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Gioventù da maneggiare con cura: la mostra di Mustafa Sabbagh alla Casa della Memoria
Mostre
Alla Casa della Memoria di Milano è visitabile la mostra “SENZA TITOLO – PRODOTTO F” dell’artista Mustafa Sabbagh. Con questa esposizione, organizzata in occasione della Milano Art Week, Casa della Memoria conferma il suo ruolo di spazio pubblico aperto alla città, dedicato alla storia della nostra Repubblica e ai valori ideali e politici sui quali si fonda. L’opera di Mustafa Sabbagh invita così l’osservatore a confrontarsi con immagini fotografiche e video che hanno come soggetto lo spaesamento giovanile mercificato, sradicato e in fuga. Le due opere in mostra sono SENZA TITOLO – PRODOTTO F e Rave party (2019). Abbiamo intervistato Sabbagh per conoscere tutti i particolari di questo profondo e affascinante progetto.
ll dossier del progetto fotografico Made in Italy si manifesta attraverso un metaforico linguaggio di marketing, probabilmente l’unica lingua internazionalmente conosciuta, dove rapporti il marchio Made in Italy© al prodotto F. Ma cos’è il prodotto F?
«La serie fotografica Made in Italy© – Handle with care, che prende il titolo da quanto di più ufficiale ha reso grande l’Italia, nasce da un mio atto non ufficiale di ribellione, tesa alla comprensione. Laddove slogan (più o meno) altisonanti pronti a celebrare l’Expo e le eccellenze nostrane vedono l’Italia leader nel settore delle 3F – Fashion, Food, Furniture – paraocchi mistificanti non permettono la visione netta di un’altra F, la più eccellente e la più promettente, ma la meno salvaguardata: la F del Futuro, quella del Fanciullo.
Made in Italy è un progetto fotografico che ha i caratteri dello studio antropologico, e che tocca corde di competenza civile, e sociale, per capire quanto del futuro fosse esportato e tutelato – o meglio, potesse essere esportabile e tutelabile – all’interno della nostra società civile, e nell’ottica della nostra lex mercatoria.
Ho pensato al MAXXI come contenitore ideale e privilegiato per questo progetto inedito, visti i suoi caratteri di perfetto specchio di risonanza delle arti del XXI secolo; arti che rivolgono uno sguardo particolare alla contemporaneità, alle sue contraddizioni ed alle sue urgenze, parlando la lingua della fotografia contemporanea. Le opere della serie sono fredde, nette, in uno stile avvicinabile a quello nordico; classiche composizioni di still-life, all’interno delle quali le nature morte sono date dalla vita, nel pieno del suo corso. Ecco il primo, più evidente, ossimoro del progetto, a riflettere una situazione spesso ossimorica. Ma non è il solo.
I soggetti, di età compresa tra gli 11 e i 20 anni, sono ritratti tutti all’interno dello stesso contenitore paesaggistico: il mare, come linea orizzontale e come punto di frontiera, di connessione, di sbarco. Tutti a figura intera, tutti con pantaloni troppo grandi per vestirli perfettamente, ma tutti capaci di trovare un loro modo per starci comodamente dentro.
Made in Italy è un catalogo del campionario umano 2.0; la bellezza del progetto risiede, a mio avviso, nella sua integrità. “Integrità” come completezza della serie: 27 ritratti di 32×45 cm, accompagnati da un comunicato redatto come la cartella stampa del lancio promozionale di un prodotto, per i quali la didascalia è pensata come una vera e propria etichetta prodotto, da ritrovare in un apposito indice a partire dal codice di ogni ritratto; ma ‘integrità’ anche come necessità di uno sguardo intellettualmente onesto, scevro da pregiudizi, di fronte ad una aperta provocazione, la mia, nel trattare il Futuro come merce spendibile.
Integrità per Integrazione; l’unica moneta di scambio necessaria, all’interno del global market del quale facciamo parte. Un mercato globale che, del Made in Italy 2.0, non riesce tuttora a comprendere il potenziale più fecondo: quello umano.
f = fanciullo = futuro».
Il video Rave party (2019) mette in relazione due tipi di spaesamento giovanile, imposto dal destino di nascita, fomentato dal contesto vissuto e autoimposto dalla volontà di uscirne. Come nasce l’idea quest’opera?
«“Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata”: Herbert Marcuse spiega con cinica lucidità luci e ombre della società digitale che stiamo vivendo o meglio dire subendo. In questo mio appunto audiovisivo metto in atto due modi apparentemente opposti per uscirne. Un’opera che ci chiede di farne parte, un monito, una scelta da fare, non si può vivere neutralmente. Non ci chiede un giudizio né soluzione ma una profonda emersione. È vigliaccheria non danzare con il dolore addosso».
In Rave party (2019) assistiamo alla messa in scena di due inferni: l’inferno del rave party e quello delle migrazioni, in che modo dialogano?
«Rispondo con le parole scritte nel testo su questa opera da Claudia Attimonelli: “…è garanzia della sacralità attribuita alla carne: il giudizio finale è, infatti, assente, non voluto né ricercato, sotto processo non vi sono i corpi lanciati a velocità folle dalla musica gabber e dalle anfetamine, poiché tale danza è essa stessa, nella sua assenza di grazia, espressione di una corpografia disgraziata dei pariah, dei non privilegiati. Condannati a ballare fino a liberare oscure forze di resistenza. Un’opera audiovisiva che s’interroga sulle potenzialità sincretiche delle immagini, investendole di un senso biopolitico (Foucault), transpolitico (Susca, De Kerckhove) e coreopolitico, laddove il ballo, nella cultura rave, è coreografia spastica per un’irraggiungibile velocità ritmica e un’inarrivabile estasi catartica, rinviata di continuo. L’approdo felice è quasi impossibile, lo spostamento è tutto”».
Il mondo ha ancora bisogno di maestri?
«Certamente ne abbiamo bisogno, maestri che ci insegnano cos’è il gegenbewegung, maestri che hanno paura di fare i maestri. Scriveva nel 1961 Hannah Arendt: «La società di massa non vuole cultura, ma svago», un maestro genera cultura non pensiero e opere instagrammabili minimali e molto cool ma graffi profondi».
Le opere in mostra dialogano splendidamente e profondamente con lo spazio della Casa della Memoria, condividendone i valori di libertà, democrazia, identità e memoria. In un presente fragile e tragico, come quello che stiamo attraversando, qual è il compito dell’artista?
«Casa della Memoria a Milano non solo uno spazio fisico importante me un’entità etica e un spazio di pensieri e valori importanti, grazie a Maria Fratelli di avermi scelto per questo gesto artistico in questo frangente doloroso nella nostra storia contemporanea. Artista e compito sono uno la negazione dell’altro, l’artista è un pensatore smarrito».