11 novembre 2021

Alla Triennale la fotografia errante: Raymond Depardon e Saul Steinberg

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Alla Triennale di Milano i viaggi e il senso della realtà di Raymond Depardon nella sua prima personale italiana, insieme agli scatti intramontabili di Saul Steinberg

Raymond Depardon, Glasgow, Scotland, 1980, © Raymond Depardon / Magnum photos

Raymond Depardon (classe 1942) è uno dei più significativi fotografi e registi francesi di livello internazionale. La Triennale di Milano, in partnership con la Fondation Cartier pour l’art contemporain di Parigi, con cui l’artista collabora da 30 anni, gli dedica la grande retrospettiva dal titolo “La vita moderna”, che riunisce 300 foto, due film e tutte le oltre sessanta pubblicazioni monografiche dell’artista, lungo un arco di tempo dagli anni Settanta a oggi. Depardon, già reporter dell’agenzia Dalmas, fondatore nel 1966 dell’agenzia Gamma con Gilles Caron e dal 1978 membro della prestigiosa Magnum, è considerato un innovatore del mondo dell’immagine contemporanea. Un fotografo-regista “che percorre il pianeta, attraversa le città, ascolta le campagne, dà loro la parola e pone sul mondo uno sguardo umanista, costruendo un rapporto con gli esseri e i luoghi, dando voce a coloro che non ne hanno, rivelando ogni paesaggio come il luogo di un’esperienza umana”. Per i suoi reportage Depardon ha spaziato infatti da un continente all’altro, di paese in paese sempre confrontandosi con il reale nonostante la diversità dei soggetti, come raccontano le otto serie in mostra, a colori e in bianco e nero, tra le più emblematiche della sua produzione. “Ho una grande fiducia nel reale, penso che mi abbia dato molto nei miei film, nelle mie foto”, riporta una citazione. La realtà nella sua crudezza traspare per esempio nella serie Glasgow, ritratta nel 1980 per il Sunday Times Magazine: periferie desolate e proletariato.

Raymond Depardon, Glasgow, Scotland, 1980, © Raymond Depardon / Magnum photos

Un grigiore spezzato da spunti di colore inaspettato, come il verde di un prato, una vettura rossa o un palloncino rosa di gomma da masticare. Nelle foto di Depardon l’Italia ha un posto speciale con la serie San Clemente (1977-1981), dal nome dell’isola della laguna veneziana sede dell’ospedale psichiatrico (ora hotel di lusso) dove ritrae a più riprese la vita dei pazienti e gira un film in bianco e nero, proprio poco tempo prima della sua chiusura definitiva. Una documentazione toccante, che comprende – su incoraggiamento di Franco Basaglia, lo psichiatra che ha rivoluzionato le cure delle malattie mentali – anche gli ospedali psichiatrici di Trieste, Napoli ed Arezzo.

Raymond Depardon, Torino, dalla serie Piemonte, 2000 © Raymond Depardon / Magnum photos

In Piemonte (2001), invece il focus è una selezione di foto su Torino. Depardon aveva anche esplorato in lungo e in largo le campagne e i paesi della regione, con un senso di “prossimità”, ricordando la sua cultura rurale francese. Figlio di agricoltori, aveva scoperto la fotografia a dodici anni, immortalando come primo soggetto la fattoria dei genitori. Esperienze che riaffiorano nella serie Rural, un lavoro svolto durante l’arco di 30 anni (1990-2018) nelle zone del massiccio Centrale francese. Qui, l’autore ritrae in bianco e nero il mondo contadino contemporaneo, dedito però a metodi di agricoltura tradizionale. Le otto sezioni, così diverse tra loro, hanno un filo conduttore: le 30 grandi stampe della serie Errance, che scandiscono l’allestimento con la scenografia ideata da Théa Alberola e i colori dell’artista Jean-Michel Alberola. Un vagabondaggio, che gli ha consentito di “vivere il presente” tra altrove diversi, volutamente senza riferimenti. Scatti introspettivi, quasi “fermo-immagine di un film che si sarebbe potuto realizzare”. “È un po’ questo il concetto di erranza: non ci sono più momenti preferiti, istanti decisivi, istanti eccezionali, bensì una quotidianità”, dice il fotografo.

