-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Fino al 6 febbraio la Galleria Marignana Arte di Venezia ospita la mostra collettiva “Oltrenatura” con le opere di quattro artisti under 40: Giuseppe Adamo, Yojiro Imasaka, Silvia Infranco e Quayola.
La mostra, a cura di Davide Sarchioni, intende mettere in relazione le opere dei quattro artisti conducendo una riflessione che parte dalla natura per indagare la mutevolezza della realtà contemporanea, dalla rivoluzione digitale ai veloci cambiamenti economico-sociali e ambientali e non da ultimo la pandemia globale ancora in corso. La natura, nelle sue molteplici forme, offre ai giovani artisti la possibilità di confrontarsi con il tema del cambiamento. Dalle dinamiche delle trasformazioni naturali, infatti, gli artisti trovano ispirazione per nuovi processi creativi e, attraverso differenti media, guidano lo spettatore in un percorso che amplifica le percezioni del presente. L’artista diventa quindi “copula mundi”, elemento di congiunzione tra fisica (physis, natura) e metafisica (oltrenatura): guarda al mondo delle idee e lo trasforma nell’opera d’arte, materia in cui i due mondi si ricongiungono e diventano visibili all’uomo.
Il percorso espositivo
Il percorso espositivo si articola in un dialogo coeso tra i quattro artisti, creando attraverso le opere presentate una relazione spontanea e lineare tra le diverse visioni. La pittura di Giuseppe Adamo (1982, Alcamo), prevalentemente aniconica e monocromatica, si avvale di un sapiente e raffinato uso delle velature di colore, che poste strato su strato, creano immagini misteriose e suggestive che richiamano orografie, mappature e superfici lunari e terrestri, con effetti di trasparenza e luminosità che conferiscono un illusorio effetto di tridimensionalità. Le opere in mostra sono modulate sui toni del verde, scuri e profondi, restituiscono immagini poetiche e ambigue. Quest’ultima deriva dalla visione digitale, interrogando lo spettatore sul rapporto tra reale e artificiale e offrendo un punto di partenza per una rinnovata interpretazione della realtà.
All’innafferrabilità dei dipinti di Adamo risponde la fotografia iperrealistica di Yojiro Imasaka (1983, Hiroshima), che riflette sul rapporto uomo-natura ponendo l’attenzione sulla fragilità e la brevità dell’esistenza del primo rispetto all’eterna forza di rigenerarsi della seconda. Attraverso il mezzo fotografico, l’artista cattura la bellezza di una natura primigenia, non ancora contaminata dall’intervento umano. La serie “Trade winds”, virata sui toni del seppia, grigio e verde e realizzata nelle isole Hawaii, restituisce una natura selvaggia che Imasaka riesce a sublimare e cristallizzare nel tempo. Lo fa grazie a un sofisticato utilizzo delle tecniche di sviluppo in camera oscura che permette la resa in altissima definizione di ogni dettaglio, ponendo così la creazione artistica al di là della natura stessa. Ciò risulta ancora più evidente in “Illuminating Earth”, dove la struttura speculare dell’immagine carica l’opera di un forte valore simbolico.
Prosegue il dialogo Silvia Infranco (1982, Belluno), con una riflessione sulla metamorfosi che deriva dal suo costante contatto diretto, studio e osservazione della natura. L’artista impiega materiali naturali e organici e osserva come essi reagiscono allo trascorrere del tempo, sottoponendoli a processi di macerazione, sottrazione e inclusione oggettuale. L’intento è di restituire uno sguardo nuovo sugli oggetti e creare una nuova memoria di essi, come è evidente nell’opera Ciò che resta, una sorta di wunderkammer in cui ogni elemento naturale è contenuto in una teca e ricoperto da cera, elemento caratterizzante del lavoro dell’artista, che protegge ciò che è destinato alla caducità, invitando lo spettatore all’ascolto interiore e a una nuova riflessione sulla consistenza del tempo e della memoria.
Il percorso si conclude con le stampe della serie Jardin D’Ete di Quayola (1982, Roma), che derivano da due frame consecutivi di un lavoro video con cui l’artista ha reso omaggio all’impressionismo francese e agli ultimi capolavori di Claude Monet, considerati agli albori dell’astrazione pittorica. La ricerca dell’artista consiste nell’esplorare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie digitali, rendendo queste protagoniste della creazione artistica. Infatti, attraverso l’utilizzo di sofisticati software e complessi algoritmi, Quayola crea immagini solo all’apparenza simili a quelle tradizionalmente intese, bensì frutto di una percezione diversa da quella umana. Stimola così lo spettatore a riflettere sulla tensione tra naturale e artificiale, tra tradizione e innovazione, sulla “seconda natura” delle cose.