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Nasce a Roma SPAZIOMENSA: l’intervista ai suoi fondatori
Arte contemporanea
SPAZIOMENSA è un artist-run space che nasce all’interno del Citylab971, laboratorio di rigenerazione urbana che ha sede negli spazi dell’ex cartiera di Roma, un complesso architettonico per lungo tempo abbandonato e recentemente trasformato in un ambiente polifunzionale per la cultura. All’indomani della sua inaugurazione, ne abbiamo intervistato i fondatori: Sebastiano Bottaro, Gaia Bobò, Giuseppe Armogida, Dario Carratta, Marco Eusepi, Alessandro Giannì, Andrea Polichetti.
Spaziomensa: le parole dei fondatori
Come nasce l’idea di aprire SPAZIOMENSA?
«Lo studio di Sebastiano Bottaro si trova all’interno del Citylab971 già dalla fine dello scorso anno. Nel corso di questo 2020 parecchio strano, questa realtà, collocata all’interno dell’ex cartiera di Roma, ha subìto diversi cambiamenti rispetto alla sua conformazione iniziale. Così Sebastiano ha pensato di attivare gli spazi della vecchia mensa per realizzare un progetto di residenze legate a ELEMENTS 2020, progetto vincitore del Bando Estate Romana 2020-2021-2022. In corso d’opera, ha pensato di coinvolgere il resto del gruppo, dando vita a un artist-run space, includendo, oltre agli artisti Dario Carratta, Marco Eusepi, Alessandro Giannì e Andrea Polichetti, anche il filosofo Giuseppe Armogida e la curatrice Gaia Bobò. In questa prima mostra è stata invitata anche Alice Faloretti, artista bresciana che vive e lavora a Venezia e che, nelle prime settimane di ottobre, era in residenza a Roma.
La nostra idea nasce, quindi, da una vera esigenza di fare gruppo, dall’ambizione di produrre una rottura che possa aprire un varco e mostrare altre vie percorribili».
Come si configura il vostro artist-run space?
«Si configura come uno spazio che verte sulla sperimentazione e sulla polifunzionalità. Non siamo un collettivo, ma singoli che mettono in campo il proprio network e la propria ricerca in ogni progetto. SPAZIOMENSA vuole essere un luogo di condivisione, agendo come connettore tra le diverse realtà della città di Roma. L’idea è quella di essere fluidi e di mutare forma ogni volta che lo riteniamo opportuno, coinvolgendo altri artisti e attivando con tempistiche diverse le molteplici aree dello spazio, in modo tale da generare una “danza” composta da ritmi e passi differenti, attraverso l’utilizzo dei diversi linguaggi dell’arte».
Quale tipo di progettualità intendete svolgere?
«La progettualità di SPAZIOMENSA sarà diversificata e terrà naturalmente conto della precarietà che stiamo vivendo in questo momento. Anche per questo ci vogliamo concentrare, in questa fase iniziale, sul tessuto romano. Proporremo progetti trasversali, dove di volta in volta verranno utilizzate diverse aree degli spazi in cui SPAZIOMENSA si articola. Ci sono sicuramente in programma diverse mostre (e non solo…) e stiamo cercando di avere artisti attivi nella produzione e nella sperimentazione. Ad esempio, con il Citylab971 stiamo attivando un padiglione della struttura per realizzare degli studi d’artista condivisi, accessibili a prezzi irrisori. In questo modo sarà possibile offrire uno spazio per accogliere la produzione artistica emergente. È inevitabile non pensare di utilizzare i diversi luoghi che compongono l’ex cartiera, una struttura ricca di suggestioni visive e sensoriali dovute alla sua storia articolata».
Come intendete finanziarvi?
«I fondi per la sistemazione dello spazio e per la prima mostra sono stati stanziati dal Citylab971, che è sicuramente un supporto imprescindibile per le nostre esigenze organizzative. Per quanto riguarda i progetti futuri, vorremmo proporre al pubblico diverse soluzioni per sostenere lo spazio (pubblicazioni editoriali, stampe, opere di piccolo formato), cercando di generare anche un collezionismo più accessibile e alla portata di tutti».
Voi parlate di voler “valorizzare il fermento artistico romano”. Come descrivereste questo fermento artistico?
«A Roma sono sempre accadute cose interessanti, e stanno continuando ad accadere esattamente come in passato, solamente che vengono recepite dal pubblico come un rumore di fondo. Roma non muore mai, al massimo dorme, e la nostra intenzione è di far convergere questo fermento in un unico contenitore – che possa attivarsi in diverse modalità e in diversi momenti e luoghi – in modo che questo rumore si trasformi in una cassa di risonanza in grado di disturbare, anche solo per un istante, questo gigante che sta dormendo.
