17 agosto 2020

L’attivismo estetico che diventa politico: Paolo Cirio al PAN di Napoli

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Paolo Cirio ci racconta del suo percorso di ricerca tra estetica, politica e nuovi media, che l'ha portato a "Information Critique", mostra al PAN di Napoli

Paolo Cirio, Foundations, 2019

“Information Critique” è il complesso progetto espositivo inaugurato il 4 luglio al PAN – Palazzo delle arti di Napoli, un percorso temporale che raccoglie l’innovativo lavoro artistico dell’artista torinese Paolo Cirio. 15 anni di ricerca e di contrasto politico-culturale che hanno come risultato l’analisi dei sistemi di potere (economico e governativo) e d’informazione, la decriptazione dei loro meccanismi, l’alternativa agli attuali sistemi dominanti. Il titolo della mostra, curata da Marina Guida in collaborazione con le gallerie Giorgio Persano di Torino e Nome di Berlino, deriva dal libro di Scott Lash, Critique of Information, che si avvicina molto all’indagine dell’artista sull’analisi filosofica dell’informazione nella società globalizzata.

Nel suo ultimo progetto, Derivatives, Paolo Cirio si è dedicato allo svelamento dei contorti meccanismi che si celano dietro alle speculazioni finanziare perpetrate dalle case d’asta e ha da tempo iniziato ad attaccare attivamente, allo scopo di fare luce, i vari pilastri che reggono l’egemonia capitalista, cercando di svegliare dal sistemico torpore le classi sociali, vittime e serve del sistema. Mentre una parte del mondo dell’arte è drogato dalla decadenza e sequestrato dalla sua stessa indolenza, l’altra parte è attiva e si appropria della necessità di indagare.

Paolo Cirio, Derivatives

Il tuo interesse verso la speculazione della finanza sull’acquisto delle opere d’arte si è palesato attraverso il lavoro Derivatives. A latere di ciò, bisogna fare una seria riflessione sul mercato dell’arte: secondo la tua esperienza, cosa c’è che non va nei principali attori e luoghi (fiere, gallerie, curatori, critici, musei, case d’asta) che inevitabilmente decidono il valore economico e culturale delle opere?

«Questo nuovo lavoro affronta una tematica più strettamente legata alle case d’asta. A mio avviso sono proprio queste mega corporation che stabiliscono degli standard di mercato inammissibili e con ricadute negative su fiere, gallerie ed anche artisti. Le case d’asta giustificano le speculazioni, le manipolazioni e l’opacità del mercato quasi come necessarie, tuttavia questi standard sono insostenibili per lo stesso, e, soprattutto, per quello attuale.

Non sono contro il mercato di per sé, ma sono per una regolamentazione che istituisca standard più etici. Per esempio, è inconcepibile che non esista trasparenza finanziaria in aste dove vengono vendute opere per centinaia di milioni di dollari, quando ormai anche in Svizzera il segreto bancario è caduto, ed a Wall Street, per qualsiasi prodotto finanziario, non è permesso manipolare i prezzi e i controlli sono rigidi. Pensare di usare l’arte per legittimare ogni tipo di abuso, come il riciclo di denaro o corruzione, deve far parte del passato.

Penso che il mercato dell’arte sia necessario con gallerie, fiere e anche aste; questi attori servono per sostenere il lavoro degli artisti, un lavoro difficile e precario. Tuttavia bisogna saper differenziare, anche solo con i prezzi delle opere. Un mercato ormai diventato solo finanziario, con cifre altissime, non ha nulla a che fare con operazioni di poche migliaia di euro. C’è una percezione distorta del commercio dell’arte e le maggiori aste sono responsabili. Questa mancanza di fiducia e questi valori distorti stanno rovinando il mercato delle gallerie e la carriera di tanti artisti. Dunque il lavoro Derivatives vuole mostrare l’arte in modo diverso, quasi con una nuova prospettiva visiva: con i numeri sovrapposti alle opere, il loro significato cambia e anche i valori stessi diventano parte delle opere. Non solo queste opere permettono di vedere l’arte “finanziaria” ma cambiano l’arte stessa».

Paolo Cirio, Global Direct, 2014

La caratterizzazione del tuo lavoro tenderebbe a essere inglobata in quel filone che è identificato come Arte Concettuale, o almeno in parte. Riflettendo sui diagrammi di flusso, che sono in realtà sintetico-descrittivi, ho l’impressione che tu tenda a descrivere un mondo che attualmente è ancora “divinizzato”: Prometeo che rivela il fuoco agli uomini. Non credi che la tua azione sia quella di codificare attraverso un linguaggio per immagini l’astrazione di un universo attualmente sconosciuto, una paideia? Non è più un’azione “didattica” che criptica?

