21 marzo 2021

Dalla parte del drago #6: Fedeli alla linea

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Dalla grotta alla galleria, dagli egizi a Brunelleschi, la storia dell'arte è una costruzione di linee. Che formano perimetri e indicano spazi. Raccontando l'evoluzione della cultura e dello sguardo

Theo van Doesburg, Composition 17, 1919, Olio su tela, 50x50 cm

La storia dell’arte potrebbe essere una storia di linee, a partire da quelle incise nelle grotte preistoriche: dai cavalli di Chauvet risalenti a 33.000 anni fa a quelle qui vicine a Capo di Ponte in Val Camonica, che erano la meta obbligata della gita quando io andavo a scuola. Dove gli animali sono identificabili e ben tracciati per studiarli meglio e riuscire a cacciarli, mentre l’uomo non commestibile non andava approfondito e sembrava un omino del gioco dell’impiccato più che esser fedelmente rappresentato. Andando avanti nel tempo e spostandosi in Mesopotamia, vediamo i Sumeri costruire abilmente, tra il Tigri e l’Eufrate, un geometrico ziggurat dedicato a Nanna, dio della luna e non della pennica. E se passa qualche anno e da lì mi muovo poco, ritrovo i profili degli egizi e le loro posture rigide e formali, frutto di linee e spigoli pronunciati. Con le teste viste di profilo e i corpi in posizione frontale, al cui interno veniva steso il colore per campiture. Le gambe invece sono rivolte verso lo stesso lato della testa, con un piede di fronte all’altro, pronto a camminare. Ma è meglio correre che la linea del tempo non dà scampo, per arrivare ad ammirare l’ordine dorico e quello ionico della Grecia classica che c’entra in qualche modo con la linea retta. Dell’arte paleocristiana invece non saprei che dire e passo dunque all’arte gotica e ai suoi vari pinnacoli, con lo slancio vibrante delle sue verticali. Colonne a grappolo, guglie, archi e strombature di portali, che creano un complesso reticolo di elementi decorativi e lineari. E se la linea gotica passo, al Rinascimento – in questo caso – giungo. E qui si crea la prospettiva: la linea si ritrova nelle architetture e nei pavimenti geometrici e in tanti pittori che misero su tela, tavola o parete, i rigorosi principi del Brunelleschi e dei suoi seguaci.

Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo, 1468–1470, Olio e tempera su pannello, 58.4×81.5 cm

Piero de’ Franceschi è ovviamente tra questi e la sua linea diede vita in maniera matematica a composizioni monumentali e indimenticabili architetture bidimensionali, come quelle della Flagellazione di Cristo a Urbino o la Pala di Brera a Milano. In verità associati alla linea potrebbero essere tutti gli artisti toscani che si differenziarono dai colleghi veneziani considerati tonalisti e quindi più vicini al colore, parlando per sommi capi, o a grandi linee.

Lorenzo di Credi (e Andrea del Verrocchio), Madonna di Piazza, 1486, Tempera su tavola, 189×191 cm

Ed è certo che la scuola fiorentina dell’epoca era molto attenta alla linea di contorno che veniva leggermente marcata, come nelle opere del Verrocchio, dei fratelli Pollaiolo, del primo periodo di Lorenzo di Credi, di Filippino Lippi e vari altri. E cosa sarebbe la figura femminile della Venere del Botticelli senza quella linea svelta, snella e ispiratrice? Ma se volessimo essere più esaustivi dovremmo per forza passare da Ferrara, dove gli artisti esasperarono alcune espressioni proprio grazie alle tensioni delle linee di Cosmè Tura, Francesco Del Cossa, Ercole de’ Roberti e tutta l’Officina. E passando i mesi e il loro Salone, continuando per la stessa direzione, si arriva alle rovine di Giambattista Piranesi e alle sue acqueforti, con migliaia di segni impressi con le punte, calcando la cera sulle sue dure matrici. Saltiamo alle avanguardie radicali, con il gruppo di De Stijl, da Piet Mondrian e Theo van Doesburg a Max Bill, e tutte quelle combinazioni di linee e geometrie sulle superfici, con pochi primari colori.


Francesco del Cossa, Maggio, 1468-1470, Affresco, 320×500 cm

Lì si è arrivati guardando al cubismo, ed è giusto dirlo. Ma non posso tralasciare anche certe brocche e vasi di Giorgio Morandi, nei suoi bellissimi disegni. Costruzioni semplici e frontali che con poche righe trasformano in poesia oggetti quotidiani: e un nuovo mondo calmo da sopra un tavolo sorge.


Peter Downsbrough, Two Lines, 1973-1974, Timbro su carta, 21,6×35,5 cm

Avviciniamoci ai giorni nostri: Fred Sandback nelle sue mostre tirava fili tra il soffitto e le pareti dopo che in gioventù si era appassionato agli strumenti a corda ed era stato accordatore di bangi e violini. Non c’è più l’esposizione di un lavoro ma bastano lo spazio e il suo perimetro. Mentre Peter Downsbrough è anche più radicale e indica alcuni possibili luoghi dove un’opera potrebbe stare. Pipes e Poles sono sculture di linea e indicatori di spazi o semplici riferimenti, perché per cogliere il mondo intorno ciascuno deve sapersi situare e, soprattutto, ritrovare. Doveva saperlo bene Osvaldo Cavandoli che con la sola Linea ha creato un universo che è presto divenuto un mitico indimenticabile fumetto.

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago

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