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Kennedy Yanko racconta la personale alla Galleria Poggiali
Opening
di Silvia Conta
Nella sede milanese della Galleria Poggiali inaugura oggi, 24 settembre, “Because it’s in my blood” la prima personale in Italia dell’artista americana di base a New York Kennedy Yanko (1988, St. Louis), che presenta sette nuove produzioni, frutto di una ricerca che l’artista porta avanti dal 2017, tutte realizzate in bronzo e pelle dipinta (fino al 20 novembre).
«”Because it’s in my blood”, è un omaggio a Betty Davis. Il titolo è preso in prestito dalla canzone F.U.N.K contenuta nell’album Nasty Gal del 1975. Simbolo di una generazione ed esempio di emancipazione sia per le donne che per la comunità afroamericana, Betty Davis, attraverso la sua musica, ha espresso la volontà di non dare per scontate le regole imposte da una società basata su principi ingiusti, gridando la sua indipendenza e rigettando tutte le regole alle quali, al tempo, e forse ancora oggi, la nostra società si aspetta che una donna afroamericana si attenga. Ora ritorna più attuale che mai la necessità di essere liberi, di esprimere sé stessi senza censure. Censurare qualcosa solo perché non si è in grado di comprenderlo significa privarsi, sia individualmente che collettivamente, di crescita, turbamento e messa in discussione», ha spiegato la galleria.
Kennedy Yanko ci ha raccontato la mostra.
Come è nata la mostra alla Galleria Poggiali?
«Il debutto dei miei primi lavori in rame è avvenuto alla mia mostra “Highly Worked” con la Denny Dimin Gallery nel 2019. Da allora, ho continuato a imbattermi nel rame nelle mie spedizioni di salvataggio e spesso “mi chiama”. Quando ho trovato questo particolare lotto di rame – perché è nel mio sangue -, sono stato attratto dalla sua sensualità, dalla sua luminescenza. Ho immediatamente visto il suo potenziale nelle patine verdi, rosa e viola che aveva nei suoi anfratti e sapevo che gli strati di vernice avrebbero completato la sensazione che il metallo stava suggerendo. Sapevo che c’era un intero corpus di lavori in quel rame, e sapevo che sarebbe stato per la Galleria Poggiali. Il rame è qualcosa a cui mi sento vicino e tuttavia volevo spingerlo ed esplorarlo ulteriormente. Collega gli strati di di vernice in modo molto naturale, è qualcosa che volevo che il nuovo pubblico italiano sperimentasse questo: l’interazione tra metallo e vernice e la loro simbiosi».
Quali sono gli aspetti della tua ricerca che possiamo maggiormente apprezzare in questo percorso espositivo?
«C’è molto incanalato in questi lavori. Mentre li realizzavo, pensavo a Betty Davis e alla censura che subiva. Stavo pensando ai surrealisti e ai loro metodi di automatismo, e a quanto sia potente il subconscio nel fare un lavoro che deve essere condiviso. E pensavo alla mia vita, ricercando la mia interiorità attraverso le mie interazioni con l’interiorità attraverso le mie interazioni con i miei materiali. Tutta questa ricerca si fa sentire in questo corpus di lavori: sentimenti di esplorazione ed espressione.
Il lavoro può presentarsi come poco familiare per alcuni, tuttavia le stesse persone possono provare una sinergia tra loro stessi e la scultura. Quella sinergia è ciò che voglio che sia apprezzato, quella sensazione che nasce nello spettatore quando guarda qualcosa di non familiare è ciò che spero che le persone siano disposte a esplorare. Quando ignoriamo ciò che non conosciamo perché lo consideriamo di non importante o quando proviamo a classificarlo come qualcosa che già sappiamo, ci priviamo dell’opportunità di sperimentare, imparare e crescere, sia individualmente che collettivamente. Non possiamo semplicemente raggruppare ciò che vediamo in qualcosa che già esiste. Questa è la radice della stagnazione».
In questa mostra fai riferimento a Betty Davis. Come stai lavorando sulla sua figura e sulla sua storia nei tuoi lavori?
«Betty Davis è alla base della mostra. È un riferimento tangibile e un esempio di come la censura impedisca la crescita sociale e personale. La sua storia, la sua crudezza, il lavoro che ha fatto … non dovevamo perderlo quando stava accadendo. Se occhi, orecchie, pensieri e sentimenti fossero stati aperti a ciò che lei stava offrendo, sarebbero potuti nascere una nuova comprensione e apprezzamento. Questo è esattamente ciò che spero di creare con i miei lavori astratti: voglio che siano fonti di esplorazione che facciano fermare le persone per trascorrere tempo a vagliare le proprie sensazioni. Voglio creare spazio e tempo affinché le persone percepiscano le loro nozioni preconcette e le rivedano. Il metallo e la vernice sono materiali trasformabili, proprio come qualsiasi altra materia. Proprio come le nostre menti.
Questo è ciò che Betty Davis porta in questo contesto: se siamo disposti a guardare qualcosa che non riconosciamo con mente aperta, le nostre percezioni possono crescere ed espandersi per migliorare il modo in cui esistiamo».
Quali saranno le tue prossime mostre?
«A ottobre aprirò la mia prossima mostra personale, “Salient Queens”, da Vielmetter Los Angeles e parteciperò a una collettiva, “Parallels and Peripheries”, curata da Larry Ossei-Mensah alla Galleria Anna Marra di Roma».
Una domanda ai galleristi: quali sono le prossime mostre e i prossimi eventi in cui vedremo impegnata la Galleria Poggiali?
«Al momento ci stiamo concentrando sulla partecipazione alla prossima edizione di Artissima, alla quale torniamo dopo diversi anni di assenza. Inoltre, abbiamo intenzione di continuare la nostra ricerca basata sullo scouting di giovani artisti/e internazionali il cui risultato sarà una serie di mostre che vedranno la luce nei mesi a venire presso le nostre sedi di Milano e Firenze».