncia tagliente ma giusta. Ogni museo dovrebbe leggere questa chiamata alle armi e auto-imporsi un esame di coscienza, soprattutto in virtù del momento storico che stiamo vivendo, tremendamente complesso ma anche fondativo, per un cambiamento radicale. 

I musei occidentali devono essere coscienti del proprio privilegio, interrogarsi sulle proprie intenzioni in modo attivo ed essere consapevoli del rischio di cadere nella presentazione più che nella rappresentazione. Potrebbe anche essere un’occasione per ripensare alla funzione del patrimonio e riflettere sulla restituzione dei Beni culturali al proprio luogo di origine.

In molte occasioni abbiamo scritto di argomenti simili, riguardanti la pesante eredità coloniale delle istituzioni museali occidentali più importanti. In questo senso, fa ben sperare la decisione della Francia di restituire al Senegal e al Benin 27 reperti saccheggiati dal palazzo reale di Abomey, nel 1892, che si trovano attualmente al Musée du Quai Branly-Jacques Chirac.

Insomma, i musei devono mettersi in gioco affinché i luoghi della cultura possano essere anche i luoghi del cambiamento. 

1 commento

  1. perché non è stato coerente secondo quando asserisce, ora che è ricco e famoso fa il ‘rivoluzionario…dicendo agli altri ‘artisti’di rifiutare di andare nelle gallerie occidentalizzanti. Tanto per lui, come per tutti i ricchi snob ‘filantropoidi’ artisti o industriali non cambia, sono a dettare regole agli altri dal loro comodo divano con vista su Central Park.

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