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Il Rituale del serpente. Animali, simboli e trasformazioni – Convento di San Francesco
Arte contemporanea
Sabato 11 settembre 2021, presso gli spazi del Convento di San Francesco di Bagnacavallo, è stata inaugurata la mostra “Il Rituale del serpente. Animali, simboli e trasformazioni”, a cura di Viola Emaldi e Valentina Rossi.
L’esposizione collettiva, promossa dal Comune di Bagnacavallo in occasione della Festa di San Michele, patrono della città, e organizzata dal collettivo Magma, presenta opere di Mark Dion, Bekhbaatar Enkhtur, Valentina Furian, Claudia Losi, Marco Mazzoni, Marta Pierobon, Luigi Presicce, Lorenzo Scotto di Luzio, Dana Sherwood, Filippo Tappi, Davide Rivalta e Emilio Vavarella.
Ho incontrato Valentina Rossi, curatrice della mostra con Viola Emaldi.
Mi spiegheresti il significato del titolo della mostra? La citazione di Warburg evoca immediatamente legami ancestrali con il terrore nei confronti dell’animale e la simbologia legata alla sua raffigurazione.
Il Rituale del serpente. Animali, simboli e trasformazioni prende il nome dall’omonimo libro di Aby Warburg. Il libro è stato pubblicato nel 1923 quando lo studioso tiene una conferenza nella casa di cura di Kreuzlingen. Warburg, in questa digressione, evoca il terrore primitivo del serpente; l’autore sostiene che il serpente sia l’animale che, più di ogni altro, ha una carica fobica nei confronti di tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo. Questo stesso impulso ci suggerisce di non distinguere l’uomo da una specie differente. Anche Lea Vergine nel catalogo della mostra “Il bello e le bestie. Metamorfosi, artifici e ibridi dal mito all’immaginario scientifico” al Mart di Rovereto nel 2004 riflette sulle parole di Warburg, citandolo, e chiedendosi: “perché l’uomo dovrebbe collocarsi al di sopra degli altri animali? Gli uomini sono soltanto capaci di fare qualcosa, mentre l’animale è capace di esprimere ciò che è in modo totale”. Queste riflessioni hanno portato ad un necessario confronto tra mito legato all’iconografia della rappresentazione animale econtemporaneità, passando attraverso lo spostamento tra antropocene, capitalocene e chtulucene.
Per quale ragione la ricerca comincia proprio dall’incisione di Duhrer raffigurante il San Girolamo?
Il Comune di Bagnacavallo e il Collettivo Magma sono i promotori di questo progetto; ci hanno chiesto di riflettere in merito al contesto e al patrimonio della città ed è nata spontaneamente l’idea di partire da un’incisione, in quanto Bagnacavallo la annovera come principale pratica artistica. Tra tutte le incisioni conservate presso il Museo Civico delle Cappuccine quella che ha attratto maggiormente la nostra attenzione [Valentina Rossi con Viola Emaldi n.d.r] è l’incisione San Gerolamo nello studio di Albrecht Dürer, datata 1514, che raffigura il Santo insieme al leone che aveva portato con sé di ritorno dall’eremitaggio nel deserto, dopo averlo ammansito togliendogli una spina dalla zampa. In questa rappresentazione è centrale il rapporto tra uomo e animale, una antica dicotomia che oggi si fa sempre più rarefatta. Io e Viola avevamo delle riflessioni pregresse inerenti a queste tematiche, in modo particolare un’indagine su come le antiche simbologie, quelle che erano care principalmente all’arte medievale, sopravvissute fino a noi, potessero essere interpretate dall’artista e di come l’animale potesse essere rappresentato all’interno delle opere di un artista contemporaneo.
Come è avvenuta la scelta della location?
La città di Bagnacavallo ha deciso di iniziare un percorso che permetta una valutazione maggiore del contemporaneo, per questa ragione ha investito in collaborazioni di tipo musicale con il collettivo Magma. L’anno scorso il comune di Bagnacavallo ha promosso una mostra dal titolo Non Giudicare curata da Viola Emaldi, mentre quest’anno sono stata invitata anche io per la realizzazione di un progetto che ci ha permesso di attingere alle collezioni comunali, coniugando spiritualità e simbologia del mondo animale.
Come è avvenuta la selezione degli artisti?
La caratteristica dell’esposizione è quella di non essere una mostra di stampo storico, quindi con opere celebri degli scorsi secoli di artisti come Dante Gabriel Rossetti, Max Ernest e Pablo Picasso, come molte delle mostre che trattano tali tematiche. La caratteristica principale di questa esposizione è l’aver invitato solo artisti delle ultime generazioni per interrogarsi sullo stato attuale del tema; questa peculiarità rende il progetto sempre più aderente al contemporaneo e vuole in un certo senso sottolineare ed analizzare lo stato di emergenza in cui ci troviamo, in un contesto che Donna Haraway definisce Chtulucene. Gli artisti invitati, hanno prodotto proprio per l’occasione o comunque nell’arco degli ultimi dieci anni le opere in mostra, indagando il rapporto tra mondo umano e mondo naturale. Gli artisti si sono interrogati sulle forme di ibridazione, che non devono essere intese nella classificazione di corpi mutanti, di quel post-human di cui si parlava negli anni Novanta, ma in quanto relazione che viene riletta alla luce di una nuova attenzione alla sfera naturale, che tocca l’ecologia e le varie tematiche sul mondo animale. Gli artisti selezionati hanno manifestato, nel corso degli anni e nella produzione dei lavori, una relazione con il mondo animale. Da Claudia Losi che porta avanti da più di quindici anni il progetto Balena Project, a due artisti internazionali: Mark Dion e Dana Sherwood che hanno da sempre lavorato in questo ambito. Marta Pierobon e Luigi Presicce ricercano forme ibride astratte, che tendano all’antiforma. Luigi Presicce negli ultimi anni, ha ripreso il pittorico e ha iniziato una produzione di quadri dai toni fluo, che producono un’ibridazione tra mondo animale e mondo umano in un continuo rimescolamento delle forme culturali e naturali. In mostra sono anche presenti l’opera site-specific di Bekhbaatar Enkhtur e le opere di Filippo Tappi, entrambi precedentemente partecipanti del progetto Nuovo Forno del Pane del Mambo. Presente anche l’opera di Lorenzo Scotto di Luzio, Ritratto in forma di cane, nel quale l’artista riprende il dipinto Il cervo ferito di Frida Kahlo del 1946 e si autorappresenta come un cane con le sue sembianze naturali. Il percorso espositivo intende evidenziare come la ricerca contemporanea abbia continuato a portare avanti, ovviamente con gli opportuni indici di differenziazione, un’arte che spesso esprime, seppur in modo evocativo, questa connessione tra specie.
Si lavora alla pubblicazione di un catalogo che verrà presentato a Bagnacavallo il 4 dicembre 2021 e che vedrà il testo delle curatrici, un contributo del professor Fabrizio Lollini dell’Università di Bologna e un nucleo di interviste agli artisti; il libro verrà pubblicato da Danilo Montanari Editore. La struttura del volume permetterà di approfondire la visione del singolo artista, sarà infatti un libro con una serie di interviste mirate ai protagonisti della mostra, escamotage che permetterà di lasciare la parola all’artista.