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Back to Nature a Villa Borghese. Intervista a Costantino D’Orazio
Personaggi
Ancora prima che il Covid-19 stravolgesse la nostra “normalità”, era chiaro che avremmo dovuto recuperare un rapporto diverso con la natura e con tutte le forme di vita intelligenti non-umane. Per una nuovo antropocentrismo, piuttosto che per una “de-antropocizzazione”. Temi sottesi esplicitamente a “Back to Nature. Arte Contemporanea a Villa Borghese“, che abbiamo approfondito intervistando il suo curatore Costantino D’Orazio.
L’intervista a Costantino D’Orazio
Quando e come è nata l’idea di questo progetto espositivo?
«È nata al termine del mio incarico da curatore residente presso il MACRO, nel 2018. Uscendo da una straordinaria esperienza all’interno di un museo, ho pensato che fosse giusto provare a portare l’arte contemporanea in uno spazio pubblico all’aperto, anche in virtù della mia lunga attività in progetti d’arte urbana e nei siti storici italiani. Dal 2008 al 2012 ho curato delle grandi mostre nel parco di Villa Pisani a Stra, iniziative che mi hanno permesso di capire come inserire l’arte nel paesaggio e come riuscire a superare la diffidenza delle persone nei confronti del contemporaneo, una mia fissazione. Appena ho capito che la Sovrintendente Capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli aveva intenzione di porre un’attenzione particolare alle ville storiche di Roma, le ho proposto il progetto “Back to nature”: lo ha sposato subito, sostenendolo fino alla fine, così come hanno fatto i miei colleghi funzionari della Sovrintendenza Capitolina e del Dipartimento Tutela Ambientale. È stato un grande lavoro di squadra».
Hai dichiarato che questa mostra inedita intende riflettere sul futuro e sulla necessità di costruire un nuovo rapporto con la natura. Come si articola e si sviluppa questa riflessione?
«Ancora prima che il Covid-19 stravolgesse la nostra vita, avevamo capito che dovevamo rivedere il nostro modo di vivere e valorizzare la natura che ci circonda. Credo che recuperare un rapporto corretto con la Natura passi attraverso l’atteggiamento della condivisione, rinunciando a forzare i suoi tempi e cercando di adattarsi ai suoi modi. In fondo è quello che fanno le opere d’arte esposte in questa mostra. Nessuna di impone sul parco. Tutte hanno trovato il loro habitat».
L’arte contemporanea ha ancora un valore etico e morale nella società contemporanea?
«Non direi».
Pensi che l’arte sia ancora in grado di incidere sulla realtà?
«Credo che l’arte possa aiutare tutti noi a porci le domande giuste, senza però fornirci le risposte».
Chi sono gli artisti in mostra e con quale criterio li hai selezionati?
«Sono prima di tutto artisti con cui ho condiviso le esperienze espositive più ambiziose. Mimmo Paladino e Mario Merz sono due grandi maestri, due uomini straordinariamente generosi (mi piace parlare al presente anche di Mario, perché il suo lavoro ci ripropone ancora oggi la sua enorme e complessa personalità). Ho avuto in passato la possibilità di lavorare con loro e coinvolgerli in progetti sperimentali, rimanendo sempre colpito dalla loro forza umana e artistica.
Accanto a loro, ci sono artisti più giovani che hanno fatto del rapporto con la natura uno dei temi ricorrenti nel loro lavoro, in modo diversi: Andreco conduce da tempo una ricerca sull’acqua e sui giardini – forte anche della sua formazione tecnico-scientifica –, Nico Vascellari porta ai limiti la resistenza del corpo umano entrando in simbiosi con quello animale, Edoardo Tresoldi crea paesaggi nuovi attraverso le sue installazioni, Davide Rivalta pone gli animali in pose umane, Grazia Toderi è capace di rivoltare il cosmo, trasferendo il cielo anche su un pavimento, come accade nella Loggia dei vini.
Tutti hanno capito quanto fosse straordinario lavorare in uno spazio unico come quello di Villa Borghese e ne hanno fatto un motivo pregnante della propria opera per questa mostra».
Che tipo di rapporto hai inteso che le opere instaurassero con la natura?
«L’unica cosa che ho sperato, senza rivelarlo agli artisti, è che le opere non si imponessero con la loro mole sulla natura, ma sapessero creare una propria armonia con l’ambiente circostante. È successo che siano tutti lavori trasparenti, leggeri, perfettamente inseriti nel parco. Le persone, anche quelle digiune di arte contemporanea, mi pare che si sentano accolte da questi lavori. E nel contemporaneo, come sappiamo, non è affatto scontato che accada».
Questo progetto è concepito come un festival. Ci puoi spiegare nel dettaglio in che modo?
«La Sovrintendenza Capitolina ha attivato delle collaborazioni con altre istituzioni culturali che operano a Roma, come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, chiedendo loro di partecipare ad un programma di performance e concerti tra le opere.
Ogni sabato alle ore 18.30 il Conservatorio di Musica Santa Cecilia presenta un proprio ensemble, spaziando dalla musica classica al jazz fino al contemporaneo.
Palazzo delle Esposizioni sta invece lavorando a un fine settimana di performance che coinvolgano le opere della mostra e alcuni luoghi inediti di Villa Borghese.
Ma sono sicuro che fino a dicembre emergeranno altre iniziative che già alcune realtà cittadine ci stanno prospettando».
Progetti futuri?
«L’unico progetto è quello di prendermi cura ogni giorno di questa mostra, che ha bisogno di un’attenzione costante. Se vedete girare per il Parco dei Daini un uomo con una scopa di saggina, venite a salutarmi: sono sicuramente io».