08 febbraio 2021

MoMA: 150 artisti chiedono le dimissioni di Leon Black da presidente del museo

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In una lettera, più di 150 artisti hanno richiesto le dimissioni di Leon Black da Presidente del MoMA di New York, dopo la scoperta delle sue relazioni finanziarie con Jeffrey Epstein

Il cerchio si stringe intorno alla filantropia tossica e l’establishment dell’arte contemporanea statunitense trema dalle fondamenta. Oltre 150 artisti, operatori dell’arte e attivisti hanno mosso una petizione al board del MoMA per chiedere l’allontanamento del suo attuale presidente, Leon Black, che solo la scorsa settimana aveva già annunciato le sue dimissioni da CEO della Apollo Global Management, dopo la scoperta dei suoi rapporti finanziari con Jeffrey Epstein, l’imprenditore arrestato per abusi sessuali e traffico internazionale di minorenni, suicidatosi in carcere nell’agosto 2019.

Casi di filantropia tossica

La questione era stata sollevata già l’anno scorso, quando Michael Rakowitz mise in pausa una sua opera video esposta al MOMA PS1, dopo aver scoperto in che modo la Apollo Global Management investiva i suoi soldi: “servizi di gestione del rischio” – vale a dire contractors, cioè compagnie di militari prezzolati che spesso operano al di fuori del diritto bellico internazionale – e carceri private che, negli Stati Uniti, rappresentano un problema sociale enorme, a causa delle condizioni disumane alle quali vengono sottoposti i detenuti. Scoperto il legame lucroso di Leon Black con questi settori, Rakowitz decise di “sospendere” la sua partecipazione a una mostra ospitata nello spazio satellite del museo newyorchese, sollevando un polverone non solo sul caso specifico.

Dal Louvre al Metropolitan, sono moltissimi infatti i musei in tutto il mondo – in Italia se ne parla poco, almeno per il momento – che ricevono un sostegno economico da famiglie e società di investimento con interessi tutt’altro che limpidi. Uno dei casi più famosi è quello della crociata di Nan Goldin contro il Sackler Trust, la Fondazione di filantropia della omonima famiglia proprietaria della Purdue Pharma, società farmaceutica responsabile della produzione dell’antidolorifico oppiaceo OxyContin.

Il rapporto tra Leon Black e Jeffrey Epstein

La scorsa settimana, Black ha annunciato la sua decisione di dimettersi dalla carica di CEO della Apollo Global Management, dopo che un rapporto indipendente aveva rilevato transazioni pari a 158 milioni di dollari, intercorse, tra il 2012 e il 2017, tra la società di private equity e Epstein. Il rapporto, condotto dallo studio legale Dechert, non ha trovato prove della partecipazione diretta di Black alla condotta criminale di Epstein ma ha rivelato l’entità degli stretti legami finanziari tra i due. Inoltre, Epstein consigliava Black in merito alla pianificazione patrimoniale e a questioni fiscali relative alla vasta collezione d’arte del miliardario. I servizi di Epstein hanno fatto risparmiare a Black circa 2 miliardi di dollari di tasse, afferma il rapporto.

E adesso, la comunità artistica ha aumentato la pressione sul MoMA per richiedere di risolvere il rapporto tra Black e il museo, dove l’imprenditore ricopre il ruolo di presidente dal 2018.  Tra i firmatati, Michael Rakowitz, Xaviera Simmons, Hito Steyrel, Nan Goldin, Nicole Eisenman, Andrea Fraser, Baseera Khan, Noah Fischer, Paddy Johnson, William Powhida, le Guerrilla Girls, il collettivo Dismantle NOMA e Artists For Workers.

«Le recenti conferme dei profondi legami finanziari e personali del presidente del cda del MoMA Leon Black con Jeffrey Epstein sottolineano i problemi che il MoMA e altri importanti consigli di amministrazione dei musei devono affrontare e con i quali non sono riusciti a fare i conti in modo significativo», si legge nel testo. Ci vanno giù duro i membri del collettivo DTP – Decolonize This Place: «I membri del consiglio non sono il problema. Rendono solo visibile il problema. Il MoMA nella sua interezza è il problema. Forse è ora di abolire il MoMA». «Lettere, suppliche e accordi dietro le quinte non sono sufficienti», continuano gli attivisti di DTP. «Dopo la rimozione di Kanders dal Whitney, dopo le proteste legate a George Floyd, dopo l’aperta dichiarazione di guerra dei fascisti che cercano di salvare il dominio eteropatriarcale bianco, dobbiamo fare e chiedere di più».

La responsabilità sociale di un museo

Una visione ampia la fornisce Steyerl, in una dichiarazione rilasciata a Hyperallergic, chiamando in causa la responsabilità a lungo respiro del museo, nel prendere provvedimenti immediati e significativi: «Il danno è non solo per il MoMA ma per il mondo dell’arte in generale e avrà un impatto sull’opinione della società nei confronti dell’arte per gli anni a venire. Ci sono tragici precedenti storici. Storie simili furono usate negli anni ’20 e ’30 del Novecento in Germania per contrapporre parti della popolazione non solo all’arte moderna ma, soprattutto, anche a minoranze diverse, con conseguenze ben note e disastrose. La triste verità è: i reazionari contemporanei cercheranno di coinvolgere l’intero mondo dell’arte nei crimini di Jeffrey Epstein per associazione, se la responsabilità istituzionale continua a fallire o manca del tutto».

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