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La storia del Piper e l’arte di Claudio Cintoli
Arte contemporanea
Che il Piper Club di via Tagliamento, a Roma, sia uno dei locali più incredibilmente impressi nella memoria della società italiana non è un mistero. È anche risaputo che alla sua serata d’esordio, il 17 febbraio 1965, suonarono i The Rokes e l’Equipe 84 e nel giro di pochi mesi dalla sua apertura il Piper consacra anche un’altra mitica cantante italiana: Patty Pravo, che passa alla storia del pop proprio come “la ragazza del Piper”.
Ispirate al beat inglese e agli Stati Uniti, dalle serate del Piper “uscirono” Romina Power, Mia Martini, Loredana Bertè, Renato Zero, mentre sul palco si esibivano i Pink Floyd o gli italani New Trolls, Le Orme, I Pooh.
Meno nota al grande pubblico, forse, è invece la vera e propria storia del Piper, del suo progetto architettonico e dell’intervento pittorico murale Giardino per Ursula realizzato da Claudio Cintoli, che fece da sfondo a quelle “notti magiche” dell’Italia della rinascita economica.
Ne abbiamo parlato con Giancarlo Capolei, architetto che insieme al fratello Francesco e a Manlio Cavalli aiutò nell’impresa del Piper l’Avvocato Alberico Crocetta con Giancarlo Bornigia e Alessandro Diotallevi.
Chi ha coinvolto Claudio Cintoli nel progetto del Piper?
Io e mio fratello Francesco. Eravamo giovani architetti , molto interessati all’arte. Frequentavamo artisti, musicisti, intellettuali, ecologisti. Il nostro studio era a via Bolzano , poi ci siamo spostati in via San Marino.
Com’è nata l’idea del Piper?
Facevamo diverse riunioni e jam session della Roma New Orleans Jazz Band, che suonava nei garage e negli appartamenti di amici . L’orchestra suonava anche per la strada, e una sera in piazza Trasimeno verso mezzanotte si presenta l’avvocato Alberico Crocetta, amico di mio fratello, che si chiamava Francesco ma era soprannominato “Pinin”. Crocetta racconta di essere appena tornato dagli Stati Uniti, dove aveva notato che i giovani erano liberi, felici e spensierati, a differenza di Roma, che era una città morta. Dice di voler creare un locale dove i giovani potevano incontrarsi e divertirsi, che immagina come un grande flipper, dove i ragazzi prendono il posto delle palline.
Aveva già messo in pratica la sua idea?
Si era rivolto a due grossi studi di architetti romani, ma quando aveva dichiarato un budget di soli venti milioni nessuno aveva accettato di seguirlo nella sua avventura. E quindi alla fine di agosto del 1964 si era rivolto a noi , chiedendo di rispondere entro 24 ore. Mio fratello viene da me, mi spiega la situazione e decidiamo di accettare.
Dopo il vostro assenso cosa è successo?
Ci siamo visti tutte le sere dopo cena per due o tre ore, e condividiamo con Crocetta 4 punti schematici, a nostro parere fondamentali per il progetto. Una volta condivisi, cominciamo a cercare il locale: dopo averne visti decine ci propongono uno spazio seminterrato a via Tagliamento, sotto un palazzo di 5 piani, costruito una decina di anni prima per diventare un cinema e mai stato aperto.
Quando l’avete visto avete capito che era lo spazio giusto?
Si. Abbiamo immaginato un’architettura di interni lasciati grezzi, senza arredi, anche perché non c’erano soldi e nemmeno tempo per fare altro….
Come mai?
Crocetta ci aveva dato due opzioni per la data di apertura: o l’ultimo dell’anno o il 15 febbraio, per il Carnevale. Avevamo deciso da tempo che in ogni nostro progetto avremmo coinvolto un artista, e quindi mio fratello Francesco pensò a Claudio Cintoli, che ci aveva presentato anche Francesco Di Cocco.
Come avete lavorato? Prima abbiamo condiviso con Cintoli il progetto e poi abbiamo avviato una serie di discussioni sulla tipologia del suo intervento. Leggevamo Marcatre, dove Cintoli scriveva, e condividevamo con lui l’interesse per l’ecologia e la salvaguardia della natura. Passavamo ore intere a discutere, tanto che avevamo pensato di aprire uno studio insieme…
Cintoli ha preparato un progetto del suo intervento?
Ne ha preparati 4 diversi e ne abbiamo scelto uno, che contrapponeva la natura ai rifiuti del mondo industriale. Fiori e piante da una parte e plastica e rottami dall’altra. Il tutto animato dalla presenza rassicurante del volto femminile sorridente dell’attrice Ursula Andress, sex simbol di quell’epoca. Il messaggio era chiaro: da una parte la natura, dall’altra gli scarti e i detriti dell’umanità, che avrebbero invaso il mondo.
Chi aveva deciso la posizione del fondale realizzato da Cintoli?
Noi architetti, ed era stata determinata dall’aver eliminato il palco, sostituito da una serie di centri intorno ai quali la gente si riuniva. L’opera di Cintoli era lunga una ventina di metri e funzionava come un messaggio, potenziato da luci e proiezioni, realizzate con l’aiuto della RCA, che ci aveva aiutato nel raggiungere quella che chiamavamo “intensità di progettazione”, mettendo insieme fabbro, tecnico del suono e proiezioni, in modo da avere una timeline perfetta.
Come andò l’inaugurazione?
La mattina del 15 febbraio 1965 eravamo ancora impegnati ad incollare la plastica sul pavimento, alla fine siamo arrivati all’apertura, alla quale parteciparono migliaia di persone. Così nacque uno dei locali più all’avanguardia dell’epoca!