09 gennaio 2021

Leyla, Sakine, Rojbîn: un crimine ancora impunito. Il contributo di Zehra Doğan

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Un appello alla verità e una richiesta di giustizia per Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Saylemez: è questo l’obiettivo del disegno che Zehra Doğan si è offerta di produrre in occasione della “chiamata” organizzata dal movimento curdo in Francia e che sabato 9 gennaio, tra le 13.00 e le 14.00 ora locale, si diramerà in tutta la nazione, da Parigi a Toulouse, Marsiglia, Strasburgo, Bordeaux, Rennes.

Ricorrono in questo 9 gennaio 2021 otto anni dal brutale assassinio delle tre militanti curde, giustiziate a freddo con dei proiettili alla testa nel Centro Informazioni del Kurdistan di Parigi da Ömer Güney. L’uomo, appartenente al movimento fascista turco che il governo francese ha recentemente deciso di proibire, fu esecutore per conto dei servizi segreti turchi (MIT).

Oltre a una serie di indizi rivelati dalle inchieste non ci furono verità né giustizia: l’assassino morì prima del processo di una grave malattia e il governo francese dimenticò presto la promessa di fare luce sull’accaduto. Il bisogno di mantenere i rapporti con la Turchia concesse l’impunità, contribuendo di fatto a costruire il palcoscenico perfetto per l’infiltrazione islamista e fascista delle autorità turche nel territorio francese, attraverso la strumentalizzazione delle moschee, la creazione di filiali dell’AKP e la propagazione dell’ideologia pan-turca.

Non c’è dubbio alcuno, la storia ci ha già insegnato la fallacia della memoria umana: gli assassini, siano essi mandanti o esecutori, la cancellano facilmente, inventandone una nuova negando quanto avevano fatto o riducendolo in semplici azioni senza alcuna colpa. Quella delle vittime, invece perpetua in chi gli sopravvive: le famiglie delle militanti uccise, per esempio, che hanno presentato nel 2018 una denuncia, basata su rivelazioni di agenti del MIT.

E mentre un nuovo giudice è stato incaricato di studiare il caso, il movimento curdo prosegue nell’intenzione di non lasciare che nessuno sfugga al ricordo e dimentichi ciò è stato, i dolori e le ingiustizie.

Il disegno che Zehra Doğan ha realizzato, in Kurdistan, e che sarà allestito dal sindaco del 10° Arrondissement di Parigi nasce dal suo profondo legame con una delle vittime, Sakine Cansız, con cui ha condiviso la prigionia e la tortura nel carcere di Amed. Ancora una volta, con la sua arte, quella per cui fu arrestata, la stessa a cui non ha mai rinunciato e mai rinuncerà, Doğan ridefinisce i confini mal definiti di una zona che insieme separa e unisce carnefici e vittime. Una zona così incredibilmente complicata da poter confondere il potere di giudizio, una zona in cui vige la lotta di tutti contro tutti.

Ma davvero si può avere la vita salva solo collaborando con il potere dominante? Nella ricorrenza della più vergognosa manifestazione di una politica di compiacenza, uniamoci all’appello del CDK, delle donne curde in Europa e di Zehra Doğan: quando la posta in gioco è la vita, proviamo a riconoscerci per ciò che siamo: esseri simili.

Prometeo Gallery Ida Pisani risponde a questo appello e si unisce nella lotta pacifica per la verità e la giustizia dell’uomo contro ogni forma di abuso, potere e discriminazione.

Immagine:
Leyla, Sakine, Rojbîn, Zehra Doğan
Soulaymaniah, 2020 December

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