29 dicembre 2021

40 artisti per ripensare la natura (e l’arte): la mostra al Madre di Napoli

di

“Rethinking Nature” al Madre di Napoli: un ampio progetto espositivo che, attraverso le ricerche di artisti italiani e internazionali, affronta i temi della contemporaneità, tra colonialismo e sostenibilità

Opera di Rethinking Nature al madre
Buhlebezwe Siwani, AmaHubo, 2018. Digital video, colour, sound, 13’01”

Chissà cosa direbbe la giovane ambientalista Greta Thunberg visitando “Rethinking Nature”, la mostra collettiva che ha inaugurato la nuova stagione espositiva del Museo Madre di Napoli e che si prefigge il complicato ruolo di restituire un affresco di un sistema economico globale, quello dei nostri tempi, in cui la natura è qualcosa da sfruttare, qualcosa a cui non apparteniamo e che è fuori da noi. Attraverso un percorso espositivo articolato e polifonico, la visione imperialistica del mondo occidentale – le cui leggi persistono, sebbene l’assetto economico mondiale sia “ruotato” – è vivisezionata e mostra organi e apparati. Non è un caso che fra gli artisti selezionati ce ne siano molti provenienti dal Sud America e dal Continente africano, territori le cui risorse naturali e i cui popoli sono stati – e in parte sono ancora – stretti nella morsa dei “colonizzatori”.

Con i suoi dipinti e una serie di ceramiche, l’artista argentina Adriana Bustos mostra quanto le scienze naturali europee debbano ai territori conquistati, restituendo una lettura critica e dal forte significato politico riguardo ad assunti che hanno generato e perpetuato fino ai giorni nostri ideologie razziste e xenofobe. Sfruttamento del lavoro e delle risorse spesso coincidono: ciò è evidenziato dall’artista ecuadoriano Adrián Balseca, che catalizza le sue ricerche sullo sviluppo dell’industria della gomma nell’Amazzonia fra l’800 e il ‘900, quando gli europei si resero conto delle potenziali applicazioni dei derivati dell’albero, già utilizzati dalle popolazioni indigene.

Opera di Rethinking Nature al madre
Buhlebezwe Siwani – AmaHubo (frame da video-istallazione, 2018)

L’identità negata è al centro della ricerca del sud-africano Buhlebezwe Siwani che racconta, con la sua video installazione AmaHubo, come l’espropriazione della terra vada a pari passo con la soppressione delle pratiche spirituali a cui sono state sottoposte le comunità di antenati, aprendo un occhio sul senso profondo della ritualità e delle tradizioni. Analogamente, la filmmaker Zina Saro-Wiwa utilizza video-istallazioni, fotografie e opere di sound art prodotte nello Stato del Delta, a sud-est della Nigeria, per raccontare il folklore, le maschere tradizionali, le pratiche religiose e l’estetica delle popolazioni locali e testimoniare, attraverso il suo ricercato linguaggio ricco di simboli e metafore, la lotta per la sopravvivenza degli indigeni, in una terra oggetto di sfruttamento da parte delle multinazionali dell’estrazione petrolifera. Non è un caso che l’artista prenda il suo nome d’arte da Ken Saro-Wiwa, intellettuale e portavoce delle rivendicazioni dell’etnia Ogoni a cui apparteneva, assassinato con la complicità del governo proprio per il suo attivismo contro le devastazioni della Shell nella sua terra, il Delta del Niger.

Opera di Rethinking Nature al madre
Zina Saro-Wiwa “Did You Know We Taught Them How to Dance?” (fotografia digitale, 2015)

Nel percorso espositivo, alle opere si accostano testimonianze documentaristiche più o meno contemporanee, con la finalità di ampliare la visione personale degli artisti in mostra. È questo il caso di Bestiario de Indias, una raccolta di immagini tratte dai diari e dalle cronache dei coloni europei in Sud America, da cui è poi derivata una rappresentazione mostruosa e grottesca dei popoli e degli animali locali, al fine di sostenere e giustificare eccidi, violenze ed espropri.

Opera di Rethinking Nature al madre
Gianfranco Baruchello – Agricola Cornelia S.p.A (foto documentaristica, 1970, Fondazione Baruchello)

Agricola Cornelia S.p.A – esperimento artistico di Gianfranco Baruchello che negli anni ’70 proponeva forme alternative di lavoro non legate allo sfruttamento di uomini e natura –  viene accostato a esperienze analoghe di agricoltura comunitaria su piccola scala, fatte da artisti dei giorni nostri: quella di Fernando García-Dory con INLAND, progetto sviluppato nel nord della Spagna; e di Tabita Rezaire, fondatore di Amakaba, una fattoria di cacao, allevamento di api e giardino di tintura fondato nella foresta amazzonica. Tale iniziative artistiche delineano visoni alternative in risposta a una crisi ecologica che sembra senza via di scampo e che è invece sostituibile con l’affermazione di una presa di coscienza collettiva che miri alla giustizia climatica.

Mentre la comunità scientifica mondiale prospetta scenari da apocalisse a cui i padroni del mondo rispondono con entusiastiche promesse che suonano come l’intenzione di un lunedì di dieta dopo una domenica di abbuffate, il mondo dell’arte esce dagli studi e dai laboratori fornendo prospettive e risposte tanto visionarie quanto concrete. Così gli artisti del terzo millennio tornano a essere quello che erano nella Grecia antica: βάναυσοι (letteralmente banausoi) «Coloro che si guadagnano il pane con il lavoro di mano». “Rethinking Nature” ci spiega come oggi “andare a zappare” sia il gesto più bello, rivoluzionario e artistico che ci sia.

A cura di Kathryn Weir con la curatrice associata Ilaria Conti, la mostra è esposta al terzo piano del Museo Madre ed è visitabile fino al 2 maggio 2022.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui