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Iginio De Luca sta scrivendo: non siamo trasparenti
Arte contemporanea
Dall’alba al tramonto di ieri, 22 dicembre 2020, Iginio De Luca ha scritto, o forse – sarebbe più corretto dire ha “ripostato”…Comunque ha attaccato al posto dei classici manifesti pubblicitari, in 25 luoghi di Roma, una serie di messaggi a metà tra l’intimo e il lavorativo, scambiati con il curatore Claudio Libero Pisano.
Lo ha fatto con la complicità di AlbumArte e il progetto che si intitola, appunto, Sta scrivendo…, è stato breve quanto un SMS, quanto una parola.
“Non mi sentivo a mio agio nel pubblicare conversazioni che pur professionali restavano nell’ambito di un percorso privato. Sarebbe stato come consegnare la brutta copia di un tema che si voleva invece redigere al meglio – scrive Pisano nel testo che accompagna l’azione – ma ho capito nelle discussioni con Iginio che in realtà il suo obiettivo era centrare l’attenzione proprio sul brogliaccio, sulla brutta copia che precede la realizzazione di un progetto artistico. Raccontare come si arriva a una mostra e far vedere, senza aggiustamenti successivi, come si cresce reciprocamente nella realizzazione di un’opera”.
Ma Sta scrivendo… non è un progetto che si ferma al lessico, al fatto che tra artista e curatore si inneschi una complicità che va oltre al limite testuale: è la dimostrazione che esiste una evoluzione continua del progetto, che ha bisogno di relazioni, perché alla nascita di una mostra, come di un’opera, “Ogni cosa, anche minima, torna utile”, scrive il curatore.
E qui viene il nodo centrale della questione, quella questione che da quasi un anno ha consegnato l’arte e la cultura al silenzio, ha decretato che i musei non sono beni essenziali, che “artespettacolointrattenimento” sono un’unica parola che ovviamente anche se non gode di nessun rispetto professionale deve pagare le sue tasse, senza ricevere l’ombra di un supporto. “Sta scrivendo… scopre, senza filtri, quanto esiste dietro un progetto artistico”. E quanto, questo, è stato negato fino a data da destinarsi.
Iginio, ma chi è che sta scrivendo…? E cosa?
Ho stampato e affisso le conversazioni di alcuni mesi che, con il curatore Claudio Libero Pisano, ci siamo scambiati anni fa preparando una mostra. Senza nessuna correzione, compresi gli errori ortografici. Ho voluto mostrare quanto c’è prima che una mostra si possa vedere, e quanto le relazioni tra curatore e artista siano decisive. Per migliorare e completare qualsiasi aspetto. Sia esso allestitivo che progettuale. “Sta scrivendo” non è solo il codice linguistico di whatsapp, è l’incipit di una comunicazione, è il bisogno di relazione tra una persona e l’altra a livello professionale e amicale. Aprire alla collettività e alla pubblica visione una conversazione privata su un contesto così esclusivo e elitario, vuol dire favorire la conoscenza dell’arte contemporanea senza filtri ne pregiudizi e limitazioni.
Qualcuno ha scritto che non siamo necessari, come ricordi. Mi viene da chiedermi “loro” a cosa lo sono stati in questo ultimo anno. Tu che idea ti sei fatto?
Non ha importanza chi scrive che non siamo necessari. Quello che conta è che noi sappiamo di esserlo. Noi con l’arte forse non ci mangiamo, ma sicuramente respiriamo. E il respiro è vitale, è un’esigenza primaria, poi abbiamo fame, solo dopo.
Festival online, mostre online, capodanni online, cene online, e adesso anche istituzioni che chiudono lo loro sale e mutano la loro attività online. Possiamo scrivere che la follia collettiva ha raggiunto la sua migliore interpretazione, incentivata da uno stato che ha deliberatamente abdicato il suo supporto alla cultura?
La follia collettiva è tutta dentro quest’anno altrettanto folle. Questo tempo ci offre una possibilità di guardare al futuro, per capire come troveremo le modalità giuste per tornare a dire e fare quello che ci corrisponde. La fruibilità fisica e tattile dell’arte non passa mai in secondo piano. Per questo, nel tempo della chiusura e della sospensione, ho indossato il giubbotto catarifrangente e, armato di carta, colla e pennello, sono sceso per le strade di Roma scrivendo la mia visibilità. Resta un nodo intorno al quale dobbiamo interrogarci, anche puntando su nuovi dispositivi di fruizione. “Tempo” è la parola più usata da marzo scorso. Prendiamoci tempo, cerchiamo di capire, senza l’ossessione di essere dimenticati.
Hai scritto vicino al MAXXI, alla Galleria Nazionale, alla Farnesina ma anche davanti a Regina Coeli, al FAO, e alla stazione Termini…ci racconti come hai scelto questi 25 luoghi?
Ho cercato di coprire la toponomastica della città seguendo un criterio di vicinanza dei manifesti con i luoghi che in qualche modo hanno una relazione, positiva e, a volte, negativa con tutto quanto ci riguarda e ci appartiene. I musei, i ministeri, i luoghi della politica sono parte del nostro mondo. Ma spesso, malgrado tutto, riusciamo a risultare trasparenti.
La libertà è pericolosa, e il libero arbitrio oggi ancora di più. Che futuro stiamo scrivendo?
La libertà è contagiosa mi piace dire, ed è un antidoto alla paura. Con la libertà non smettiamo di esistere. È questo il futuro che immagino. Il “dopo” di tutto questo disagio, che possa contemplare spazi di libertà reali e condivisi.
Cancellando la cultura, quali parole restano?
Niente, se cancelliamo la Cultura viene meno quel respiro di nascita che ci accompagna per sempre, finche restiamo vivi.