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‘Last Whispers’: Lena Herzog a Ca’ Foscari, Venezia
Mostre
di Silvia Conta
Ad oggi, delle 7mila lingue superstiti sulla Terra, solo 30 sono usate dalla maggioranza della popolazione. Si stima che almeno la metà delle lingue attualmente parlate sarà estinta entro la fine del secolo. Altre fonti prevedono tempi di sparizione ancor più rapidi.
L’installazione
“Last Whispers” sarà presentato all’Università Ca’ Foscari Venezia da aprile a settembre 2022, in tre momenti distinti:
• Una versione immersiva in realtà virtuale potrà essere fruita individualmente, con visori e cuffie, dal 21 aprile al 30 luglio nella Tesa 1 di Ca’ Foscari Zattere – CFZCultural Flow Zone, Zattere al Pontelungo, Dorsoduro 1392.
• Un’installazione site-specific di immagini tratte dal progetto sarà esposta nel cortile principale di Ca’ Foscari e aperta al pubblico dal 21 aprile al 30 settembre, Cortile centrale di Ca’ Foscari, Palazzo Ca’ Giustinian, Dorsoduro 3246.
Come è nato il progetto “Last Whispers”? Come si lega all’attività di Ca’ Foscari?
«”Last Whispers” ha avuto inizio da una duplice fascinazione: da un lato, per il linguaggio stesso come primo atto creativo, nonché il più fondamentale strumento per pensare e, dall’altro, per l’emergenza dell’estinzione linguistica e, quindi, culturale della maggior parte delle lingue del mondo».
Come è avvenuta la ricerca per giungere agli elementi su cui costruire l’installazione immersiva?
«La ricerca ha richiesto anni: comprendere la problematica in primo luogo, lavorare con gli archivi linguistici del mondo, gli archivisti, gli attivisti linguistici e, naturalmente, le ultime persone che parlano queste lingue. Ci è voluto molto tempo. Ma è stato gratificante. I linguisti delle lingue in via di estinzione sono degli eroi non celebrati, a mio parere. Sono intellettuali del tipo più interessante: decodificare un linguaggio sconosciuto è come decodificare i sistemi più complessi e sospendere il proprio sistema di comprensione del mondo, che è un atto molto alto. Inoltre, lavorano sul campo, negli angoli più remoti del mondo per decenni per raccogliere non solo parole e grammatica, ma contesto, significati, capire altri mondi, perché, naturalmente, ogni lingua è un mondo. E le ultime persone che parlano queste lingue, al giorno d’oggi, sono persone che si aggrappano consapevolmente alla loro cultura e alle loro radici nel mondo che non ha davvero spazio per la varietà dell’esistenza culturale. E anche questo è eroico. Così i miei anni di ricerca sono diventati anni di amicizie con le persone più affascinanti. Sono davvero molto fortunata».
Come il progetto si colloca nella Sua ricerca?
«Non sto seguendo una traccia specifica per la mia carriera, seguo semplicemente ciò che mi crea fascinazione. Quindi in tutta sincerità non ci ho pensato più di tanto».
Protagonista dell’installazione è il silenzio. Quale aspetto di esso assume particolare rilevanza in questi lavoro?
«Le lingue, il mondo pieno di tante voci, quelle sono le mie protagoniste. Il silenzio è ciò che le sostituisce quando se ne sono andate. Come si racconta la fame? – si descrive il pane. Come si racconta il silenzio, una cancellazione culturale? – si fanno suonare le voci scomparse. All’apparenza sembra semplice, ma non lo è. Filosoficamente e artisticamente, è un compito difficile descrivere una sparizione, un’estinzione. Così tutto si incentra sul “Come”. Come mostrare un’estinzione la cui forma è il silenzio. Il mio obiettivo era far risuonare le voci in modo tale che il fatto della loro esistenza non possa e non venga negato. Ecco perché avevo bisogno della tecnologia per creare una full immersion, in modo che l’idea potesse essere realizzata. Volevo che le persone fossero gettate in un mondo pieno di voci estinte e scomparse, nel loro coro. In modo da poter sentire, nella nostra anima, profondamente, la loro presenza, e così, sentiremo la loro scomparsa altrettanto profondamente».
Come l’opera entra in relazione con lo spazio?
«Creare uno spazio dove poter sperimentare l’oratorio è stato fondamentale. Il paesaggio sonoro, infatti, è una scultura a quattro dimensioni. È spazializzato (cioè è una scultura sonora tridimensionale), e, naturalmente, esiste nel tempo (cioè quarta dimensione), nel corso di mezz’ora. Quindi, voi come pubblico, un “visitatore”, siete calati in un paesaggio di voci. Ma avete bisogno di un’immagine che vi guidi attraverso di esso. “Sonicamente” e visivamente, si passa attraverso fasi di espansione e collasso: il primo è una radicale espansione dello spazio al suono di una campana. Poi si scivola attraverso paesaggi sia nello spazio che sulla terra circondati da voci e mondi che nascono e che svaniscono, a volte persi, a volte trovati. A volte a quattr’occhi, privatamente, come un sussurro o una ninna nanna, a volte come un gigantesco coro mondiale, fino all’ultima esalazione».
Quali saranno i Suoi prossimi progetti?
«È un segreto».