«Uso il diagramma di flusso come medium per la composizione di opere in cui il materiale è composto da elementi complessi come leggi internazionali, finanza, reti e algoritmi. Il diagramma diviene il mezzo ideale per poter visualizzare questi tipi di materiale e soggetti: è arte di pura informazione. Utilizzato da Hans Haacke, Stephen Willats, per esempio, verso la fine del ’70, quando questi fondamenti incominciavano ad influenzare la società, torno ad usarlo quasi per necessità, per mostrare il mondo di oggi che è ancora più complesso, e dunque lo svelo attraverso l’arte, lo interpreto e lo invento tramite il diagramma di flusso. A mio parere è centrale per poter affrontare temi contemporanei. Ho infatti scritto un manifesto dedicato a questo medium per l’arte, The Flowcharts, dopo averne fatto diverso uso nelle mie opere. A volte il diagramma è documento, altre una performance o una teoria, ancora un modello, oppure semplicemente un algoritmo. Questi strumenti sono poi applicati a diverse attività contemporanee, come la finanza, la politica globale, l’hacking e anche la semiologia di Internet. Tutto questo senza dimenticare che il diagramma di flusso è in realtà un disegno con un estetica figurativa classica ma con un potere di azione impensabile in altre epoche artistiche. Entrambe queste due proprietà sono espresse nelle mie opere: contestualmente i disegni geometrici dei diagrammi, particolarmente visibili, sono integrati dalla visione della loro potenziale azione sulla società.

Ci sono poi tanti altri lavori in cui non uso diagrammi e nei quali invece le sole immagini sono usate per sintetizzare azioni e concetti complessi, ma in tal caso il materiale principale di queste opere sono appunto immagini e non pura informazione sotto forma di dati, algoritmi, leggi, schemi e finanza. Per questa differenza la mostra si divide in due parti, sale in cui il diagramma di flusso, con testi e frecce in bianco e nero, sono il medium principe; e con sale in cui le opere sono foto e immagini colorate. Queste due strategie sono dettate dal materiale e dal suo linguaggio, al fine di raggiungere una determinata funzione espressiva».

Siamo nel pieno di una nuova rivoluzione tecnologica. A differenza della prima, dove all’arte è stata sottratta la capacità di produzione e si è avuta un’emancipazione intellettuale del ruolo dell’artista, sembrerebbe che con lo sviluppo della cibernetica, dell’informatica, di internet e delle nuove tecnologie digitali, l’artista potrebbe riprendersi quel ruolo di produttore totale dell’opera d’arte. Credi si possa realizzare appieno il progetto dell’Avanguardie di autodeterminazione dell’uomo? L’artista potrebbe riscoprire una nuova partecipazione più intensa e più evidente nel cambiamento sociale? Qual è, nella tua opinione, il ruolo che immagini per l’artista futuro: ti senti Homo Novus?

«In realtà sono molto scettico riguardo alla tecnologia e le sue potenzialità per il cambiamento sociale dell’uomo. Sono anche scettico riguardo all’idea della tecnologia per l’arte: per me è solo uno strumento, le sue potenzialità dipendono dal suo uso e forma. Senza integrare i valori umani nella tecnica, essa si trasforma in uno strumento di distruzione per l’uomo. Credo che negli ultimi anni abbiamo proprio assistito a questo, trasformando Internet in uno strumento di sorveglianza e manipolazione sociale, proprio come il progetto Sociality dimostra. In altri lavori, invece, mostro le potenzialità quasi utopiche di internet se fosse usato umanamente, mentre in altri svelo i limiti e anche la pericolosità di certi strumenti tecnologici divenuti distopici.

Anche nel campo artistico parlo di una responsabilità etica nel rappresentare la tecnologia, con scrittori e artisti che spesso la idealizzano senza un’analisi critica. Come artista preferisco lavorare con la tecnologia solo in relazione ad altri settori delle scienze umane, come la politica, l’economia, l’etica e la semiotica: sono in realtà il mio vero materiale. Credo che questi campi siano sempre più collegati fra loro tramite la tecnologia e sia necessario avere una visione critica d’insieme per poter avere una vera comprensione e una concezione per l’uso di tali strumenti, che sono la vera rete e le fondamenta della nostra società contemporanea».

Paolo Cirio, Information Critique, PAN – Palazzo delle Arti di Napoli
Fino al 22 agosto 2020
L’ingresso è gratuito e su prenotazione su ingressi.comune.napoli.it.

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