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Music for Ariports: intervista alle vincitrici del N.I.C.E. Curatori Prize 2021
Arte contemporanea
Durante la Torino Art Week, la settimana dedicata all’arte in una Torino post-pandemica, siamo stati da Paratissima e una delle mostre esposte negli spazi di Artiglieria Torino, “Music for Airports”, ci ha colpiti in particolar modo. Abbiamo quindi deciso di intervistare le tre curatrici del progetto, Erica Massaccesi, Chiara Badde e Lara Spagnolli. Queste tre giovani e talentuose donne sono anche le vincitrici del N.I.C.E. Curatori Prize 2021.
Music for Airports
In “Music for Airports – Armonie per un tempo sospeso”, si viene subito trasportati in un’atmosfera rarefatta. Il testo introduttivo, infatti, porta lo spettatore nell’immaginario di Aspettando Godot, scritto da Samuel Backett nel 1953. Partendo da questo contesto, ci ritroviamo a riflettere sul modo in cui i ripetuti silenzi che intervallano le attese di Vladimiro ed Estragone risuonino nei ricordi del periodo di lockdown impostoci dalla pandemia. Attenzione però, il lockdown non è il tema cardine di questa mostra, che regala molto di più: un fotogramma intensissimo del concetto di attesa.
Siete tre curatrici molto giovani. Come ci si sente ad aver vinto questo premio?
«Il nostro lavoro, come anche quello delle nostre colleghe N.I.C.E., ha iniziato a prender forma sette/otto mesi fa. Ci piace usare la metafora della gravidanza per parlare della nascita di questa mostra, non solo perché la tematica dell’attesa è pregnante in tutto il progetto espositivo, ma anche per l’impegno e la dedizione che ci ha richiesto, l’ansia e le preoccupazioni lungo il tragitto, la soddisfazione e la gioia poi al suo compimento. Vincere il premio è stato un riconoscimento ulteriore, un renderci conto che tutto il tempo trascorso a scrivere e riscrivere i testi, cercare gli artisti e selezionare le opere con una certa coerenza era valso a qualcosa. Saremmo state sicuramente felici in ogni caso, ma dato che questo periodo è stato davvero un momento di crescita vissuto insieme, l’una accanto all’altra, concludere il percorso con una vittoria condivisa rende tutto ancor più speciale».
Come avete scelto gli artisti durante la concezione di Music for Airports?
«C’è stata una lunga fase di ricerca iniziata lo scorso aprile supportata continuamente dalle nostre “tutor” e responsabili del corso, Francesca Canfora e Laura Tota. Dopo aver individuato le varie e complesse arie tematiche della mostra ci siamo concentrate sul lavoro di scouting di artisti emergenti residenti in Italia. A luglio abbiamo poi aperto un’Open Call in modo da poter ampliare ancora di più una nostra prima selezione. È in questo momento che abbiamo contattato personalmente ogni singolo artista scelto, ma una cosa a cui tenevamo sin dal principio era cercare di far convivere più forme di espressione. Infatti, le opere spaziano dalla fotografia alla pittura, dalla scultura fino ad arrivare all’arte tessile di Laura GuildA».
Music for Airports è un titolo che sembra non c’entri nulla con il lockdown, uno dei temi ricorrenti di questo percorso. Come lo avete deciso?
«”Music for Airports – Armonie per un tempo sospeso” è il primo titolo a cui abbiamo pensato, ne abbiamo proposti tanti altri ma nessuno sembrava “giusto” come questo, o per lo meno non abbastanza suggestivo. Volevamo creare un immaginario.
È un nome ispirato da un album di Brian Eno, musica ambient nata per indurre alla calma e dare lo spazio per pensare, stesso obiettivo che ci siamo poste noi mentre selezionavamo le opere. Di aeroporti in mostra non ce ne sono, ma la tematica cardine è l’attesa. Sembrava così giusto rimandare nel titolo ad un luogo in cui si va ad aspettare… un viaggio, un amore, una nuova vita altrove (spesso pensando al cielo, di cui, invece, le nostre sale sono piene). Il lockdown è sì uno degli argomenti trattati, ma non il principale. Di quel periodo abbiamo voluto descrivere in particolare lo stato di incertezza e la sensazione di sospensione temporale. In altre parole, è una mostra ricca di metafore e allegorie, spesso nascoste».
