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Chiara Lecca: ‘Clarulecis’ e lo studio a cielo aperto
Arte contemporanea
di redazione
In seguito all’isolamento imposto dal lockdown e alla conseguente sospensione di alcuni progetti espositivi Chiara Lecca (1977, Modigliana) ha fondato il collettivo familiare Clarulecis, attraverso cui ha scelto di riorientare la propria pratica artistica mantenendosi fedele al rapporto con la natura, ma modificando le modalità di lavoro creando uno studio immerso nella vegetazione attorno alla proprietà di famiglia e chiamando a collaborare familiari e persone non appartenenti all’ambito artistico.
Clarulecis e lo studio a cielo aperto
«Ubicato sulle prime colline dell’Appennino che si affacciano sulla Pianura Padana, l’ambiente dello studio a cielo aperto informa e determina la nuova produzione di Chiara Lecca, inducendola a esplorare tecniche primitive e a rielaborare il concetto di “pelle”, da sempre cardine della ricerca dell’artista non solo nella sua accezione organica ma anche come superfice di confine dentro-fuori. Lecca scopre nel bosco uno studio dalla “pelle” così permeabile da non costituire più un confine per cui nulla può essere escluso», si legge nel comunicato stampa.
«Questi stimoli convergono in una produzione destinata all’uso quotidiano, in una “seconda pelle” che l’artista ritrova a partire dall’indumento dall’utilizzo più diffuso senza differenze di genere, età o ceto: il progetto prende avvio con una serie di “Primitive T-shirt” stampate in maniera diretta utilizzando matrici ricavate da reperti e ritrovamenti agresti, per proseguire con tappeti/scultura, grandi scialli e piccoli complementi d’arredo».
«Nel titolo del progetto risuona il nome proprio dell’artista in una forma che sottolinea le origini sarde della sua famiglia, che dall’Isola si trasferì in Romagna per fondare un’azienda agricola basata sulla tradizione dell’allevamento ovino», ha proseguito la comunicazione.
Chiara Lecca ci ha raccontato Clarulecis.
Come è nato questo progetto?
«Clarulecis è nato durante il lockdown in modo piuttosto istintivo e spontaneo. I miei progetti espositivi erano sospesi per cui mi si è aperto improvvisamente un varco temporale. Inoltre l’interruzione di tutti gli spostamenti mi ha portato a trascorrere un periodo a contatto con la natura e con la mia famiglia ancora più intenso di quello solito (abito in un luogo piuttosto isolato dell’Appennino Romagnolo nell’azienda agricola di famiglia e qui si trova anche il mio studio). In questo modo sono nate le sinapsi giuste per creare il collettivo Clarulecis. Un progetto che prevede la compresenza di varie menti non esclusivamente di ambito artistico».
Nel comunicato stampa di legge che con questa operazione avviene un riorientamento della pratica artistica. In che termini?
«Nel senso che alla mia pratica artistica si affianca una nuova e parallela pratica: quella del collettivo. Entrambe conservano i punti cardine della mia ricerca legati alla natura e al modo in cui ne fruiamo».
Come può influire sul tuo lavoro il fatto di lavorare in uno studio a cielo aperto, completamente immerso nella natura?
«In questo momento sto lavorando sull’imprint come gesto ancestrale, sulla sua valenza capace di condurci fino alle nostre origini, all’arte rupestre. Il fatto di lavorare en plein air fa sì che io possa imprimere la forma degli elementi dell’ambiente in modo diretto su vari materiali come il tessuto, il cuoio, il gres, rielaborando il concetto di “pelle”, non solo nella sua accezione organica ma anche in senso metaforico, come superfice di confronto e confine esterno-interno.
Inoltre è l’ambiente stesso a imporre le regole, lavoro solo alla luce del giorno e solo quando le condizioni meteorologiche lo permettono, in questo modo sperimento un metodo arcaico di relazione con l’ambiente circostante.
La situazione di studio all’aperto mi porta anche ad avvalermi di pochissimi attrezzi privilegiando invece i supporti e gli elementi già presenti nell’ambiente: questa metodologia si rispecchia sul lavoro che risulta essere sintetico ed essenziale.
Penso che questi approcci diretti con la natura, arrivati fino a noi da un passato remoto, debbano essere sperimentati, preservati e veicolati nel futuro.
C’è poi il fascino impagabile di lavorare all’aperto quindi senza pareti o confini fisici, che si tramuta in libertà di pensiero e immaginazione».
Puoi ricordarci il rapporto con la natura e i materiali naturali che instauri, in genere, nella tua pratica artistica?
«Entriamo in contatto con la natura e i suoi materiali continuamente nel nostro quotidiano, ne siamo talmente permeati che tendiamo a non vederli. Allo stesso modo questi materiali entrano nel mio lavoro in maniera diretta, io li ricombino in una chiave diversa nel tentativo di porre attenzione su di essi e di conseguenza sul forte legame tra la natura e la nostra esistenza. Un legame non idilliaco ma comprensivo di tutte le sfaccettature di cui la natura è provvista».
Per l’anno in corso hai sospeso la tua attività espositiva, ci puoi già anticipare qualche progetto che realizzerai in futuro?
«A primavera, nel momento in cui tutto si è fermato, stavo lavorando alle opere per una mostra personale a Milano, alla Galleria Fumagalli, in collaborazione con Alpi, azienda leader nella produzione di superfici decorative in legno composto, che avrebbe dovuto inaugurare a maggio con opere inedite in materiale ligneo e tassidermia. Oltre a questo progetto avevo in programma una mostra all’Exma di Cagliari, uno spazio davvero affascinante in una terra che amo e da cui proviene una parte delle mie radici. Ho dovuto rimandare anche una collaborazione prevista per ottobre con il Laboratorio dell’Imperfetto, una realtà molto interessante che si trova a Longiano, in Romagna, un laboratorio di design che sfocia in arte con una galleria dedicata.
Questi progetti sono ora sospesi in attesa di poterli nuovamente riprogrammare e rivedere in base a quello che ci ha investito.
Nell’immediato ripartirò con una collettiva in Romagna, curata da Viola Emaldi e prevista per settembre presso il convento di San Francesco a Bagnacavallo. Una mostra sull’idea di Giudizio, sulla dualità bene/male, affidata all’arte contemporanea».