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Gli altri anni venti
Arte contemporanea
Gli anni Venti del Novecento raccontati dalla storia dell’arte dimostrano tensioni contraddittore nell’ampio tema del “ritorno all’ordine” in opposizione allo sperimentalismo delle avanguardie storiche dei primi decenni del secolo. Gli anni tra le due guerre sono cupi e controversi, in cui la realtà diventa il punto di partenza di una trasfigurazione mediata dall’immaginazione e dalla meraviglia del quotidiano da indagare per la sua complessità e impossibilità di ricondurli a un’unica modo di rappresentarla. Con i Valori Plastici, la Metafisica, Il Gruppo Novecento, il Surrealismo e la Nuova Oggettività tedesca, il Realismo Magico è uno stile italiano di gusto europeo in bilico tra realtà e il mistero della sua percezione; una pittura concettuale che ingloba arcaismi con la volontà di oltrepassare il dato fenomenico con il fine di mostrare una realtà nascosta dietro l’apparenza sensibile. E tra il vedere e il sentire c’è il guardare sotto un’altra luce, fredda, analitica e distaccata la realtà degli artisti all’opposizione del classicismo sarfattiano, che includono nel loro modus operandi “ un processo di scoperta che non andava dall’oggetto allo spirito, ma da questo agli oggetti”, scrive Franz Roth, il critico d’arte tedesco che coniò nel 1925 il termine Magischer Realismus, quando nacque da un ossimoro il Realismo Magico, uno stile italiano che si diffuse in tutta Europa tra il 1920 e il 1935.
A Milano, Palazzo Reale diventa il “teatro” pirandelliano dell’importante mostra “Realismo Magico uno stile italiano” a cura di Gabriella Belli e Valerio Terraroli, promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e 24 ORE Cultura- Gruppo 24 Ore comprensiva di oltre ottanta dipinti volti a cogliere il segreto delle cose di autori italiani messi a confronto con pittori tedeschi, con l’allestimento magistrale di Mario Bellini e Raffaele Cipolletta e il progetto di illuminazione dello studio Quintiliani Murano.(fino al 27 febbraio 2022)
A distanza di oltre trent’anni dall’ultima grande mostra milanese sul Realismo Magico a cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco ala Galleria dello Scudo (1988) e a Palazzo Reale (1989) torna sull’analisi di una corrente artistica sempre contemporanea, in particolare in fotografia, si pensi tra gli altri a Palo Ventura.
Nel 1928, lo scrittore giornalista e drammaturgo Massimo Bontempelli scrive “Precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo; e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”, e sintetizza in poche righe la ricerca di questo modo straniante e allusivo, ermetico di rappresentare la realtà.
Il Realismo Magico dopo un lungo periodo di damnatio memoriae è stato riscoperto da Emilio Bertonati (1934-1981), straordinario gallerista e critico d’arte, fondatore nel 1962 della galleria Levante di Milano, appassionato di Gustav Klimt e degli espressionisti tedeschi a cui è dedicata questa mostra di una collezione privata di capolavori del Realismo Magico, presentata per la prima volta al pubblico milanese integralmente insieme ad altre opere provenienti da importanti collezioni e Musei.
È originale il percorso cronologico-filologico proposto dai curatori di una corrente allusiva, illusiva incentrata sulla rappresentazione di atmosfere metafisiche- realistiche, in cui la magia diventa naturale e surreale insieme in relazione con la cultura artistica tedesca, per giungere all’essenza dell’incertezza e inquietudine che permea degli anni Venti e primi anni Trenta.
La realtà mediata dall’immaginazione rispecchia la magia di vivere come lo si scopre visitando l’esposizione milanese. Tra i capolavori indimenticabili in mostra primeggiano Le figlie di Loth (1919) di Carlo Carrà, opera preludio del Realismo Magico nella prima sezione espositiva nominata “Profezia di uno Stile”, insieme a l’enigmatica Silvana Cenni (1922) di Felice Casorati, così come Autoritratto con la moglie (1920) di Ubaldo Oppi. Su tutti domina l’inquietante Autoritratto (1920) di Giorgio de Chirico. Da questa sala in poi il silenzio, la cristallina fermezza dell’immagine, l’immobilità dei personaggi tipo “fermo immagine” in cui la composizione, l’architettura di piani e volumi per mezzo di un colore tonale, non realistico è più interessante del soggetto in sé; l’immaginazione, la fantasia ma non il favolismo sono il soggetto principale della mostra.
