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Tra generi ed eredità: alla scoperta della nuova pittura di Xinyi Cheng
Arte contemporanea
A Parigi, alla galleria Lafayette Anticipations, il 23 marzo si è inaugurata la mostra Seen through others della giovane artista cinese Xinyi Cheng. Nata a Wuhan nel 1989 e poi trasferitasi a Pechino, Xinyi Cheng ora vive e lavora a Parigi. Il suo esordio sulla scena dell’arte è stato molto brillante: vince il Baloise Art Prize assegnato dalla fiera internazionale Art Basel del 2019; una sua opera viene esposta nel 2020 alla presentazione della collezione Pinault alla Bourse de Commerce; nel 2021, l’opera Darling (2017), partendo da una stima di 30mila dollari viene aggiudicata a 300mila, da Christies New York. Adesso, la città che ha scelto come sua terra d’adozione le offre l’occasione di questa personale nella quale emerge con chiarezza la sua adesione al modello occidentale della figuratività e la sua vasta conoscenza della tradizione pittorica.
Lo studio e la sperimentazione nella scultura, nei suoi anni di studio a Pechino, sono la base della sua capacità di delineare le forme dei corpi secondo la qualità della luce e della sua rifrazione nelle tante posizioni che nelle sue tele fa assumere alle nudità. Mentre la conoscenza dei maestri, non solo della contemporaneità, le ha consentito di acquisire al loro confronto una propria originalità. Quelle nudità innocenti scaturiscono dalla particolare percezione emotiva che caratterizza sul piano formale le opere della Cheng; l’introduzione della sua specificità di gendre è una connotazione che permea il tentativo di scomporre i modelli più consolidati. La sua rappresentazione femminile della nudità maschile è un’apparizione sorprendente, essa ha una semplicità, una capacità di distacco che non ritroviamo nelle visioni maschili trasgressive cui siamo abituati e dalle quali si distinguono.
Solo il primo sguardo ci riporta a quelle apparentemente algide di David Hockney, cui in particolare le immagini di Cheng rimandano per molti aspetti, ma anche a Lucien Freud per il quale il distacco è paura e dimensione di solitudine, o a quelle di Robert Mapplethorpe che rappresentano l’oggetto parossisticamente desiderato ma in realtà irraggiungibile. Lei ci espone lo sguardo di una donna che li osserva altrettanto attentamente ma ci racconta una corporeità oggettiva tenera e indifesa, che non induce turbamento o desiderio ma richiesta di amichevole partecipazione.
Con un’empatia che, per esempio, confonde le fisicità delle coppie tanto da non ritenere necessario rendere evidente la specificità di ciascuno, e per la costruzione della scena sceglie un’ambiguità dei ruoli quale parte cruciale del messaggio, come in Where do the noses go del 2021. La quotidianità e la banalità dei gesti e delle situazioni di The rain del 2014 o Clement del 2019 annullano qualsiasi velleità di definire schemi di relazione e la descrizione distaccata dei modi seduttivi della mascolinità rivela i limiti di quei modelli incautamente affermati. Quell’uomo guarda e pensa a se, ai suoi gesti e alle sue azioni che per se stesse dovrebbero sedurre ma che, prive di autoironia, lo lasciano solo nella sua presunta egemonia. Un’egemonia che viene sottilmente smitizzata nella tela The horse wearing a red ear bonnet and Eye blinders del 2020 rappresentazione di un dubbioso prestante giovanotto al cospetto di un cavallo fieramente bardato di un elmo/cappello dotato di simboliche corna eburnee.
Il percorso di lettura della realtà che Xinyi Cheng ha iniziato, appare coraggioso ma determinato. Ha lasciato dietro di sé il modello rigido e schematico della sua terra d’origine e ha colto i nodi critici di una società affascinante e diversa, forse alternativa, ma ancora fortemente irrisolta sul piano delle relazioni fra i generi che, per questo, si moltiplicano invece di confondersi con reciproco riconoscimento e accettazione.