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Il corpo e il suo mondo, alla 1su9 di Roma
Arte contemporanea
Il corpo e le sue relazioni col mondo è tornato ad avere una nuova centralità nel dibattito contemporaneo, come dimostra l’impianto curatoriale della prossima Biennale di Venezia Il latte dei sogni, dove Cecilia Alemani propone una panoramica incentrata sul postumano (a 30 anni di distanza dal Post Human di Jeffrey Deitch) in un’epoca che si trova ad affrontare sfide come il cambiamento climatico, le disuguaglianze tra i generi e il nuovo potere del digitale. Così, prima di affrontare la rassegna veneziana che si annuncia già ricca di stimoli e narrazioni complesse, i due giovani e attenti curatori Angelica Gatto e Simone Zacchini propongono alla galleria 1/9 la mostra collettiva “The expanded body”, che riunisce le opere di otto artisti di diverse generazioni e tipologie intorno al concetto di “corpo espanso”.
“Si tratta di opere molto dense in cui la stratificazione dei significanti porta a una molteplicità di interpretazioni possibili da parte del pubblico, e in cui l’espansione del corpo spesso si eclissa nel suo contrario, finendo nella sua sparizione o annullamento” spiegano i curatori, che hanno inteso ancorare il loro discorso con alcune grafiche su carta di Carol Rama, artista che si interroga sulla frammentazione del corpo con una lettura in chiave simbolista, non scevra da problematiche legate a rimozioni di traumi psicologici. Così nella prima sala della galleria la mostra appare allestita in maniere puntuale e rigorosa, con equilibrati dialoghi tra le opere.
L’ambiguità formale e concettuale dell’installazione di Sonia Andresano Giochi preziosi (2022), realizzata per l’occasione, trasforma la dimensione ludica del gioco della dama in una riflessione sul rapporto tra peso, corpo e gioco, quasi a introdurre l’installazione di Veronica Bisesti, composta da diversi elementi che costruiscono una sorta di paesaggio fiabesco ispirato al libro protofemminista di Christine de Pizan La città delle dame (1405): una città annunciata dallo stendardo araldico Don’t keep me within compass (2021) dove le donne virtuose hanno l’aspetto di pietre specchianti.
Più rarefatta la proposta di Davide Sgambaro con le serie fotografiche Four days with an electrostatic friend (2020), che grazie all’elettrostaticità degli oggetti ritratti riflettono sulla precarietà del nostro quotidiano in maniera sottile e poetica. Ancora più essenziale il lavoro di Julia Huete, che presenta due grandi arazzi su cotone con ricami minimali che costruiscono disegni di forme irregolari. Tutt’altro clima si respira nella seconda sala della galleria, dove i curatori hanno creato un contrappunto con opere narrative e fortemente visuali.
Il contrasto tra il vuoto e il pieno è annunciato dalle opere di Fabio Giorgi Alberti, che presenta una serie di specchi dipinti con smalti colorati, legati ad una ricerca sulle diverse tecniche sulla produzione artigianale di specchi, in un interessante dialogo con l’installazione a parete di Fabrizio Cicero della serie Spalanca (2021-22), composta da tre finestre di dimensioni diverse, che contengono disegni a matita di paesaggi filtrati da reti metalliche. L’ultimo lavoro presente in sala è Gänzlich Unerreichbar (2021) del collettivo Vaste Programme, nato a Roma nel 2017 dall’incontro tra Giulia Vigna (1992), Leonardo Magrelli (1989) e Alessandro Tini (1988). L’installazione è composta da un video digitale che racconta un viaggio all’interno di una statua classica, incastonato in una grande stampa fotografica, che lo rende eccessivamente presente. In conclusione la mostra appare come una stimolante ricognizione su un tema molto attuale, del quale Gatto e Zacchini propongono una lettura non banale e ricca di spunti di riflessione.