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In uno spazio astratto dove domina il bianco anche nei semplici e raffinati costumi di tute unisex e nella brumosa atmosfera che li avvolge, otto interpreti disegnano un paesaggio di corpi trepidanti, dai gesti netti e fluenti, dalle linee continuamente rotte, da una calligrafia pennellata da braccia e gambe stilizzate, da figurazioni geometriche, da palpiti ritmati, posture oscillanti, accelerazioni e fughe. È la White room concepita dal ventisettenne coreografo Adriano Bolognino per la COB Compagnia Opus Ballet, la “stanza bianca” dove rivive, ispirato dall’opera pittorica Il ritorno dal bosco di Giovanni Segantini, l’inverno emozionale di anime inquiete e in attesa.
Il manto nevoso, desolato, uniforme, che caratterizza il quadro del pittore divisionista, impresso da una donna trascinante la sua slitta verso il villaggio, riproduce una dilatazione del tempo che evoca la fatica e la tenacia dell’essere umano. Se Segantini associava la neve all’idea di morte e desolazione, l’esplorazione coreografica dell’inverno diventa per Bolognino una ricerca interiore riconducendo la sua scrittura a una dimensione simbolica che si apre al sovrannaturale. Lo richiama nello scorrere delle sequenze, ora turbolenti, ora pacate, degli sguardi rivolti improvvisamente verso un oltre, dove anche un fermo immagine e un lungo silenzio si caricano di vibrante sospensione. Qui si attesta, nello smarrimento, l’irrompere dello stupore.
Bolognino crea profondità nella nuda scena dilatando le presenze nello spazio, raggruppandole in movimenti all’unisono, allineandole sinuosamente in file frontali o a terra, e con, nel mezzo, alcuni assoli e duetti dialoganti che rubano lo sguardo per le risonanze liriche che emanano i frementi gesti minimalisti. Se questi, e altri movimenti, ben si permeano col minimalismo musicale di Max Richter, il resto della coreografia di White room vive sulla musica ambient di Joep Beving, facendo respirare un senso di vastità, di solitudine e vicinanza contemporaneamente, e il bisogno di riconnettersi con un’essenza più intima.
Pur richiamando lo stile frenetico e nervoso del tedesco Marco Goecke, il linguaggio del promettente coreografo napoletano possiede un’intrinseca carica istintiva, una personale cifra poetica agìta nelle convulse dinamiche della partitura fisica, nelle ricche trame dei movimenti rapidissimi che si propagano concitatamente e con morbidezze improvvise, in tutte le articolazioni del corpo, dalle spalle al busto alle gambe ai piedi.
E sono di eccellente resa tutti gli interpreti della COB – Giuliana Bonaffini, Emiliano Candiago, Sofia Galvan, Ginevra Gioli, Stefania Menestrina, Gaia Mondini, Giulia Orlando, Riccardo Papa, e ospite Rosaria Di Maro – che la direttrice Rosanna Brocanello ha avviato in un percorso di crescita e maturazione facendoli misurare con coreografi di diversa estrazione stilistica e poetica, con un’attenzione particolare a giovani autori.
White room ha debuttato a Firenze, presso Cango Cantieri Goldonetta, nell’ambito del festival “La democrazia del corpo”. Sarà a Padova, Palazzo della Ragione, il 3 maggio, nel Festival Prospettiva Danza.