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Dalla parte del drago #20: Profilo di donna
Arte antica
“La protagonista femminile dell’azione, nella prima parte, è una donna di quarantotto anni, germanica: alta m 1,71, pesa 68,8 kg (in abito da casa), perciò ha soli 300-400 grammi meno del peso ideale. Ha occhi cangianti tra il blu cupo e il nero, capelli biondi molto folti e lievemente imbiancati, che le pendono giù sciolti, aderendole al capo, lisci, come un elmetto”. Così era descritta, ad inizio libro, la Leni Pfeiffer di quella Foto di gruppo con Signora che pubblicò Heinrich Böll prima di vincere il premio Nobel. E sempre di base tedesca, ma senza età, è anche l’immagine di una signora appartenente a uno dei gruppi più interessanti che la storia dell’arte ricordi, cioè quel Profilo di Fanciulla impresso a tempera su legno dalla mano di Antonio o Piero del Pollaiolo, anche se il Longhi, il Van Marle e il Bode l’avevano addirittura attribuita a Domenico Veneziano.
E il suo gruppo è composto dalle altre dame, eseguite probabilmente dagli stessi fratelli (restando vaghi, che di quale sia non si è mai davvero certi). Una di esse è esposta alla Galleria degli Uffizi di Firenze, una è al Metropolitan Museum di New York e l’altra al Poldi Pezzoli di Milano. Di fatto tutte e quattro son di profilo e tutte paiono donne meravigliosamente ideali. Anche se si può tranquillamente sostenere che l’algida e incupita berlinese sia, con la sorella milanese, la meglio riuscita.
Quella del Poldi Pezzoli ha un’elaborata acconciatura – d’altronde la moda è di casa in zona – che si staglia contro un cielo magico e lieve e, con l’elegante posa del suo profilo aguzzo, sembra più bella delle altre e sicuramente di quelle fiorentina e statunitense. Mi sarebbe piaciuto vederne una parigina e chissà che a un tratto non compaia. Anche se una bella donna andrebbe vista di fronte, il profilo delle Signore, che prende forse spunto dalle effigi sulle medaglie, è una vista proprio affascinante. Come ad esempio quella arcinota della Battista Sforza di Piero della Francesca, che da secoli guarda intenta il marito Federico, così ferma, frigida e fredda, che pare proprio essere morta. Con il paesaggio del Montefeltro che le arriva al collo contornato da un tripudio di perle azzurre che riprendono il colore delle cime all’orizzonte, o con la forme tonde che dialogano con le chiome degli alberi sparsi nei paesaggi lontani. E anche qui, come per le dame, si ha l’acconciatura a chignon con capelli trattenuti alla francese, prima e dopo che i capelli tornino ad esser sciolti e le grandi trecce vengano liberate, come era accaduto per la dama di profilo di Alesso Baldovinetti. Proprio lui che per Vasari meritava infinita lode per l’amore che portò all’arte e per come amorevolmente contraffece le cose della natura. Tra le cose contraffate questa dama meravigliosa oggi scruta la situazione alla Tate Modern, scagliata contro un cielo omogeneo blu più che azzurro, con i capelli paglierini ondulati che riprendono la curva leggera che a metà naso la dama si ritrova. E che lusso quella tripla foglia di palma sulla manica della veste, che parrebbe essere lo stemma della famiglia a cui la fanciulla appartenne e che mostra con grande orgoglio, con la fronte alta e il mento tondo. Con le perle che circondano il collo e che fanno il verso all’orlo del vestito appena sotto e ai tondi della manica d’oro gonfia, che sembrano neve per la vegetazione sottostante. Ma poi, quali altre?
La Madame X di John Singer Sargent, che altre non è che la giovane americana Virginie Amélie Avegno, che oltre al profilo ci mostra il suo bellissimo corpo longilineo. Con la scollatura generosa del lungo vestito scuro che mette ancora più a nudo la pelle chiara della signora che guarda fuori dalla scena, ben acconciata, sicura, e sexy da far paura. Così diversa dalla sensazione pensierosa che nello stesso museo provoca la Madame Cavé di Ingres, che ha l’occhio abbassato e l’ombra incerta del profilo proiettata sul muro.
E diversi sono anche i contorni della Donna che legge una lettera davanti alla finestra di Vermeer, che sta a Dresda con il volto assorto, riflesso anche nel vetro. Le gote rose, un naso giusto, i capelli raccolti, anche se alcuni ricci le scendono davanti. Che ha a sua volta un’altra storia rispetto alla Jeanne Fontaine di Henri de Toulouse-Lautrec, o alla Testa di quella donna di profilo che rifletteva luce, dipinta da Renoir e conservata oggi al Musée d’Orsay, o – ancora – alla fotografia di Coco Chanel che fuma, ritratta da Man Ray, nel 1930. E adesso capisco perché Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, rintracciava le origini dell’arte pittorica nella sagoma proiettata sul muro da una lanterna nascosta che Butade aveva deciso di ricalcare per serbare il ricordo dell’amato in partenza.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago