16 ottobre 2020

Artecinema 25: a Napoli, il festival apre sui grandi caratteri dell’arte, dell’architettura e della fotografia

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Marina Abramovic e Shirin Neshat, Renzo Piano e Letizia Battaglia: sul grande schermo di Artecinema 25 si racconta la storia dei grandi caratteri dell'arte, della fotografia e dell'architettura

Anche con le barriere di plexiglas trasparente a intervallare i posti a due a due, le poltroncine del San Carlo non perdono il loro fascino Belle Époque. Nonostante i tempi non siano affatto dei migliori, Artecinema 2020, la rassegna di film d’arte e documentari d’artista, non abbandona la sede storica della premiere e invita il suo pubblico di fedelissimi a prendere posto ordinatamente tra la platea e gli spalti. Gli unici posti vuoti sono quelli che, per sicurezza, non possono che rimanere tali. Insomma, una eccellente organizzazione, che dimostra la grande passione di Laura Trisorio, curatrice del festival – arrivato alla 25ma edizione, celebrata con la pubblicazione di un bel catalogo che ripercorre una lunga storia, iniziata nel 1996 e scandita da 648 film, 593 artisti e 482 registi – e di tutto lo staff. Alla fine, quando le luci si spengono e lo schermo inizia ad animarsi, impossibile non pensare alla stessa serata di appena 12 mesi fa – e a tante altre occasioni simili –, trascorsa tra pensieri e sensazioni molto diverse e, ormai, così distanti.

Così come fa un certo effetto l’abbraccio tra Marina Abramovic e Shirin Neshat, nelle scene di chiusura di Body Of Truth, documentario diretto da Evelyn Schels e incentrato sull’arte e sulla vita di quattro artiste dalla forte personalità. Stesso effetto straniante, nel vedere la gremitissima classe di giovani studenti, accalcati nella sala didattica dell’archivio genovese di Renzo Piano, tutti senza mascherina ci mancherebbe, perché nel 2018, quando è stato girato Il Potere dell’Archivio, documentario di Francesca Molteni, l’acronimo DPI apparteneva tuttalpiù al linguaggio specialistico. Il fatto è che veramente non sappiamo se riusciremo mai a ritrovare la stessa confidenza con l’altro, quel dare del tu a qualunque corpo, nei suoi aspetti passionali ma anche drammatici, che Letizia Battaglia riesce a esprimere non solo con le sue fotografie ma anche con gli atteggiamenti con i quali dialoga con i suoi ex compagni di vita, rievocando i momenti più duri e poetici della sua carriera coraggiosa, ripercorsi da Shooting The Mafia, di Kim Longinotto. Insomma, sul grande schermo i protagonisti sono Arte, Architettura e Fotografia: i tre capitoli di Artecinema 25, sulla cui copertina brillano le lacrime dorate e metalliche della Sophia Loren di Cassandra Crying, opera di Francesco Vezzoli, iniziano così, attualissimi nelle impressioni e potenti nelle suggestioni.

Quattro artiste, un architetto e una fotografa: i documentari dell’apertura di Artecinema 2020

Dunque, parte forte già dai primi minuti Body of Truth, il documentario in cui Schels intreccia le storie di Abramovic, Neshat, Katharina Sieverding e Sigalit Landau. «Quando presentai per la prima volta l’idea di un documentario su quattro artiste, non ebbi risposte molto incoraggianti», ha raccontato la regista, sul palco del teatro di Napoli. Ma la perseveranza premia e questa forza di volontà non può che amplificarsi nelle parole e nei volti – spesso ripresi in primissimo piano – delle quattro artiste, il cui carattere si impone sulla narrazione come un lungo riff di chitarre elettriche (azzeccate le musiche di Christoph Rinnert).

Quattro fili narrativi che si incrociano lungo l’asso di un tema comune, quello del corpo, prevalentemente politico ma non esaurito nel concettuale, anzi, in molte occasioni esposto nella più minuta anatomia. Una biologia in molti casi sofferta, come nelle performance più note di Abramovic, tra le quali Balkan Baroque, eseguita da Abramovic per il padiglione serbo alla Biennale di Venezia del 1997 e vincitrice del Leone d’Oro. In altri armonica, come nella splendida ripresa dall’alto di DeadSee, video nel quale una spirale di 6 metri di diametro, composta di 500 angurie galleggianti sul Mar Morto e tenute assieme da 250 metri di corda, si svolgono lentamente, svelando e liberando progressivamente la silhouette nuda di Landau.

Nonostante, in alcuni momenti, la personalità delle quattro artiste sfoci un po’ troppo sopra le righe, per esempio, nella ricerca della frase a effetto, Schels riesce a tenere il filo del racconto per i 96 minuti, trovando sempre un punto di vista che si riflette tra queste vite eccezionali. Per esempio, il legame tra le proteste di piazza contro la visita dello Scià Pahlavi a Berlino, che portarono all’uccisione dello studente Benno Ohnesorg e vissute in prima persona dalla tedesca Sieverding, e gli anni di studio della giovanissima Neshat negli Stati Uniti, in fuga dal severo tradizionalismo imposto dall’Ayatollah Khomeini. Una sorta di arte della diaspora collettiva, insomma, in cui gli eventi della storia si frammentano da una parte all’altra del mondo, suscitando interpretazioni diverse che, in certi casi, diventano opere d’arte.

Il passaggio dal pensiero all’opera è uno degli argomenti di Il Potere dell’Archivio, in cui una musica in toni favolistici ci accompagna alla scoperta del meraviglioso mondo dell’archivio di Renzo Piano a Genova, tutt’altro che un luogo polveroso. Un archivio elegantissimo e raffinatissimo che conserva, certo, ma che racconta, insegna e accoglie anche. E così si aprono le grandi casse con le maquette, mentre i disegni e gli schizzi prendono vita, svelando un pizzico di quel mistero che si nasconde dietro agli edifici iconici progettati dal grande architetto. Che, a sua volta, si confida con gli studenti, buttando qua e là, con un candore disarmante, piccoli semi di saggezza – sulla natura al tempo stesso labile ma concreta dei processi creativi, sull’importanza del lavoro di squadra e della mente condivisa, sul coraggio e sulla responsabilità delle scelte – che, presumibilmente, germoglieranno tra i pensieri dei ragazzi, sui cui visi traspare tutta la meraviglia nel trovarsi proprio di fronte a lui.

Un caschetto di dritti capelli rossi incornicia il volto di Letizia Battaglia e ondeggia scoprendo gli zigomi e rimarcando i suoi occhi affilati, quando la grande fotografa racconta con dolce precisione i momenti più duri della sua vita. Kim Longinotto, nel suo Shooting The Mafia, sovrappone più livelli linguistici, a partire dall’ambiguità del titolo, fino alla struttura del documentario, in cui si alternano, a un bel ritmo serrato, le scene tratte da film in bianco e nero con Ingrid Bergman e gli estratti da reportage anglofoni d’epoca, che traducevano all’estero le sanguinose vicende che legavano lo Stato italiano e la criminalità organizzata dagli anni ’70 ai primi ’90. Un materiale visivo eterogeneo ma che restituisce perfettamente il contesto e il vissuto personale di Battaglia, che parla del suo rapporto con il lavoro al quotidiano palermitano L’ora, con la cronaca più feroce, con il padre e con gli uomini, con gli amanti, con i mafiosi.

E questo è solo l’inizio, Artecinema 2020 continua infatti in streaming, sulla piattaforma dedicata, fino al 22 ottobre, con decine di altri documentari e film, molti dei quali in prima italiana o assoluta. Qui la piattaforma. Buon binge watching.

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