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L’amore di Gillo Dorfles per la sua Paestum, in una mostra
Arte contemporanea
di Fabio Avella
La designer statunitense Cas Holman, nel creare giochi per bambini, sostiene che non bisogna forzarli a costruire forme standard ma lasciarli liberi di realizzare nuove soluzioni, le più spontanee possibili. Crede, infatti, che le costruzioni non devono rispecchiare una torre, una macchina o una casa, ma essere forme inedite, non convenzionali, forse minime. Questi giochi sono a volte incolori, amorfi e strutturali. Gillo Dorfles, quando pensava ai suoi materiali minimi, incoraggiava probabilmente uno studio sull’essenza della forma, sulla sua nascita, un atto creativo primo, non convenzionale, essenziale: e ciò avveniva anche nei suoi soggiorni a Paestum, dove la nostra civiltà prese vita. Rafforzando, in quei giorni, la sua visione su una parte dell’arte del dopoguerra, teorizzata come forma espressiva originale e separata dall’esperienza del passato, e dalle stesse Avanguardie ancora legate ai mezzi e ai metodi produttivi precedenti.
Nella terra del mito e della filosofia
Proprio nella terra del mito, dove Goethe camminava su rocce e su macerie, potendo riconoscere alcuni massi oblunghi e squadrati, «che avevamo già notato da distante, come templi sopravvissuti e memorie di una città una volta magnifica». E prima ancora Parmenide ad Elea, attuale Velia, nel più profondo Cilento, che secondo Heidegger, come specifica Armando Torno, «rappresenta il pensiero aurorale dei greci quale inizio e fondamento della civiltà occidentale», ampliava la speculazione sulla conoscenza affermando che «l’essere è e non può non essere; il non essere non è e non può in alcun modo essere». Permettendo all’uomo di ragionare al di là della consistenza materiale e introducendo il concetto di certezza assoluta di esistenza in quanto si è. Rendendoci in un certo senso tangibili i concetti astratti, concreti, percepibili al di là dei nostri sensi legati troppo alla natura fisica del mondo.
Ecco, questa è la terra che Gillo Dorfles, nato il 12 aprile 1910 a Trieste, apprezzava in maniera tale da essere culla fertile per la sua creatività. E così Paestum, a due anni dalla scomparsa del centenario critico d’arte, omaggia il suo figlio elettivo con una mostra dei suoi lavori artistici, frutto di una ricerca pittorica e materica che soverchia la dimensione letteraria per concentrarsi sulla ricerca della forma minima, iniziale, vitale: in un certo qual modo, il momento della nascita dell’essere.
Come lucidamente sostiene Antonello Tolve, curatore e qui attento storico e descrittore dell’importanza dell’opere artistiche di Gillo Dorfles, questa mostra, allestita nella Torre 28 della Cinta Muraria di Paestum, è «un appuntamento che toglie la fine al finale e che apre a nuovi discorsi, a nuove avventure». Perché il lavoro di Dorfles pittore è l’aspetto concreto di un’esperienza nata anni prima e che ha continuato a svilupparsi grazie agli interventi per la rivista Taide di Pietro Lista e Cristina Di Geronimo, per la quale curò il numero Taide materiali minimi (1982), e poi nel 1996 quando fu organizzata una esposizione sul suo operato.
Quest’ultimo creato in residenza a Paestum, per il MMMAC – Museo Materiali Minimi d’Arte Contemporanea, nato su iniziativa dello stesso Lista nel 1993 e che «rappresenta il primo esempio di uno spazio dedicato interamente alla scoria, al borborigmo visivo, alla freschezza del segno-gesto-parola non ancora imprigionato dal dominio della ragione e che anzi a questa sfugge come un fiotto di irrazionalità o magari di piacevole indeterminatezza». Ancora una volta il territorio salernitano, in continuità con la sua storia recente, si mostra fertile per l’arte contemporanea internazionale.
Gillo Dorfles e la sua Paestum
La mostra “Gillo Dorfles. La sua Paestum”, voluta fortemente nonostante gli impedimenti dell’ultimo periodo che tutt’ora ci colpiscono profondamente, in questa atemporalità che sembra senza fine, è stata realizzata grazie al Parco archeologico di Paestum e Velia con il suo direttore Gabriel Zuchtriegel e dalla tenace Nuvola Lista, l’altra curatrice, che conobbe personalmente Dorfles, il quale, dal 1996, per un paio di settimane ogni anno, veniva nella cittadina a godersi il ristoro e a ritrovare l’energia che un luogo così fondamentale per la nostra civiltà può offrire.
Ne fa lei, infatti, un ritratto intimo e vivo di quei giorni della consuetudine estiva, quando Dorfles era solito sorseggiare al tramonto, davanti al tempio di Cerere, il suo crodino, oppure la visita alla Porta Rosa nel sito archeologico di Elea-Velia, dove passeggiava meditabondo sulle orme di Parmenide. «Questa mostra nasce dal desiderio di riconoscenza. La sua Paestum è raccontata attraverso le opere in mostra. Ogni sezione è un capitolo della sua storia».ù
Della ceramica decorata o plasmata amava la trasformazione dopo la cottura nella fornace. Delle opere grafiche, le incisioni e le acqueforti, lo sorprendeva la forza del graffio sulla lastra-matrice. Le tele sono state le sue «amanti clandestine» alle quali ha dedicato passione, come quella contenuta nel rosso del grande protallo in esposizione. I piccoli gioielli testimoniano l’attenzione che Dorfles, estetologo ma soprattutto critico del gusto, aveva per la moda. E infine, la grande raccolta dei «materiali minimi», definiti dallo stesso Dorfles «l’unica autentica base d’ogni nostra successiva creazione», nell’editoriale Il ritorno della pausa, diventato poi il manifesto teorico più raffinato del MMMAC.
Nuvola Lista, che continua nel percorso tracciato all’ombra dei templi dal MMMAC, dopo aver posizionato il Cavallo di sabbia di Mimmo Paladino tra le maestose testimonianze della civiltà greca, sostiene la ricerca dell’arte contemporanea in uno dei luoghi più fertili che il sole abbia mai illuminato.