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Gerhard Richter dona alla Germania una sua serie di opere sull’Olocausto
Arte contemporanea
Il pittore e scultore tedesco Gerhard Richter ha deciso di prestare alla Galleria Nazionale di Berlino, in maniera permanente, la sua serie di dipinti intitolata Birkenau, per evitare che sia dispersa sul mercato dell’arte. Realizzata nel 2014, intessendo un dialogo indiretto con la fotografia e diretto con la pittura, la serie ha il preciso intento di rappresentare eventi estremi della storia contemporanea, quali l’Olocausto.
La fine della Seconda Guerra Mondiale coincide, per l’artista, con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, nella quale i ricordi si dividono tra sentimenti di tenerezza e timore, tristezza ed entusiasmo giovanile, e con il fatto che la Germania, ormai sotto l’egemonia sovietica dopo il Trattato di Potsdam (1945), sarebbe diventata ben presto una realtà diversa rispetto a quella in cui era nato. Richter si batte affinché gli avvenimenti controversi e dolorosi legati alla Grande Guerra, vissuti in prima persona da lui e dalla sua famiglia, non vengano dimenticati. Meditare e mantenere viva la memoria sembrano essere l’unica soluzione possibile non solo per evitare che l’orrore si ripeta, ma anche per impedire che il tempo possa condurre l’uomo moderno alla rassegnazione verso quanto storicamente accaduto e commesso.
Richter non accetta che le sue opere, ispirate al campo di concentramento nazista, vengano commercializzate nell’imponente mercato dell’arte o finiscano nel dimenticatoio della mondanità, ma che vengano esposte pubblicamente per divulgare «questo crimine esemplare contro l’umanità», secondo quanto detto da Joachim Jäger, direttore ad interim della Neue Nationalgalerie di Berlino. Per questo la serie è stata esposta precedentemente al parlamento tedesco e recentemente al Metropolitan Museum di New York, come parte della retrospettiva a Richter dedicata, intitolata Painting After All.
«Sia a livello nazionale che internazionale c’è stato un enorme interesse», afferma la moglie dell’artista, Sabine Moritz-Richter, rivolgendosi alle opere. «Il Metropolitan Museum di New York li voleva, ma abbiamo detto “No, devono restare in Germania, appartengono a questo posto”», aggiunge Richter. Birkenau, infatti, entra a far parte di un gruppo di 100 opere e viene ceduto dall’artista alla Prussian Cultural Heritage Foundation, fondazione con sede a Berlino che sovrintende a 27 istituzioni in Germania e che sta mettendo tali opere in prestito permanente per il patrimonio culturale prussiano.
«Sono lieto che i dipinti arrivino a Berlino», così dice Richter in una dichiarazione, sostenendo che il sapere che i quadri abbiano una “casa sicura” nella città a cui è atavicamente legato, rappresenta per lui un’esperienza meravigliosa e un inizio fantastico di una collaborazione con essa.
A celebrare l’accordo vi sono il ministro della cultura tedesco, Monika Grütters, il leader della Fondazione per il patrimonio culturale prussiano, Hermann Parzinger, e la figlia dell’artista, Ella Maria Richter, presso la Nationalgalerie di Berlino, uno dei musei supervisionati dalla Fondazione.
Monika Grütters ha accolto con favore la collaborazione tra Richter, che ha sede a Colonia, e la capitale tedesca, definendola “un grande guadagno per la metropoli dell’arte” e un “voto di fiducia” per il museo stesso. I dipinti del “prestito Birkenau” rimarranno esposti presso la Galleria Nazionale di Berlino fino al 2027, anno in cui saranno spostati al vicino Museo d’Arte del XX secolo che è attualmente in costruzione. Richter avrà una galleria riservata per il suo prestito al piano superiore del museo progettato, vicino alle singole gallerie dedicate a Joseph Beuys, Rebecca Horn e Sarah Morris.
La serie in quattro parti è in mostra dal 16 marzo fino al 3 ottobre 2021 all’Alte Nationalgalerie come parte alla mostra “Reflections on Painting”. Il museo, come le altre istituzioni d’arte tedesche presso l’Isola dei Musei, riapre ora per la prima volta da quando a novembre è entrato in vigore il secondo rigoroso blocco.
Il ciclo Birkenau si basa su quattro fotografie che prendono le mosse da un membro del Sonderkommando del crematorio V del campo Auschwitz-Birkenau, scattate di nascosto nell’agosto del 1944; due mostrano la cremazione di corpi accatastati sulla soglia di una foresta dal punto di vista di un edificio e le altre due, all’aperto, svelano un gruppo di donne spinte verso la camera a gas. L’artista ha raccontato di essersi a lungo tormentato per escogitare il modo appropriato di ricreare immagini idonee alla sensibilità di un simile argomento, inizialmente realizzando dipinti figurativi sopra le fotografie e successivamente offuscandoli con una composizione astratta, nella quale è possibile vedere solo gli elementi più sottili della pittura di fondo.
Trasferita la fotografia su una tela di 260 x 200 cm, gli strati di colore si moltiplicano secondo una tecnica sperimentata dall’artista a partire dagli Anni Novanta: prima spalmati, poi parzialmente raschiati con una grande spatola e infine grattati da un coltello. Il procedimento, ripetuto varie volte con pigmenti differenti, finisce per nascondere del tutto l’immagine fotografica e negare sia la forma che la sua esistenza, che, citando le parole dello stesso Richter, “è stata segretamente dipinta”. Come “segreta” è rimasta la serie nei confronti del mercato dell’arte, affinché esso non possa comprarla.
I quadri si presentano, così, come una sovrapposizione di tracce di colore microscopiche, costanti e irregolari che non rappresentano più niente, nemmeno il peccato dell’uomo, in cui soltanto il titolo fa riferimento all’immagine originaria. Birkenau si fa palinsesto cromatico e in questa astrazione pittorica dominano ombre grigie come modo per sublimare il contenuto sensibile delle immagini catturate dalle fotografie. La ripetitività delle linee dà l’impressione di un movimento lento, dell’inesorabile compiersi della tragedia. Il quadro è la presentazione di un tessuto infinito di tracce e di macchie di colore che, come interferenze, evocano un’idea di immanenza.
Nella misura in cui l’opera porta come titolo il toponimo del più grande campo di sterminio nazista, essa espone l’osservatore alla compresenza di quel nome e dell’emotività indecifrabile dell’umanità.
mente eccezionale ,grande uomo e artista dove cuore e cervello sono inseparabili