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‘Del resto i costumi cambieranno molto’: la collettiva a Metronom, Modena
Mostre
di Silvia Conta
A Modena la galleria Metronom presenta opere di Annabel Elgar (1971, Londra), Niccolò Morgan Gandolfi (1983, Washington D.C.), Eeva Hannula (1983, Helsinki)in dialogo nella mostra “Del resto i costumi cambieranno molto”.
Il titolo della mostra, ha spiegato la galleria, «è un verso del poema Les Etats Généraux, che Andrè Breton scrive nel 1943, in un momento di profonda incertezza personale (in esilio volontario) e con la percezione di un mondo che versa in uno stato di crisi e decadenza morale. […]
In oscillazione tra possibilità e conoscenza “Del resto i costumi cambieranno molto” è un invito a muoversi affidandosi al piacere degli occhi e degli oggetti, che, da magici, cambiano di funzione. Scrive Robert Lebel, in risposta alle domande dell’Art Magique di Brèton, “uno specchio trovato casualmente a un’asta è bastato a innescare sul tema dello sdoppiamento prospettive che avevo cercato per altre vie. Le sconfitte più efficaci al nostro atroce buon senso si consumano in questi incontri fortuiti. È così che l’arte magica e la magia dell’arte si incontrano, per conferire a tutto ciò che esiste un carattere altamente facoltativo”».
Nell’intervista qui sotto Marcella Manni, fondatrice e Direttrice di Metronom, ci ha accompagnati alla scoperta del percorso espositivo.
Intervista a Marcella Manni, gallerista
Come è nato il progetto espositivo “Del resto i costumi cambieranno molto”?
«La dimensione virtuale è innegabilmente sempre più parte della nostra quotidianità, ma allo stesso tempo la nostra quotidianità resta comunque popolata di oggetti reali, tangibili. L’oggetto di uso quotidiano può, in una sorta di esercizio filosofico, portarci in una dimensione altra, in un’altra sfera percettiva. Oscillare tra possibilità e conoscenza sembra essere lo stato attuale della nostra percezione, “Del resto i costumi cambieranno molto”, si riferisce a questo ambito di oscillazione e di relazione, un invito ad affidarsi al “piacere degli occhi” per aprirci all’inatteso e all’inaspettato».
Che cosa accomuna le ricerche dei tre artisti invitati e come le loro opere entrano in dialogo in mostra?
«Tutti e tre gli artisti sono fotografi, ma per tutti e tre la fotografia è un medium espanso, che coinvolge altri mezzi (disegno, scultura, scrittura…) essenziali alla ricerca e alla produzione, strettamente connessi al processo. In questo allestimento, sia Niccolò Gandolfi che Annabel Elgar non presentano opere fotografiche. Flight Formation è un lavoro che avvia una serie, quella dei “reperti fotografici” di Gandolfi: sono bossoli di armi da caccia che Gandolfi ha raccolto nei boschi. Questi oggetti, resto e risultato allo stesso tempo, diventano parte di una griglia, di uno schieramento, montati e conficcati su lana pressata, lana che non è solo sfondo, ma parte integrante della composizione, bloccata in una cornice di metallo. La disposizione appesa, come un quadro o una fotografia appunto, restituisce gli oggetti alla pratica di ‘caccia’ di Gandolfi, una caccia che è raccolta e ricomposizione in studiato accostamento cromatico dei bossoli, quasi una veduta di paesaggio, metaforica e astratta.
Annabel Elgar è solita avere ambientazioni domestiche o di interni per le sue immagini, immagini che spesso realizza a partire da oggetti, trovati o costruiti, che compiono una sorta di passaggio di stato, da quello comune e precipuo a una diversa sfera. Sono ricerche che spesso richiedono mesi prima della realizzazione del set e quindi della fotografia. Coerentemente con questa pratica, durante il periodo forzatamente di stasi degli scorsi mesi, Elgar ha riprodotto questo processo di ricerca, immaginazione e creazione su una tela da ricamo: i Lockdown Cross Stich dichiarano la loro origine, senza venire meno alla pratica della creazione di oggetti e di protagonisti, con rimandi e citazioni, in una complessa e stratificata costruzione di scene che suggerisce azioni e situazioni, senza rivelare mai completamente. I piccoli ricami, che fanno riferimento a un rassicurante mondo domestico di oggetti e persone, mescolano finzione e narrazione in bilico tra atmosfere dark e ironia.
Eeva Hannula condivide con Elgar e Gandolfi questo approccio al fotografico, Structure of Uncertainty è una serie che costruisce le immagini come se fossero un poema, utilizzando mezzi e artifici per frammentarle e ricostruirle in piccole sequenze che mostrano differenti prospettive delle stesse cose all’interno dello stesso lavoro. Un dettaglio, messo in evidenza e centrale, ritorna come ripetizione e serialità da protagonista; il colore, sempre primario, giallo (o rosso) che riempie, esalta o ricopre. Griglia, forma e colore del lavoro di Hannula rimandano e raccolgono, come in una sintesi, le griglie costruite (Gandolfi) e griglie usate come sfondo della tela da ricamo (Elgar)».
Come è articolato, in estrema sintesi, il percorso espositivo?
«Lo spazio è una unica grande sala, la lettura del percorso è quindi nel dialogo tra le opere, tutte a parete, con l’eccezione di una tenda/velo che accoglie e racchiude una parte dei lavori di Elgar, un percorso piuttosto classico e simmetrico, che rispetta la simmetria più o meno rigorosa, dei lavori stessi».
Quali progetti, espositivi e non, ha la galleria Metronom per il prossimi mesi?
«Questa mostra sarà allestita fino a fine settembre di quest’anno, in contemporanea prosegue la programmazione del Digital Video Wall, il capitolo di questa prima parte dell’anno è la rassegna Digital Deviation, curata da Martina Cavalli, che vede ora in screening Auratic Sentiency (2021) il lavoro che Hannah Neckel ha realizzato appositamente per la circostanza.
Per l’autunno stiamo lavorando a un progetto con Tamiko Thiel e al calendario autunnale di STILL aLIVE il progetto espanso di ricerca e dibattito su temi centrali alla produzione e alla fruizione dell’arte contemporanea realizzato nell’ambito di Generazione Critica».