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La bellezza della perdita, contro lo spreco, nell’arte partecipativa di Federico de Lorentis
Arte contemporanea
Come suggerisce la critica statunitense Claire Bishop, pur riferendosi a una precisa inclinazione partecipativa, l’arte nella sua accezione più generale è «Capace di rendere visibile l’invisibile». Gli artisti spesso colgono scorci, virgole o dettagli che comunemente non emergono con facilità, per portarli alla luce. Questo è il processo che Federico de Lorentis ha avviato per ideare la sua mostra “Surplus”. L’artista da sempre lavora sul concetto di esubero e ha dato vita, con gli scarti dati dal suo stesso consumo, a una ricca di collezione di materiali, esposti da Tufano Studio in collaborazione con l’Associazione Zona Blu, in occasione di una recente mostra curata da Lucrezia Arrigoni, per come egli stesso li raccoglie. Vasi o agglomerati di oggetti che prendono le sembianze di installazioni, le quali danno così una seconda vita a rifiuti, quali buste del caffè, guanti di plastica usati o mascherine sporche. Presso Tufano Studio, de Lorentis ha colto l’occasione di mettere letteralmente in luce un ulteriore esempio di spreco, puntando l’attenzione su una perdita di acqua presente nello spazio. Spettacolarizzando il fluire della stessa all’interno dello Studio, l’artista ha invitato il suo pubblico a ragionare sulla vastità degli sperperi della società contemporanea ma ha anche offerto, in maniera risolutiva, la possibilità di prendere un vasetto dell’acqua raccolta e un seme di legume perché ognuno, piantandolo, lo potesse poi innaffiare con lo stesso liquido, concorrendo alla nascita di una nuova vita in quanto risultato di un’azione partecipativa.
Come hai ideato questa operazione di recupero dell’inutile scolo di acqua, un’azione quasi idraulica, all’interno di Tufano Studio?
«La perdita d’acqua è il dettaglio che ho subito notato entrando per la prima volta a Tufano Studio. Essendo naturalmente sensibile alla questione ambientale e recando particolare interesse verso il surplus, quella perdita è immediatamente diventata il fulcro della mia installazione.
L’iter burocratico e deresponsabilizzante innescato dagli enti addetti alla riparazione del tubo ha peggiorato la situazione prorogando i lavori fino a oltre quattro mesi dall’inizio del gocciolio. Oggi la goccia è ancora lì. La quantità d’acqua sprecata, ora dopo ora, è drammaticamente notevole. La mia operazione ha quindi posto l’accento su questo spreco ribaltando quella costante goccia in un flusso più ampio tramite un sistema idraulico primitivo composto unicamente da cordini di spago e canne di bambù. Faretti “teatranti” hanno poi illuminato quel gocciolio che finiva la sua corsa in un mastello nero, dal quale il pubblico poteva attingere».
Credo che mettere i riflettori su una perdita sia un tipo di operazione un po’ fine a se stessa, ho invece molto apprezzato che tu abbia deciso di lavorare in maniera partecipativa. Cosa ha significato per te offrire la possibilità di portare a casa un vasetto di acqua e un seme da piantare?
«Raccontare al pubblico le dinamiche che impediscono la riparazione della perdita; incaricare ogni persona ad aiutarmi nel tentativo di recuperare quell’acqua e di impedire la fuoriuscita del liquido dal mastello; responsabilizzare ognuno a utilizzare concretamente l’acqua per far germogliare e crescere una pianta di fagioli. Queste sono azioni utili a rendere il pubblico attivo e partecipativo, in questa maniera si innesca un legame diretto tra la singola persona e l’installazione nella quale si trova immersa, ed è proprio tale immersività a creare il contesto giusto perché si possa pensare attivamente al concetto del lavoro.
Una mia prerogativa quando penso a un nuovo progetto è sempre stata l’accessibilità del vasto pubblico, non mi interessa generare qualcosa che avrà senso solo e soltanto nei contesti prettamente artistici. Focalizzarmi sulla perdita d’acqua, mettere in evidenza con la luce quelle gocce, far immergere il pubblico in uno spazio pervaso dal suono costante e persistente di quel gocciolio, questa è stata una spettacolarizzazione necessaria, a parer mio, per poter rendere tutti partecipi e responsabili di uno spreco disumano».
Dunque, per il tuo lavoro e il tuo approccio è molto importante poter creare una critica di senso con chi segue il tuo lavoro.
«È sempre interessante lavorare a contatto con il pubblico. In questa occasione ho potuto cogliere il dispiaciuto stupore nell’accorgersi che la perdita fosse vera e non un meccanismo da me ingegnato ai fini dell’installazione. Questo mi ha anche permesso di riflettere su come diamo per scontato che, trovandoci all’interno di in una dinamica artistica, giustificheremmo anche l’azione di un presunto artista intento a sprecare un bene prezioso, quale l’acqua.
È stato produttivo ed efficace, invece, spiegare come far germogliare un seme. Tramandare una semplice azione è un processo positivo che include una responsabilità individuale, oltre alla sola relazionalità dovuta all’installazione stessa.
Oggi, a distanza di un mese, è piacevole e rincuorante ritrovarsi a notare piccoli germogli o piante già assestate in case di persone venute all’inaugurazione».
Come pensi che l’arte possa fare per diventare sempre più presente nella società e portare simili critiche sotto lo sguardo dei più?
«Credo che sia difficile e probabilmente insensato definire come l’arte debba o possa svolgere il suo compito. Personalmente, sono disinteressato all’arte per artisti. Nella realtà milanese, dall’emergente alla più affermata, mi ritrovo a vedere sempre le stesse persone aggirarsi tra una mostra e l’altra, mi chiedo allora se si stia davvero provando a comunicare al pubblico o se continuiamo a incrementare quel sistema artistico saturo e ridondante, non in grado di generare un contatto con l’esterno. In questa città ho sempre preferito dinamiche e spazi estemporanei al mondo dell’arte, in grado di accogliere più varietà di pubblico. Oggi sempre più connessioni artistiche si muovono al di fuori delle grandi città andando a lavorare in tessuti culturali periferici, e spesso proprio chi non appartiene alla mondanità cittadina risulta lontano dalle metodologie di arte contemporanea. È come se stessimo ricolmando il divario con il vero pubblico e sono realmente contento della rete che si crea tra chi condivide questi criteri di comunicazione».