-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Ottenuta l’approvazione dei ministeri dello Sviluppo e dell’Ambiente, la SOGIN – Società Gestione Impianti Nucleari, società dello Stato responsabile del decommissioning e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, ha pubblicato la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il nuovo deposito dei rifiuti radioattivi. Sette le Regioni interessate: Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia.
E subito sono sorte le prime polemiche, considerando che, per esempio, una delle zone individuate in Toscana ricade in prossimità della Val d’Orcia, tra Trequanda e Pienza e a Campagnatico, un’area che, dal 2004, è riconosciuta patrimonio mondiale dell’Umanità dall’UNESCO, «Per lo stato di conservazione eccellente del panorama, così come prodotto da un’intelligente opera di antropizzazione». «Non saremo pattumiera delle scorie radioattive», ha commentato Christian Solinas, presidente della Regione Sardegna. Netta opposizione anche in Puglia, con i sindaci compatti nel ribadire la vocazione agricola e turistica del loro territorio: tra le aree individuate nelle Regione, infatti, anche il comune di Altamura, famoso per il Pane di Altamura DOP e la lenticchia IGP.
L’impianto, che costerà circa 900 milioni di euro, si estenderà su un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito e 40 al parco. I rifiuti radioattivi già condizionati saranno conservati in contenutori metallici, posti all’interno di moduli più grandi, in calcestruzzo speciale, a loro volta stipati in celle di calcestruzzo armato. Nel deposito verranno stoccati per lungo periodo circa 17mila metri cubi di rifiuti a media e alta attività, in attesa della definitiva sistemazione in un deposito geologico (cioè in tunnel sotterranei, cavità o grotte).
In Italia, le centrali nucleari sono state spente nel 1990, a seguito del referendum del 1987 e, da allora, per i rifiuti e le scorie, non era stata trovata una adeguata sistemazione. Questo ritardo è costato diverse e salatissime multe da parte dell’Unione Europea ma, in verità, anche gli altri Paesi non hanno fatto granché e, secondo quanto riportato dalla Relazione del 2019 stilata dalla Commissione Europea, solo Finlandia, Francia e Svezia hanno adottato misure concrete. La questione è molto più “quotidiana” di quanto potremmo pensare: dal 2012, nella bolletta elettrica, infatti, è calcolato anche un contributo per finanziare pubblicamente il decommissioning nucleare e la costruzione dell’impianto di deposito. Dal 2012 al 2016, questo “onere di sistema” ha generato 1,796 miliardi di euro, in media 3,3 euro all’anno per contribuente che, dallo Stato, sono finiti principalmente sul conto di SOGIN.
67 le zone ritenute potenzialmente idonee, divise tra sette regioni: 8 zone tra le province di Torino e Alessandria, in Piemonte, 24 zone tra le province di Siena, Grosseto e Viterbo, tra Toscana e Lazio, 17 zone tra le province di Potenza, Matera, Bari, Taranto, tra Basilicata e Puglia, 14 aree in provincia di Oristano, in Sardegna, 4 aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta, in Sicilia. Tra queste, le candidature più solide si concentrano in Piemonte (due in provincia di Torino e cinque in provincia di Alessandria) e nel Lazio (cinque in provincia di Viterbo).