29 novembre 2020

Silvia Camporesi, Forzare il paesaggio – z2o Sara Zanin Gallery

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C’è bisogno di poesia e per trovarla basta guardare meglio dietro l’angolo. Per esempio alla mostra di Silvia Camporesi da z2o, fino al prossimo 11 gennaio

Silvia Camporesi, L’Isola delle Rose, 2020, Inkjet print su fine art paper, su dibond, con cornice Nielsen Natura/34 e vetro, cm 120 x 90, Ed. 1/5 2 1 AP

C’è bisogno di poesia. Questo è il messaggio che arriva dalla mostra “Forzare il paesaggio” con opere di Silvia Camporesi, a cura di Angel Moya Garcia, inaugurata lunedì 16 novembre presso la Galleria z2o di Sara Zanin a Roma e visitabile dal lunedì al sabato, dalle 13 alle 19.
C’è bisogno di poesia e per trovarla non serve andare nemmeno troppo lontano, ma basta guardare meglio dietro l’angolo. Se apriamo gli occhi possiamo scovare, all’interno del nostro territorio, piccoli mondi antichi quasi scomparsi, storie talmente surreali da non sembrare vere. Silvia Camporesi lo fa per noi, portando alla luce, attraverso il linguaggio della fotografia e dell’arte contemporanea, tre luoghi semi-dimenticati ma realmente esistiti/esistenti nel nostro Paese. Nelle opere esposte, l’artista fotografa alcuni paesi scomparsi dopo averli ricostruiti attraverso la scultura e riprende luoghi insoliti dal vero ove possibile, documentando il tutto attraverso alcune tracce d’epoca rivisitate dal suo intervento. Si viene a formare così uno storytelling circondato da un’allure di mistero, dove il filo conduttore è la particolarità che unisce i cambiamenti subiti da questi luoghi e che mette in crisi volutamente – anche per una scelta curatoriale – la nostra capacità di distinguere la leggenda dal vero. Stiamo osservando una favola o la realtà?

Silvia Camporesi, Il sole riflesso, 2020, Inkjet print su fine art paper, su dibond, con cornice Nielsen Natura/34 e vetro, cm 60 x 40, Ed. 1/5 + 2 AP

Il percorso si apre con la vicenda dell’Isola delle Rose, una piattaforma costruita al largo dell’Adriatico nel 1968 dall’imprenditore Giorgio Rosa, il quale pretendeva che il luogo venisse riconosciuto come Stato indipendente con tanto di moneta e lingua autonome. L’utopia fu stroncata dalle forze di Polizia italiane che nel giro di pochi mesi demolirono l’isola artificiale, di cui non rimase alcuna traccia. L’artista la riproduce con un modellino, che ambienta e fotografa come se fosse reale. La seconda sala racconta invece del paese di Viganella, una piccola comunità di 200 abitanti della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, dove per 83 giorni all’anno, ogni inverno, non batte il sole. L’ingegnoso sindaco fece costruire, nel 2006, un grande pannello riflettente sulla cima della montagna sovrastante, per far arrivare la luce al piccolo borgo anche nei mesi di buio: oggi lo Specchio di Viganella viene celebrato ogni anno come se fosse un Santo Patrono. Camporesi ne riprende i movimenti servendosi di un drone e cattura le suggestioni create dalla luce in alcuni angoli del paese. Incontriamo infine la storia di Fabbriche di Careggine, un piccolo comune abbandonato nel 1947 a causa della costruzione di una diga e alla conseguente formazione di un lago artificiale che sommerse completamente il villaggio. Il bacino venne svuotato diverse volte per manutenzione fino al 1994, attirando folle di curiosi che si avvicinavano per visitare il paese fantasma. Oggi Fabbriche di Careggine è solo un ricordo. Ciononostante, dai comuni limitrofi si annuncia ogni anno lo svuotamento del lago e addirittura vengono indetti bandi per la salvaguardia e la fruizione del piccolo borgo scomparso, a cui non risponde mai nessuno. Anche qui, l’artista riproduce il paese in scala basandosi su immagini e planimetrie reali e fotografandolo in diversi momenti (sott’acqua e non).

Silvia Camporesi, Il paese che emerge #1, 2020, Inkjet print su fine art paper, su dibond, con cornice Nielsen Natura/34 e vetro, Cm 90 x 120. Ed 1/5 + 2 AP

C’è bisogno di poesia. In nessuna di queste narrazioni c’è l’intento infatti di stimolare una riflessione politica o sociale, per una volta, ma solo di contemplare il sogno e la meraviglia. Chi vuole, può ragionare su concetti come l’antropizzazione forzata del paesaggio e le sue conseguenze, ma non è necessario. C’è la voglia di accompagnarci in un viaggio ai limiti del vero, dove la stratificazione delle modifiche apportate al territorio crea un’analogia con le possibilità di manipolazione offerte dal mezzo fotografico, il quale, forse, si rivela non essere nemmeno così infallibile nel riprodurre la realtà. Silvia Camporesi manipola storie e immagini, donandoci un universo utopico dove immergerci e anche rifugiarci, di questi tempi, almeno per un po’.

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