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Alessia Iannetti da Dorothy Circus Gallery: intervista all’artista
Arte contemporanea
La personale “Aurora Consurgens”, traducibile dal latino come “Alba Nascente”, visitabile da Dorothy Circus Gallery, a Roma, è l’occasione per noi di intervistare Alessia Iannetti, una delle protagoniste più misteriose e riservate della figurazione italiana contemporanea.
Come definiresti Alessia Iannetti?
«Un’artista post-preraffaellita, un’illustratrice e un’allevatrice di falene che colleziona piante, ossa di animali, piume e insetti morti mentre esplora i boschi con un cane nero di nome Ombra».
Dove sei nato e dove vivi?
«Sono nata a Carrara, una piccola città in Toscana e vivo ancora qui».
Quando e come è nato il tuo interesse per l’arte?
«Il mio interesse per l’arte è nato attraverso il disegno. Mi sono avvicinata a questo tipo di espressione in modo istintivo all’età di due anni, incoraggiata in questo desiderio dalla mia famiglia che si interessava di arte. Ho passato l’intera infanzia a immaginare storie che riproducevo attraverso i miei disegni. In questo modo potevo passare intere giornate immersa nel mio mondo senza essere toccata dalla realtà che mi circondava. La capacità di disegnare l’ho ereditata da mio padre che, a sua volta, disegnava per me trasmettendomi la passione per l’arte e la fascinazione per il mistero che non mi ha più abbandonata.
Ricordo ancora le favole inquietanti che mi raccontava quando ero bambina e credo che abbiano costituito per me una sorta di “battesimo”. Crescendo ho ricercato quel “lato oscuro” nella letteratura, nel cinema, nella musica, nell’arte, e più tardi, nella psicoanalisi. Tutte gli influssi che ho assorbito da questi mondi si sono mischiati con i fatti della mia storia personale generando i simbolismi che popolano le mie opere».
Qual è stato l’incontro più significativo per la tua formazione?
«Sicuramente l’incontro con Omar Galliani durante gli anni dell’accademia. I suoi insegnamenti mi hanno consentito di seguire liberamente la mia naturale vocazione per il disegno e per la narrazione. Guardandolo lavorare, ho scoperto l’utilizzo del legno come supporto per disegnare, un materiale rigido rispetto alla carta, vivo e interessante dal punto di vista materico. E da lui ho appreso la tecnica della grafite su tavola che è affascinante nel suo svolgimento perché può essere così impalpabile e delicata o molto fitta, polverosa e dolorosa».
C’è stato un accadimento o un incontro così inteso da farti cambiare il modo di vedere le cose?
«La morte di mio padre è stato uno degli accadimenti più forti nella mia vita. Ce ne sono stati altri particolarmente significativi, ma ogni evento o incontro in sé è in grado di far scaturire nuove visioni. Almeno a me capita così, forse perché ho molta immaginazione».
Qual è la tua giornata tipo?
«Solitamente disegno tutto il giorno e, quando faccio un pausa, scappo in mezzo alla natura con il mio cane».
Hai dei riti particolari quando lavori?
«Quando lavoro ascolto sempre qualcosa che mi consenta di isolarmi totalmente dalla realtà esterna e che mi proietti all’interno dello stato d’animo giusto per creare. Ascolto musica, film che ho già visto o audiolibri. Aspetto di entrare in una sorta di stato di trance che mi permetta di entrare dentro all’opera e di riuscire a vedere piccolissimi mondi racchiusi all’interno di un piccolo segno, della velatura di un colore, della venatura di un legno o della texture di un tipo di carta. In questo particolare momento di dissociazione, mi piace immaginare che si apra il mio terzo occhio e così inizia la magia».
Ci descrivi la tua tecnica artistica? In buona sostanza, come nasce un tuo lavoro come quelli esposti da Dorothy Circus Gallery?
«Le idee nascono nella mia mente come vere e proprie visioni che abbozzo sulla carta in modo molto stilizzato. Quando trovo un soggetto adatto a rappresentare i personaggi e le scene che ho immaginato, lo inserisco all’interno di un ambiente e realizzo molti scatti, per poi scegliere alla fine quelli che si avvicinano di più alla mia visione iniziale. I miei lavori nascono dalla riproduzione di questi soggetti reali attraverso il disegno che si stravolge piano piano per mezzo dell’introduzione di elementi fantastici all’interno della composizione. Ogni lavoro è realizzato in grafite, acquerello, matite e chine su legno o su carta. Inizio sempre con la grafite e, dopo aver terminato il chiaroscuro, applico il colore su alcuni dettagli o simboli che voglio evidenziare. Questi elementi rappresentano il potenziale illuminato che emerge dalle illusioni della realtà».
Quali sono i temi ricorrenti che affronti nei tuoi lavori?
«Il mondo dell’inconscio, il legame tra uomo e natura, la nascita, la trasformazione, la perdita e la morte».
Tu lavori per serie. Quale serie esponi oggi a Roma e in quale modo questa rappresenta una prospettiva di sviluppo e di continuità rispetto a Daphne Descends, la serie che hai presentato alla Dorothy Circus Gallery nel 2013?
