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Musica da vedere: le fotografie di Bob Cornelius Rifo al MUST di Lecce
Fotografia
di redazione
Un lungo viaggio tra i festival più coinvolgenti al mondo, dall’Austin SXSW al Coachella, fino al leggendario Burning Man, scorrendo i volti di musicisti entrati nell’Olimpo della musica ma anche dei meno conosciuti, per scoprire un mondo del quale, spesso, si vede – e si sente – solo l’aspetto più esteriore. Sono queste le storie raccontate dalle fotografie di “THE CULT OF RIFO – A Bloody Beetroots Journey”, mostra di Bob Cornelius Rifo, aka Simone Cogo, musicista e produttore mascherato, fondatore, insieme a Tommy Tea, dei The Bloody Beetroots, uno dei gruppi italiani più influenti a livello internazionale nel genere dell’elettronica. Curata da Denis Curti e già esposta alla Leica Galerie di Milano, l’esposizione arriva a Lecce, dal 26 giugno al 14 luglio 2021, alla Must Off Gallery del MUST di Lecce, il Museo ospitato negli spazi dell’ex monastero quattrocentesco di Santa Chiara, che ha recentemente riaperto al pubblico dopo un progetto di restauro e risistemazione. Presentata da Foto Scuola Lecce, la mostra è supportata da Leica Galerie Milano, Leica Camera Italia e dal Comune di Lecce.
Il percorso espositivo è scandito da 25 immagini che l’artista Bob Cornelius Rifo ha scattato nel corso dei suoi tanti viaggi, inseguendo le sonorità in giro per il mondo, suonando sui palchi in metropoli e in deserti. Panorami, dettagli e ritratti emergono dal buio, per mostrare la propria anima più profonda, segnati e trasfigurati da sentimenti potenti, ma spesso invisibili e disturbanti come lastre di vetro trasparenti. Un bianco e nero che pare illuminato solo dalla luce di passaggio tra la notte e l’alba, uno spazio onirico dove è sufficiente uno scatto per raccontare tutta una storia.
«Le fotografie di Sir Bob Cornelius Rifo sono la somma di una enorme quantità umana e di un desiderio preciso di raccontare le cose del mondo senza mediazioni. I suoi ritratti arrivano dritti al cuore e i suoi pochi paesaggi sono sentimenti sospesi nel tempo. Il suo bianco e nero e concentrazione. Il suo merito è quella indiscutibile capacità di operare per sottrazione. In questi scatti ritrovo il rigore di una grammatica, questa volta non per le parole ma per le immagini», spiega Curti. Si avvicendano così volti sconosciuti o leggendari, come Steve Jones dei Sex Pistols, Jimmy Webb, icona punk della scena newyorkese, mancato nel 2020, Jay Buchanan dei Rival Sons, Penny Rimbaud dei CRASS, Tommy Lee, Dennis Lyxzén, il frontman dei Refused. Tutti si mostrano all’obbiettivo dell’artista con struggente sincerità.
«Vivo di musica dal 2006 e da allora non ho mai smesso di girare il mondo», ha dichiarato l’artista. «A un certo punto del 2012 iniziai a sentirmi davvero male, triste e con un’incredibile rabbia interiore. Stavo dimenticando il tempo e lo spazio, stavo creando nella mia mente una versione distopica e alienata del mondo. Quindi, piuttosto che perdermi nel cliché rock and roll di destino votato all’autodistruzione, provai un modo diverso per curarmi, facendo foto. Solo per ricordare, solo per mantenere in una forma visiva persone, luoghi, ricordi».
«Ero solo un bambino quando mi innamorai della prima macchina fotografica di mio padre – quell’ oggetto color argento era tutto. Volevo toccarla, usarla, distruggerla. Ma da ragazzino sballato quale ero, non mi era permesso neanche di avvicinarmi», racconta Rifo. «Ricordo che la trattava con amore e rispetto reverenziale – la prendeva dalla sua scatola per i nostri viaggi di famiglia e poi la riponeva una volta tornati a casa, dopo averla pulita con estrema cura. Le foto di quelle avventure arrivavano alcune settimane dopo, rigorosamente stampate in camera oscura. Quello fu sempre un momento speciale per riunire tutta la mia famiglia, una sorta di grande rivelazione».