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‘Final Critics’ e il biennio di Arti Visive Contemporanee all’Accademia SantaGiulia
Formazione
di redazione
Avere un’urgenza emotiva da comunicare e farlo attraverso l’arte. Studiare, imparare la tecnica, confrontarsi con colleghi e docenti. Provare, sbagliare. Il percorso formativo di un’Accademia di Belle Arti prepara le mani, allena le menti e sorregge i sogni di quelli che potrebbero diventare gli artisti del futuro. L’impatto più grande, però, è sempre quello con il mondo esterno legato alla professione: dove devo andare? Cosa devo fare? Come faccio a farmi conoscere? Come faccio a entrare in un mondo che sembra riservato solo a pochi eletti?
Non è facile, ma è possibile. Per questo diventa fondamentale fare esperienza e per questo l’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Bresciapropone il biennio di Arti Visive Contemporanee. Nei due anni specialistici gli studenti approfondiranno alcuni aspetti teorici e culturali, ma soprattutto saranno protagonisti di vere e proprie “sperimentazioni del dopo”. Musei, gallerie, premi e fondazioni d’arte, ma anche incontri con figure professionali del settore: curatori, critici d’arte, organizzatori d’eventi.
L’esempio più concreto, che segue perfettamente questa linea con l’obiettivo di professionalizzare gli iscritti al biennio già al termine del primo anno di formazione, è il Final Critics. Un progetto didattico che supera le mura dell’Accademia e offre un’opportunità importante ai giovani artisti. Nell’ultima edizione i ragazzi del primo anno del biennio hanno esposto alcune delle loro opere più rappresentative nel museo Collezione Paolo VI – Arte contemporanea di Concesio, in provincia di Brescia, alla presenza della curatrice e critica d’arte Maria Chiara Cardini, del collezionista Andrea Boghi e del gallerista di A+B gallery Dario Bonetta.
Aristotele diceva “C’è un solo modo per evitare le critiche, non fare nulla, non dire nulla e non essere nulla” e aveva ragione.
«L’Accademia serve a questo, è una palestra per sperimentare con grande libertà. Poi quando si entra nel mondo del lavoro bisogna trovare dei compromessi – dice Maria Chiara Cardini -. Non significa svendersi, ma avere un rapporto positivo con i committenti che esistono da sempre ed è anche grazie a loro se sono nati dei capolavori. Assecondare la richiesta di un committente non deve essere castrante, anzi. In questo ambito si può trovare il proprio spazio, come? Lavorando molto in termini non di tempo, ma di qualità. Non cercando scorciatoie ma utilizzando la figura del critico come interlocutore che ti può far crescere. Consigli? Ho detto ai ragazzi di frequentare spesso le inaugurazioni delle mostre: farsi vedere è fondamentale. I galleristi apprezzano molto quando giovani artisti partecipano alle presentazioni di un loro progetto. Lo snobismo non serve a niente. Confrontarsi con i colleghi, muoversi, visitare le residenze d’artista e accettare le critiche. Confrontarsi con la critica è fondamentale. Sia che arrivino commenti negativi o positivi, un punto di vista esterno, di un professionista autorevole, può aiutare molto».
L’importanza di confrontarsi, ma anche di accettare senza arroganza la figura del committente che potrebbe essere un gallerista o anche un collezionista.
«Final Critics è organizzato molto bene – racconta Andrea Borghi -, una vera e propria mostra collettiva con il plus del confronto con professionisti di settore. La cosa più bella è che non ho visto imitazione. Invece ho trovato originalità nei lavori proposti e questo mi è piaciuto molto. Caratteristica fondamentale dell’artista è l’umiltà. Spesso incontro giovani artisti che si prendono troppo sul serio e con arroganza pensano di essere già arrivati. L’ansia della remunerazione è una cattiva consigliera. La vita dell’artista è una crescita continua e guadagnare è fatica, come in tutti i lavori. Non si può pretendere di sentirsi artisti completi a vent’anni. E questa cosa deve essere lineare anche con i prezzi. Non possono vendere le loro opere a determinate cifre perché anche quello è un elemento direttamente proporzionale alla crescita artistica. L’umiltà paga sempre. Capire che il ritorno economico non è un ritorno d’immagine, è molto importante: magari qualcuno che paga sovrastimando il loro lavoro ci sarà, ma poi la loro carriera finirà lì. Quando c’è la qualità, l’artista non ha bisogno di troppe parole. Per incontrarsi? Instagram sta diventando uno strumento importante sia per i galleristi sia per i collezionisti, ma io preferisco ancora il passaparola, l’incontro di persona magari a una mostra collettiva o a un’inaugurazione o anche un’occasione come Final Critics credo sia importante per conoscersi. Il gallerista rimane la figura di riferimento per l’artista, soprattutto in Italia. Rispetto alle gallerie americane, infatti, quelle italiane quando scelgono un artista lo seguono e lo supportano nel suo cammino. Sono loro che poi lo propongono ai collezionisti conoscendo i loro gusti. Sono i galleristi a investire sull’artista».
E così a chiudere il cerchio, ma in realtà anche ad aprirlo, è Dario Bonetta della A+B Gallery: «Il metodo di lavoro applicato nel Final Critics è corretto perché fa emergere il vero argomento di indagine del singolo artista. Legare formalizzazione e autenticità è importante e i ragazzi lo hanno fatto molto bene. Ho visto maturità nella loro urgenza artistica, qualcuno la sta ancora cercando, ma è tutto nella normalità. Autenticità e mercato sono in rapporto conflittuale solo quando uno dei due diventa prevalente. L’equilibrio è fondamentale. Le logiche del profitto assoluto non funzionano, come però non ci si può aggrappare solo al concetto romantico. Ho detto ai ragazzi di non aver paura delle proprie emozioni, dei propri sentimenti. Di indagare le loro emozioni. Il consiglio? la cosa fondamentale è che devono essere consapevoli del mercato in cui si vanno a inserire. Devono sapere cosa succede a Brescia, ma anche cosa succede a Tokyo. Devono saper trovare posto in un mondo globalizzato, essere consapevoli del posizionamento della loro ricerca».