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Giannetto Fieschi, l’esperienza di un’arte da rivalutare
Arte contemporanea
All’eretico e saturnino Giannetto Fieschi, pittore e incisore nato a Zogno (Bergamo) nel 1921, discendente dalla storica famiglia genovese medioevale dei Fieschi, Conti di Lavagna, scomparso nel 2010 a Genova, dove ha vissuto e immaginato universi perturbanti in cui opere, oggetti, dipinti, mobili diventano presupposti di viaggi nella profondità dell’inconscio junghiano, la città dedica tre mostre suddivise a Villa Croce, alla GAM Galleria d’Arte Moderna a Nervi e al Museo Diocesano.
In occasione del centenario della sua nascita, Genova riscatta dall’ingiusto oblio un’artista innovatore con un progetto espositivo ambizioso “Giannetto Fieschi. Un’Esposizione Antologica” a cura di Andrea del Guercio (domani un approfondimento via zoom), promossa dal Comune di Genova e dall’Archivio Giannetto Fieschi per mostrare la sua poliedricità “assurdista-espressionista”, insofferente a qualsiasi etichetta.
Cominciamo il viaggio nel misterioso mondo di Fieschi dalla mostra a Villa Croce, splendida dimora ottocentesca affacciata sul mare, dove il curatore ha inscenato una “casa d’artista” dimensioni intime, abitabili, mescolando dipinti, sculture e mobili d’arredo, un percorso espositivo suddiviso in aree tematiche in dialogo con la Villa, frammentario ma sul filo di un ordine formale-cromatico.
Attraversando le stanze del piano nobile irrorate di luce naturale catturata dalle grandi finestre dell’edificio, potremmo immaginare di incontrare “un signore alto, riservato e colto, austero e geniale, dai modi teatrali e a tratti incomprensibile, improvvisamente; prezioso per sensibilità e delicatezza”; dichiara Del Guercio per motivare come oltre trenta dipinti di grandi dimensioni, disegni e opere grafiche, oggetti d’arredo, più una selezione di autoscatti coabitano in armonia in questa “casa d’artista”. Da non perdere è un emblematico documentario che merita attenzione di Mauro Marcenaro, archeologo della visione sui generis che ha conosciuto Fieschi realizzato per l’occasione, in cui si coglie l’essenza di una personalità sfaccettata, introversa e impossibile da contenere dentro a gabbie stilistiche dal segno fluido e “magico-primario” e da un tratto sintetico analitico preponderante, che incide la memoria dell’osservatore.
A Villa Croce il protagonista è lo spettatore-attore di una esperienza estetica totale, dove l’arbitrarietà e l’ambiguità di un linguaggio post espressionista, meta-avanguardista apparentemente caotico di un autore interdisciplinare si fa ambiente attraverso opere attaenti e respingenti e oggetti domestici, che trasudano di mistero.
In questo idilliaco conteso si compie una ricucitura – rammendo tra Genova, casa, opere e Fieschi – che dopo la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1948 e nuovamente nel 1950, che ha richiamato l’attenzione di Giorgio Morandi, Renato Guttuso, Roberto Longhi, Francesco Arcangeli, Giulio Carlo Argan e di altri illustri critici dell’arte, a Villa Croce idealmente incontriamo, o meglio “abitiamo”, il suo mondo infernale, carico di rimandi esoterici, codici intimisti quasi alchemici, frammenti di tempo dentro gli oggetti, capaci di svelare una interiorità lacerata da una profonda ricerca spirituale, un’artista caleidoscopico che mette al centro del suo fare figure antropomorfe espressioniste e tracce di oggetti decontestualizzati dal quotidiano; materiali diversi e archetipi junghiani.
Il solitario, riflessivo Fieschi tra riservatezza personale e urgenza espressiva dei propri fantasmi e ossessioni, incubi, frustrazioni e tensioni emotive nel suo atelier, immerso nell’oscurità dove ha lavorato una vita, nella sua Genova, lontano da distrazioni e compromessi necessari per entrare nelle morse del sistema dell’arte, ma questa è un’altra storia che non lo riguarda, fedele soltanto alla sua urgenza di fare arte nel segno eretico e graffiante dai colori infuocati di brama di vita sono l’espressione di una colta ricerca compositiva e formale, in cui il corpo, la nudità di sessi ambigui, lettere gotiche emanano un fascinoso e irrequieto misticismo.