Nel segno di Saul Steinberg

Da Bucarest a New York via Milano, la parabola del geniale illustratore che Flaiano definì l’unico pittore che si fa leggere, alla Triennale c’è anche Saul Steinberg. Molti avranno visto le sue copertine disegnate per il New Yorker. I lavori di uno tra i più grandi illustratori del XX secolo hanno fatto storia, ma forse pochi sanno chi era veramente Saul Steinberg (1914-1999) e quanto l’Italia, e in particolare Milano, siano stati importanti per la sua formazione. Steinberg era infatti approdato nel capoluogo lombardo nel 1933, iscrivendosi alla Facoltà di Architettura del Regio Politecnico di Milano. Un momento storico difficile per uno studente di religione ebraica, che aveva già fatto l’esperienza dell’antisemitismo in patria, in Romania, ma la situazione resta nella normalità fino al ’38, anno della promulgazione delle Leggi razziali. È un periodo fervido di studi e amicizie, che dureranno tutta la vita – come quella con Aldo Buzzi, architetto, scrittore e sceneggiatore – e di lavoro: nel 1936 comincia a collaborare con il bisettimanale umoristico “Bertoldo”.

VIAGGIO IN ITALIA – MILANO
Saul Steinberg, Galleria di Milano, 1951 Inchiostro, matita grassa e acquerello su carta Collezione privata
© The Saul Steinberg Foundation/Artists Rights Society (ARS) New York

Steinberg termina gli studi e avventurosamente – subisce un arresto e viene spedito in un campo di detenzione – riesce a partire per l’America nel 1941. La sua vita, dopo la Seconda Guerra Mondiale passata come ufficiale di marina e nei servizi di intelligence su vari fronti di guerra, decolla a New York. Sarà un successo, costellato di amicizie nell’ambiente artistico statunitense, cui si aggiungono europei emigrati come lui. Già affermato, nel 1954, torna in Italia in occasione della X Triennale. Lo aspettano gli amici, tra cui l’architetto Ernesto Nathan Rogers. Un soggiorno creativo: realizzerà il “Labirinto dei bambini”, i cui quattro disegni preparatori – “leporelli” donati alla Boblioteca Braidense – composti ognuno di una striscia di carta piegata a fisarmonica e lunga fino a 10 metri, sono il nucleo centrale dell’esposizione. I disegni vennero ingranditi fotograficamente e incisi con la tecnica a “sgraffito” sui muri curvi del labirinto, progettato dallo studio di Architettura BBPR. Al centro del labirinto era situato un “mobile” di Alexander Calder (uno degli amici artisti di Steinberg) che viene ricordato nella mostra con un altro “mobile”, prestato dalla GAM di Torino. A Milano Steinberg dedica nel tempo molti altri disegni. Ormai affermato, per tutta la vita lavorerà per il New Yorker, affiancando questa attività a progetti, viaggi in Europa e negli USA e collaborazioni con altri artisti, come la fotografa Inge Morath che ritrae le sue maschere fatte con sacchetti di carta, dedicate ai diversi tipi sociali dell’America (presenti nel percorso espositivo). Una vita appagante anche affettivamente, separato nel 1960 dalla prima moglie, incontra una studentessa tedesca di 22 anni più giovane, Sigrid Spaeth. Non si lasceranno più fino alla morte di lei nel 1996. Vicino ha anche gli amici di sempre. Con Aldo Buzzi registra conversazioni a sfondo autobiografico che saranno pubblicate postume con il titolo “Riflessi e ombre”. Tra le tappe del suo iter artistico la consacrazione al Whitney Museum of American Art, nel 1978.

SOUVENIRS / CARTOLINE DA MILANO
Saul Steinberg, Via Ampere 1936, 1970 matita e matite colorate su carta Pubblicato in origine su The New Yorker, 7 ottobre 1974, Su gentile concessione MIC – Biblioteca Nazionale Braidense, Milano © The Saul Steinberg Foundation/Artists Rights Society (ARS) New York

Filosofo della rappresentazione e “creatore di aforismi visivi”, come lo aveva definito il fumettista ed editore Art Spiegelman, in un’intervista Steinberg aveva dichiarato: “Cerco di usare un alfabeto molto povero di segni per esprimere idee che possono essere molto complesse e complicate, per questo il disegno è molto vicino alla poesia che usa parole comuni per spiegare cose molto complesse”. Per approfondire la conoscenza di questo “pittore che si fa leggere”, come diceva lo scrittore Ennio Flaiano, basta seguire il percorso narrativo in cui le 350 opere esposte (tra cui 41 delle 89 conservate alla Biblioteca Braidense di Milano) sono accompagnate da testi esplicativi, sculture e disegni dell’amico Costantino Nivola, dal già citato “mobile” di Calder e da fotografie, riviste e libri, oggetti e parafernalia appartenuti a Steinberg stesso. La mostra, organizzata da Triennale Milano e Electa, è a cura di Italo Lupi e Marco Belpoliti con Francesca Pellicciari, mentre l’allestimento è disegnato da Italo Lupi, Ico Migliore e Mara Servetto.

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