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exibinterviste – la giovane arte Flavio Favelli
parola d'artista
Alla scorsa Biennale, lui che vive a Samoggia era in mezzo a tanti artisti internazionali from New York, Berlin e London. Però c’era! La sua storia parte dieci anni fa, quando sua nonna gli regalò un appartamento. Lui si mise –dice- “a guarnirlo”. Da quel momento non ha più smesso di far ruotare la sua arte attorno al concetto di ‘casa’…
Come sei diventato un artista? Come t’è venuto in mente?
Non so, ad un certo punto, nel 95, ho sentito l’esigenza di occuparmi dell’appartamento che mi regalò la nonna materna. Da quel momento non ho mai smesso di… guarnire: è un termine che mi piace.
Solitamente spetta ai critici sintetizzare e descrivere la ricerca di un artista. Se dovessi invece sinteticamente, in tre righe, difinire la tua arte come faresti?
I termini chiave sono: implicazione, rimando, evocazione. credo che la mia esistenza si giochi tutta fra il mio passato, le mie paure, i miei desideri e le mie speranze. Sono una persona con fissa dimora che cerca di sfuggire al senso di colpa. La casa per me è un concetto fondamentale. Tutto il resto mi sembra meno importante. E credo che queste cose siano valide in ogni epoca, con o senza luce elettrica.
Un tuo pregio e un tuo difetto?
Mi espongo molto, circa una settantina di volte, dal 95 a oggi, fra mostre, progetti miei e varie cose e soprattutto in posti differenti. Credo che sia un pregio, molti mi dicono che è un difetto.
Questo nel lavoro. E nella vita?
Un pregio proprio non lo so, un difetto, fra i tanti è che sono un solitario, amo mangiare solo, dormire solo, lavorare solo. Spesso non sopporto gli altri, sono infastidito dalla musica in luoghi pubblici, qualsiasi luogo, qualsiasi musica.
Una persona davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Penso che ci siano molte persone sicuramente importanti nel mio lavoro.
Sei soddisfatto di come viene interpretato un tuo lavoro? Chi l’ha interpretato meglio e chi invece ha preso una cantonata? Che rapporto hai con i critici e con la stampa?
Mah, ci sono tanti artisti, tanti che scrivono, c’è poco tempo… e poi credo che il mio lavoro sia implicato da questioni personali, che magari per molti sono poco interessanti. Per l’ultima domanda, per dirla in un certo modo, io parlo di guerra con i generali e di pace con i pacifisti, prendendo con molta serità entrambi.
Che rapporto hai col luogo in cui lavori.
Il mio studio, insieme con la mia casa, fanno due piani di una ex fienile-stalla di circa 500 mq.
Immenso!
Eppure ci vivo solo e lo spazio non mi basta. Ovviamente lo studio è parte della casa e viceversa, ho sette armadi che contengono i miei vestiti e quelli della mia performance, ma è capitato che un pezzo di armadio faccia parte di una mia scultura.
Quale è la mostra più bella che hai fatto?
Nel maggio 2000, si chiamava “Catetere. Un’introduzione ad una architettura”; ho affittato un ex dormitorio delle FS in disuso da almeno trentanni, ho ristrutturato un appartamento con sei stanze e un corridoio al suo interno, ho lavorato con due aiutanti per tre mesi; penso sia stato il più interessante progetto della manifestazione Bologna 2000
Eppure non venne quasi nessuno. E il Comune ti snobbò…
E’ la mia mostra più bella perchè era fuori cornice, fatta in un luogo desueto. Sono convinto che l’arte debba uscire, io esco, ma poi molti dicono che fa troppo freddo.
Quanto influisce la città in cui vivi con la tua produzione? E’ indifferente? Preferisci girare di città in città o lavorare sempre nel solito posto?
Da due anni vivo in collina a 35 km da Bologna. Lavoro nel mio studio e poi dove verrà installata l’opera; spesso il montaggio è quasi una parte importante come la costruzione. A Bologna ho fatto molte cose, mostre personali in galleria, collettive, performance in negozi sfitti, al Link, alla Gam… ci opero perchè è la città dove ho vissuto negli ultimi trentanni.
La politica culturale italiana e il sistema privato dell’arte. Per un giovane artista cosa significa rimanere in Italia, produrre, investire, costruire qui?
Ma più che in Italia, vivo vicino a Bologna, sono spesso a Torino e Milano, ho fatto qualcosa all’estero che ovviamente va sempre di più frequentato. Mi hanno fatto notare che nelle schede degli artisti alla Biennale scorsa a Venezia, spiccava il mio “vive e lavora a Samoggia-Savigno (Bo)” fra i New York, Berlin, London. Non so cosa significhi, rimanere qui.
Cosa c’è di particolare a Samoggia?
A pochi metri dalla mia casa, dopo la chiesetta, la strada perde l’asfalto e c’è il cimitero. Credo che sarò seppellito lì.
massimiliano tonelli
[exibart]
Se mia nonna mi avesse regalato una casa dieci anni fa adesso non starei seduto in questo lurido internet point a spargere veleno sui miei colleghi più illustri.
Samoggia spiccava perché era indubbiamente più fico; mi sa che un giorno andrò a vedere questo paese [il mio era brutto brutto per questo l’ho lasciato]. Comunque anch’io t’invidio perché hai avuto una nonna che t’ha appioppato un appartamento. Bravo!
TOSCO SEI GRANDE, HO VISTO LE FOTO E LETTO GLI ARTICOLI E QUELLO CHE FAI è VERAMENTE INTERESSANTE. SI UNA TUA FOTO MI PIACEREBBE PROPRIO