C’è tutta la storia dell’arte in quella colta trans-figurazione, apparentemente antiestetica volutamente allegorica-simbolista, frutto di un processo di sottrazione formale analitico di una abilità compositiva propria di un incisore raffinato. Tra cicli pittorici appartenenti alla sua collezione – dalla ricca Raccolta di crocifissi lignei, di Turibuli e Calici d’argento – quadri di devozione e reperti di epoche diversi, Fieschi dipinge su tutto, ogni cosa affastellata nel suo studio diventa oggetto e soggetto per dare forma a visionarie mitologie individuali attraverso assemblaggi spazio temporali, volti ad annullare la cesura tra passato e presente. E tra mobili antichi ridipinti e personalizzati dal segno vibrante della sua figurazione incisiva e policroma, aggrediscono lo spettatore opere quasi liturgiche concepite come quinte scenografiche, dove chiunque, guardandole precipita nella vertigine del suo delirio visionario.
Il processo di svelamento dell’interiorità di Fieschi, a Villa Croce inizia dallo scalone tardo neoclassico, con Resa (1971/72) opera di sette metri, fino a Allegoria all’allegoria (1957), un limbo che apre l’accesso a un percorso espositivo di iconografie infernali dannatamente armoniche. Lo caratterizzano temi in bilico tra sacro e profano, ascetismo ed erotismo e sublimazione del desiderio, dimensioni verticali monumentali, come i grandi polittici delle chiese e una grammatica di registro informale- materico surrealista meta-avanguardista dall’inattesa profondità antropologica. Come si vede in Benefattrice e derelitti (1969) e sono una chicca Opera Pompei (1949), Ancora risurrezione (1953) e Infanti e Maria (1977).
E ancora, tra maestose pale d’altare e predelle, le tavole della Via Crucis (1953), come nel polittico dedicato al Levitano (1955/67); tutto è liturgicamente anarchico, eretico e in perenne cambiamento. Chiude il percorso espositivo la quarta sala, dove la nudità di corpi dalla sessualità ambigua, materializzano angeli ribelli che sembrano sul punto di allontanarsi da qualcosa per elevarsi non si capisce dove, dalla provocante e irrequieta bellezza. Catalizzano lo sguardo Ofelia (1984), Lazzaro (1980) e una raccolta inedita di disegni erotici che sarebbero piaciuti a Pierre Klossowki.
Il complesso universo emozionale di Fieschi raccoglie -come il vaso di Pandora- una catena di eventi, fallimenti e redenzioni personali e universali che affonda le radici nel sacro, si coglie pienamente al Museo Diocesano di Genova, dove tra le altre opere ci sono 14 grandi Teli della Passione dipinti su tela blu nel 1538 (considerati antenati del jens). In questo aulico luogo tra cicli di affreschi, paramenti sacri, suppellettili varie, codici miniati e altro ancora, grazie alla sensibilità di Paola Martini (Conservatore del Museo Diocesano), il percorso espositivo evidenzia significati plurimi dei soggetti e figure isolate delle opere di Fieschi a confronto con il patrimonio preesistente, da Santa Lucia a Santa Caterina Fieschi, fino alla Via Crucis stanza dopo stanza.
Nella scelta mirata di opere simili a pale d’altare di grande formato, l’esperienza del sacro si fa materia di riflessione contemporanea con l’obiettivo di intrecciare la collezione museale permanente alle opere dell’enigmatico Fieschi, e questa operazione dialettica-visiva, è riuscita in maniera eccellente; molte infatti sembrano sempre state lì.
Scrive Martini: “Un museo, ancor più se di ispirazione religiosa, non può esimersi dal confronto con il presente, fino al ‘passato prossimo’, per riannodare i fili di una comunicazione che nei passati decenni si è quasi completamente annebbiata”.
Chiude la trilogia dedicata a Giannetto Fieschi la mostra in un’altra Casa Museo, nella cinquecentesca Villa Saluzzo Serra, sede della GAM Galleria d’Arte Moderna a Nervi, circondata da un lussureggiante parco degradante verso il mare, ampliata e decorata tra la metà del Settecento e l’inizio del Novecento, dove sono esposte le sue opere di piccolo formato “quadri da cavalletto” e grafiche rispondenti a cicli tematici, quali la Maternità e altri soggetti in relazione con autori del passato testimoni della storia artistica italiana dal XVIII al XX secolo. Queste non sono opere minori, bensì omaggi dell’autore a temi classici destinati alla committenza privata. Da non perdere è la sezione dedicata alla Cartella di serigrafie collegata ad uno degli ultimi grandi cicli pittorici, Il Pericolo degli anni 1973/77, conservato su donazione di Fieschi alla Galleria d’Arte Contemporanea di San Giminiano, in cui allegoria, metafora, simbolo, provocazione, rivelazione e sottrazione, ossessione e redenzione domina l’indomita libertà espressiva e sublime di Fieschi, irresistibilmente teso vero un futuro anteriore sempre contemporaneo.