Nella sezione “Il Tempo sospeso”, la tendenza realistico-magica comprende affinità compositive con la Nuova Oggettività tedesca e dimostra la sua attitudine mitteleuropea, esplicita nel Chirurgo e nel Cieco e altre figure (presentato alla Biennale del 1924) di Ubaldo Oppi. Non si dimentica L’imprenditore (1920-21)di Heinrich Maria Davringhausen, messo a confronto con Umberto Notari nello studio di piazza Cavour a Milano (1921) di Achille Funi in cui sono evidenti le affinità compositive tra i due ritratti. Nella sezione “Il Paesaggio come Sogno” spicca Pino sul mare (1921) di Carlo Carrà, nel quale l’artista mostra la propria” terza via”, tra Cubismo di Braque e Picasso e la Metafisica di de Chirico.
Nella sua rivisitazione onirica della purezza formale di Giotto, Carrà rivisita il genere del paesaggio, seppure poco indagato dai pittori realistico-magici, diventa un presupposto compositivo e formale per una rigorosa geometrizzazione dello spazio. Sorprende Ottobrata (1924) di Giorgio de Chirico, opera quasi barocca, anticlassicista, attraversata di un minuscolo Mercurio in volo. Attraggono per stani bagliori di luce i paesaggi notturni di Franz Radziwill, davvero inquietanti. La mostra culmina della sezione “L’Oscurità dell’Eros”, con Dopo l’Orgia (1928) di Cagnaccio di San Pietro, all’anagrafe Natalino, antifascista, futuro partigiano, opera di grandi dimensioni (140×180) considerata tra i manifesti dei pittori del Realismo Magico, che mescola verità e sogno, erotismo e morte, perversione e voyerismo, rifiutata dalla giuria di accettazione della XVI Biennale di Venezia presieduta da Margherita Sarfatti (critica d’arte e promotrice del Gruppo Novecento italiano, strumento di propaganda del ventennio) per la scena cruda che smaschera la corruzione morale dei dirigenti fascisti (si noti il fascio littorio nel gemello del polsino riverso sul tappeto). Donne non madri, mogli fedeli e lavoratrici come inneggia il fascismo, bensì corpi- oggetto del piacere maschile, bottiglie, coppe e bottiglie vuote di champagne, carte da gioco, bombetta e guanti di un perfetto “gentil’uomo” assumono molteplici valori simbolici e di critica al regime; questa non è una fuga dal quotidiano, ma un’opera insieme ad altre dello stesso autore che smaschera ipocrisie e crisi identitarie sui drammi esistenziali di un’epoca drammatica.
Il Realismo Magico mostra implacabilmente il rovescio della medaglia, l’ipocrisia del moralismo del regime con allusioni velate ma fredde, taglienti come lame di un coltello, diversificandosi dal gruppo della Sarfatti all’insegna del recupero classicista, passando da Giotto a Masaccio, al Rinascimento. I realisti magici sono contro le iconografie retoriche del fascismo e attingono dalla sagacia e crudezza tedesca, dagli espressionisti che scavano nel profondo dell’intimità e mostrano il “male di vivere” nel vuoto delle apparenze. Impressionano i ritratti di bambini -adulti paffuti, quasi autistici dai volti deformi e immobili nella sezione La stanza dei giochi, dove il genere della Natività, cara al regime, si cristallizza in un mondo di un’infanzia raggelata in un fermo immagine inquietante. Altro genere ricorrente nella storia dell’arte, è la maschera , trattata nella sezione L’ultimo Carnevale, dove il circo e le figure della Commedia dell’Arte, come le Nature morte sono personaggi in cerca d’autore raggelati in una dimensione ambigua e misteriosa. Chiude il percorso espositivo una riflessione sulla figura femminile e i lavoratori l’ultima sezione “Fermo Immagine: l’ambiguità del reale”, dove tra gli altri ritratti femminili di Cagnaccio di San Pietro, Antonio Donghi, Ferruccio Ferrazzi, Mario Broglio, si distingue Ritratto su tarsia (1938) di Edita Broglio, in cui la maniacale precisione dei dettagli, la gelida fissità dei volo statuario, la nitidezza formale è un inno all’incomunicabilità nell’immobilismo del presente.
La mostra è unica perché gioca sul parallelismo storico-crItico tra il Realismo Magico italiano e la Nuova Oggettività tedesca, capitanata da Otto Dix, George Groz e Christian Schad, indimenticabile per il sua lucidità critica, sarcasmo noir espresso nei ritratti di personaggi imbrigliati nella dittatura nazista.
Il Realismo Magico abbacinante nelle sue superfici smaltate mostra scene dell’ordinario mistero quotidiano, di sguardi distaccati della realtà, dove la mimesis non include necessariamente un approccio mimetico della realtà, ma nel dipingerla, gli artisti ne costruiscono una totalmente artificiale, verosimile, allusiva.