Quale opera preferite fra tutte quelle incluse in Music for Airports?
Erica Massaccesi «Non credo di riuscire a dire in assoluto quale sia la mia opera preferita, ognuna di noi tiene alla complessità del progetto nel suo insieme, ma forse ci sono alcune opere alle quali mi sento più legata a causa di percorsi personali e vissuti. Urlare sott’acqua di Marta Longa, ad esempio, è una piccola scultura in cui mi sono rivista immediatamente. Fragile e quasi invisibile, comunica un bisogno disarmante. Quello di essere guardata, ascoltata, capita. Tuttavia, mi sento molto vicina anche alla sensibilità di Michela Garbin o alla serie Waiting Box di Marco Bonomo e The Silent Land di Davide Lhamid. Le nuvole, invece, sono da sempre il mio feticcio, così mutevoli ed effimere. Mi sono innamorata subito delle tele di Claudia Falcetelli o di Marco Goi».
Chiara Badde «Scegliere un’opera preferita per me è impossibile, non riesco più ad essere oggettiva. Ognuna di esse è ormai legata ai rapporti personali che abbiamo avuto con ciascun artista. Ci sono opere però che ci hanno posto delle vere e proprie sfide in fase di allestimento, opere con cui ci siamo relazionate più da vicino, in un senso quasi fisico. Per questo motivo forse mi sento particolarmente legata ai piccoli disegni di Enrico Pantani, alle fotografie di Simona Vaccaro, alle tele di Laura GuildA e alle nostre nuvole: sia quelle di Claudia Falcetelli che quelle di Marco Goi».
Lara Spagnolli «Ogni opera ha una sua storia e un suo autore e io, conoscendo entrambi, non posso fare altro che apprezzarle tutte, anche se ci sono opere a cui mi sento indubbiamente più legata. Alcuni sono lavori che mi hanno smosso qualcosa dentro sin dall’inizio, come le romantiche polaroid di Simona Salerno, i dipinti di Fabio Adani e la serie fotografica The Silent Land di Davide Lhamid, altri che ho sentito “miei” in una fase successiva, vedendoli dal vivo e toccandoli con mano in fase di allestimento. Potrei citare gli acquerelli di Enrico Pantani, come anche le tele di Claudia Falcetelli».
Quale consiglio dareste ai giovani che vogliono intraprendere una carriera nella curatela d’arte contemporanea?
Erica Massaccesi «Personalmente non mi sento di dare veri e propri consigli, anche perché faccio davvero fatica a definirmi una curatrice. Ci tengo però a dire che mi emoziono ogni qual volta sento parlare d’arte e ogni progetto che ho portato avanti fino ad ora non è mai stato concepito con il mero pensiero di produrre. L’amore e la passione, la ricerca e la determinazione, il sapersi e saper stupire, voglio credere ancora che possa bastare questo per farcela in un settore così difficile e chiuso».
Chiara Badde «Sono ancora all’università, sto imparando tanto e sto cercando di muovere i primi passi nell’ambiente culturale, non credo di poter dare consigli perché sono la prima a cercarne continuamente. Forse però, un consiglio che posso dare è proprio quello di chiedere consigli».
Lara Spagnolli «Ciò che posso consigliare è di non smettere mai di informarsi e di imparare. Chi opera nella curatela sa che questo è un mondo dalle mille sfaccettature: arriverà sempre il momento in cui realizzi di sapere la metà di ciò che dovresti, soprattutto quando si tratta di cose che pensavi c’entrassero poco con il mestiere del curatore. L’intraprendenza, la curiosità, la passione per l’arte e l’esperienza sul campo sono, a mio parere, gli elementi necessari per poter muovere i primi passi in questo ambiente, a costo di scendere, talvolta, a dei compromessi».