«In occasione di “Aurora Consurgens” presento dieci opere realizzate in grafite e acquerello su tavola che si propongono all’osservatore come una sorta di viaggio iniziatico e catartico che lo condurrà alla luce, passando però prima attraverso l’oscurità. “Aurora Consurgens” deriva dal latino e si traduce come “Alba nascente”. Questo titolo è solitamente associato ai saggi alchemici, come il manoscritto di Tommaso d’Aquino che narra della pietra filosofale, ma si riferisce anche agli insegnamenti mistici nelle scuole antiche, dove gli studenti imparavano a sviluppare la reminiscenza della propria coscienza notturna, una volta giunta l’alba. Il tema della mia mostra è racchiuso nel suo titolo e riguarda il passaggio spirituale dal Buio alla Luce. Un’eterna metamorfosi che inizia con le origini della natura per poi andare oltre la realtà fenomenologica e raggiungere gli angoli più remoti dell’inconscio. Qui la percezione del tempo e dello spazio è perduta e il viaggio onirico ha inizio.
Le opere di “Aurora Consurgens” richiamano chiaramente la stessa atmosfera mistica delle mie precedenti composizioni. Boschi selvaggi e brulicanti di simboli nascosti sono ancora la materializzazione del mio mondo interiore e la figura femminile è sempre protagonista al centro delle opere come archetipo della Grande Madre universale. Il tema della trasformazione è di nuovo essenziale, e la serie precedente “Daphne Descends” è un esempio di come la trasmutazione rappresenti l’unica via di fuga verso la libertà per le anime innocenti. In “Aurora Consurgens, ancora una volta affronto quindi un passaggio. Ma qualcosa è cambiato. La metamorfosi in questione è più complessa, è un’esplosione di energia spirituale che necessita di esprimersi. La quiete sospesa ora cede il posto a un vortice di movimenti. La luce vuole rivelare il suo potere e improvvisamente sveglia i boschi addormentati da secoli. La natura vuole urlare i suoi segreti che non sono più sussurri. Le ali scintillanti trasportano un messaggio carico di consapevolezza, le fanciulle che lo riceveranno hanno ormai gli occhi spalancati e attenti per penetrare la realtà offuscata dalle illusioni del mondo e per raggiungere uno stato di piena coscienza».
Possiamo dire che la “trasformazione” è il tema centrale della tua ricerca. Quanto bisogno di trasformazione ritieni ci sia nella società contemporanea? E di quale tipo di trasformazione si dovrebbe trattare?
«Il bisogno di trasformazione è estremo e credo che questa trasformazione dovrebbe avvenire nei termini di una presa di coscienza dei nostri moti psichici. La società contemporanea invece vive in un’epoca in bilico tra spettacolo e informazione, in cui i significati si disperdono ulteriormente nella molteplicità. Qui l’essere umano è impotente e sperduto, danneggiato dai media e da se stesso. L’uomo viene gettato nel mondo senza conoscere praticamente nulla della sua interiorità e, per la maggior parte delle persone, questa condizione si protrae per tutta la vita. Attraverso il mio lavoro cerco di indagare questi aspetti e alcuni temi fondamentali nel tentativo di portare chiarezza: l’immersione nell’inconscio e l’incontro con l’ombra, ovvero con quelle parti di noi che possono essere conosciute solo attraverso l’altro e l’incontro con l’Anima-Animus da cui emergono le caratteristiche del sesso opposto. Dall’incontro con queste parti emergeranno emozioni che devono essere interpretate e integrate per far sì che non vengano più proiettate all’esterno. In questo modo dal buio sorgerà la luce. Per spiegarlo meglio cito le parole di Elisa Bruci, la psicoterapeuta junghiana che si è occupata del testo critico della mia mostra: “Integrare l’ombra significa accettare quelle parti di noi che viviamo come fastidiose e lavorare su di esse al fine di trasformarle. Così le emozioni legate a esse non saranno più degli impedimenti, ma diventeranno forze liberate che potranno essere investite nel mondo con gli altri”».
Che cos’è per te oggi veramente contemporaneo?
«Contemporaneo è tutto ciò che riflette lo spirito del tempo e, nel nostro tempo, si registra l’assenza di una proiezione verso il futuro, piuttosto l’intrecciarsi di passato e futuro nel presente. Al giorno d’oggi non esiste più tra i vari generi artistici un tentativo di prevaricare gli uni sugli altri. Davanti a uno scenario così vasto di sperimentazioni ogni genere diviene legittimo. Non esiste più antagonismo tra figurazione e astrazione perché spesso questi generi si fondono sfociando l’uno nell’altro. Credere il contrario è anacronistico. Ho notato infatti che anche in buona parte della pittura contemporanea ufficiale vi è una tendenza a riabbracciare simbolismo e narrazione».
Con quale artista del presente o del passato vorresti fare un duetto artistico? Un progetto a quattro mani?
«I primi due artisti che mi vengono in mente sono Pat Perry nel presente e Francesca Woodman nel passato. Con Pat Perry sogno di realizzare un murales gigante in qualche luogo sperduto. Mentre avrei voluto fotografare Francesca Woodman per poi disegnarla all’interno di un paesaggio naturale. Il mio lavoro deve molto alla sua arte».