Inoltre, Roma è un contesto e un non-contesto allo stesso tempo. Storicamente si è confermata come un luogo di transito fondamentale: la città del Grand Tour, delle accademie straniere, delle ambasciate, degli istituti di cultura. Intercettarne il fermento non significa fotografare una condizione statica, ma un dinamismo costantemente negoziato. Non vogliamo neppure essere eccessivamente chiusi: non escludiamo a priori di coinvolgere artisti che non sono strettamente legati alla città, ma che potrebbero instaurare un dialogo con essa, magari organizzando residenze temporanee. Vogliamo assecondare lo spirito della Città più che tentare di rinchiuderlo».
Cosa vi proponete di offrire a Roma?
«La nostra intenzione non è tanto quella di offrire a Roma, ma di prendere quello che di valido è già presente. Vorremmo che il nostro attributo essenziale fosse quella “porosità” di cui parlava Benjamin, e che consiste in un esercizio costante di compresenza e permeazione di elementi, tempi e luoghi che la realtà tiene separati. SPAZIOMENSA è una grande spugna distesa su Roma che invece di ridurre e annullare il complesso delle tensioni e dei conflitti della città, tende ad assimilarli e, quasi, a nutrirsene.
Ci piacerebbe dare al pubblico un ulteriore livello di visione. Ma, allo stesso tempo, vorremmo che la Città ci offrisse un modo di dialogare con essa; vogliamo viverla come un interscambio e non in maniera univoca».
Voi partite dal presupposto che “l’arte e tutto ciò che la riguarda stanno subendo una netta e improvvisa trasformazione verso qualcosa di ancora indefinito”…
«Sì. Basta guardarsi intorno. Il mondo intero sta cambiando radicalmente verso qualcosa di indefinito, e di conseguenza anche l’arte e tutto ciò che è connessa a essa, a partire dai suoi ruoli e dalle sue dinamiche principali, che probabilmente dovranno essere ripensati. Le fiere sono state sospese, le persone non possono muoversi e viaggiare serenamente come prima, le gallerie si trovano a dover modificare la propria programmazione di continuo, e molte di queste hanno chiuso o si stanno trasformando in piattaforme online.
Con l’imminente arrivo di nuove tecnologie e con la crisi che avanza è inevitabile che le cose cambieranno (e lo stanno già facendo), anche se non è facile intuire in quale direzione. Tutto sta diventando sintetico e ancora più freddo di quanto già non fosse prima. SPAZIOMENSA vorrebbe, per quanto possibile, essere un avamposto di resistenza a tutto ciò. In questo momento di crisi sicuramente assisteremo a grandi cambiamenti in tutti i contesti del nostro quotidiano. Siamo nell’occhio del ciclone e cercare di delineare un orizzonte sicuro sinceramente diventa molto difficile. SPAZIOMENSA è nato da questa esigenza di avere un focus sul presente, attivo specialmente sul territorio. Da qui nasce la necessità di vivere la contemporaneità in senso stretto, fulmineo, reale. Il nostro scopo è quello di interagire e mappare una volontà creativa. Nonostante il periodo non ci offra una visione nitida del futuro, è palese che sia già in atto un cambiamento. Stiamo lavorando in senso positivo sull’incertezza del nostro presente, restando aperti verso le sue possibilità».
Avete inaugurato SPAZIOMENSA con una mostra collettiva. Qual è il suo concept e come si articola il percorso espositivo?
«Si può dire che si è trattato di una mostra esplorativa: l’urgenza era quella di abitare lo spazio ed entrarci in dialogo. La mostra nasce dalla consapevolezza che il fare estetico comprende in sé la dimensione della collettività. Una collettività, però, non in quanto separata dai singoli, ma una collettività singolare di soggetti attivi e capaci di immaginazione produttiva. Una collettività, dunque, in cui il concetto di differenza è fondamentale. Una differenza ritagliata da passioni e interessi comuni, da un sapere comune, ma che non può essere in nessun caso cancellata. Eliminando le differenze, si rischierebbe di rendere organica questa collettività, di dargli un’identità precisa, di determinarla in modo insufficiente rispetto a ciò che realmente è, e quindi di snaturarla completamente. Il group show di inaugurazione intende un po’ raffigurare questa sorta di “comunità metabolica” di artisti con cui è nato SPAZIOMENSA. Vogliamo offrire un piatto ricolmo, misto di tante primizie che, consumato nella sua interezza, sia in grado di scacciare momentaneamente la fame».