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Un NO scritto col sangue: Loredana Longo da Pantaleone, a Milano
Arte contemporanea
di redazione
Ci ha abituato alle opere realizzate con il fuoco, i cocci di vetro, la polvere da sparo, distruggendo le situazioni comuni ed entrando prepotentemente nella costruzione del suo immaginario in prima persona. Si è messa a nudo di fronte alla macchina fotografica di Letizia Battaglia, con la quale poi è nato un lavoro a quattro mani e ieri sera, a Milano, nella galleria di Francesco Pantaleone, è tornata a colpire con “Scratch”: stiamo parlando di Loredana Longo, che in occasione della sua doppia personale “Crash”, negli spazi di FPAC – a Milano e a Palermo – ha pensato a un’azione inedita dove, ancora una volta, l’artista ha detto “NO” all’idea di un corpo-oggetto, o peggio, di un corpo-nessuno, in balia di una società dalla politica corrotta e al limite dell’autoritarismo in una serie di molteplici forme, anche culturali.
Così, ieri sera alle 21, Loredana Longo esce dagli uffici della Galleria Pantaleone, sguardo scuro, impeccabilmente vestita “rock”. Cammina rasentando il muro e subito si intuisce che, alla mano destra, porta uno dei gioielli creati da lei stessi: anelli o tirapugni decorati con schegge di vetro e altri oggetti contundenti. Stavolta l’artista indossa, tra l’indice e l’anulare, un triplo anello dal quale spunta una vite acuminata con la quale – e con la forza del corpo – i muri vengono incisi, graffiati (scratchati, appunto). Una parete dopo l’altra subisce il trattamento, seguendo movimenti rapidi o più difficoltosi, segnati dalla profondità e dall’attrito tra lo strumento-anello-corpo e l’intonaco.
E alla fine, Loredana Longo arriva sotto la scultura-neon che recita l’errato e allo stesso tempo rafforzato messaggio “MY BODY IS NOT NOBODY”. Tra decine di sguardi increduli, l’artista inizia a graffiarsi il braccio con il suo stesso anello-punta, fino a farsi sanguinare, richiamando Gina Pane, Marina Abramović. E ricordandoci, soprattutto, che l’arte è una disperata richiesta di attenzione e che oggi, nell’epoca in cui il corpo si vuole svuotato dei suoi sensi e significati, a disposizione del potere, è urgente rimarcare un secco “NO”. A costo di scriverlo col sangue, su un muro.